(Cittadino e Provincia) – Perugia, 10 gennaio 2014 - “Più volte ho sottolineato l’esigenza di creare, in Italia, un forte Partito del lavoro, capace di attirare tutte le sensibilità realmente progressiste e di sinistra verso programmi avanzati di sviluppo sostenibile, equità sociale, redistribuzione della ricchezza – afferma in una nota il capogruppo provinciale PRC, Luca Baldelli - Un blocco storico e sociale costruito a partire dalle lotte e dai territori, che sia non la somma di apparati e il risultato di alchimie politicistiche fini a se stesse, ma che rappresenti realmente l’unione di tutte quelle forze politiche e sociali che si ritrovano nei valori progressisti del movimento operaio, declinati secondo i bisogni del tempo presente . Questo schieramento, necessario al Paese, non può non trovare nella richiesta di un serio, organico e dettagliato Piano del lavoro il proprio perno ideale e politico . In questi giorni si fa un gran parlare, con anglofonismi vari, di “ job act “ e di altre “ caricature “ di piani del lavoro ; positivo è il fatto che, da più parti, si cominci a prendere atto di quel che noi comunisti da sempre, da 20 anni a questa parte sottolineiamo, ossia dell’esigenza di rilanciare l’economia reale, massacrata dalla speculazione e dall’economia di carta dei derivati e delle transazioni avulse dallo scambio di beni e servizi realmente prodotti . Se ciò, in sé, è da salutare senz’altro con soddisfazione, è altrettanto vero che , accanto al bambino, per così dire, comincia a diffondersi troppa acqua sporca : l’idea di Renzi di rilanciare l’economia reale attraverso l’incremento delle tassazioni sulle rendite e sulle transazioni speculative ( ma quando, nei primi anni Duemila, portavamo avanti la campagna sulla “Tobin Tax “, dov’era il Sindaco di Firenze ??!! ) si abbina, infatti, alla richiesta di ulteriore precarizzazione dei rapporti di lavoro , con l’attacco frontale all’Articolo 18, già depotenziato dalle misure dei Governi Berlusconi e Monti. Su queste premesse, non si costruisce certamente il Piano del lavoro che noi auspichiamo e che si deve reggere su ben altre basi :
- Eliminazione di tutte le forme di precariato, almeno a partire da quelle introdotte con la Legge Biagi : il contratto a tempo indeterminato, con opportuni incentivi, deve tornare ad essere la regola e non più l’eccezione;
- forte tassazione progressiva di tutte le rendite finanziarie e speculative ;
- parallela diminuzione del carico fiscale sui redditi da lavoro dipendente e su quelli dei piccoli e medi artigiani e commercianti ;
- introduzione di un nuovo meccanismo di rivalutazione dei salari parametrato al costo della vita reale ;
- piano di lavori socialmente utili nel campo ambientale, della cura alla persona ( tutela dell’assetto idrogeologico, piani di rimboschimento, potenziamento dei servizi sociali ecc…);
- difesa e rilancio dell’agricoltura di qualità, attraverso l’incentivo allo sviluppo di filiere complete, il ripopolamento delle zone abbandonate, l’eliminazione delle situazioni di casolari e poderi abbandonati di proprietà demaniale, la tutela reale dei prodotti tipici, anche rispetto ai concreti sbocchi degli stessi sui mercati;
- formazione professionale orientata verso i settori di qualità, capaci di fare da traino per l’economia in base ai bisogni dei vari territori ;
- nuove forme di credito agevolato a vantaggio dell’artigianato e del piccolo commercio ;
- freno all’espansione dei grandi centri commerciali;
- sinergie a livello europeo e internazionale per lo sviluppo dei settori ad alto valore aggiunto , evitando forme di conquista coloniale dell’economia locale da parte delle multinazionali, con la difesa e l’incremento dei poli industriali d’eccellenza rimasti;
- forti investimenti nella ricerca scientifica, con il coinvolgimento prioritario del mondo universitario ;
- revisione dei patti di stabilità che, oltre che per gli Enti pubblici, rappresentano un macigno sulle imprese e sull’economia reale ( vedi capitolo pagamento di beni e servizi da parte della Pubblica Amministrazione );
- separazione netta tra banche commerciali e banche d’affari, vero nodo, questo, eluso attualmente da tutte le principali forze politiche del panorama italiano .
Questi possono essere i punti qualificanti di una rinascita dell’economia reale, dopo il ventennio di sbornie per le varie finanze creative e le varie alchimie speculative e parassitarie comunque contrabbandate, che ci hanno condotto alla crisi nella quale siamo attanagliati . Un Piano del lavoro serio, che guardi al Paese e ai territori e che non può che partire dall’Umbria, per la sua tradizione progressista e innovatrice : sorprendono le resistenze in questo senso, quasi che ci si voglia cullare ancora, da parte di alcune forze politiche umbre, nell’utopia della “ fine del lavoro “ che tanti danni e tante illusioni ha prodotto . Perché non si apre un tavolo regionale e interistituzionale su questo tema, dove confrontare proposte e abbozzare almeno un primo progetto ? Perché non si raccoglie nel dovuto modo, da parte della Regione Umbria, l’appello di autorevoli forze politiche, sindacali, sociali, che su questo tema cominciano a muoversi e ad avanzare idee e stimoli ? Cogliere i mutamenti in atto nella società, interpretarli e indirizzarli verso obiettivi avanzati di progresso per tutti è stata la prerogativa della sinistra storica : occorre ripartire da lì e non subire, passivamente e inesorabilmente, le mode, le tentazioni e gli slogan del momento “.
Gc14005.red
(Cittadino e Provincia) – Perugia, 10 gennaio 2014 - “Più volte ho sottolineato l’esigenza di creare, in Italia, un forte Partito del lavoro, capace di attirare tutte le sensibilità realmente progressiste e di sinistra verso programmi avanzati di sviluppo sostenibile, equità sociale, redistribuzione della ricchezza – afferma in una nota il capogruppo provinciale PRC, Luca Baldelli - Un blocco storico e sociale costruito a partire dalle lotte e dai territori, che sia non la somma di apparati e il risultato di alchimie politicistiche fini a se stesse, ma che rappresenti realmente l’unione di tutte quelle forze politiche e sociali che si ritrovano nei valori progressisti del movimento operaio, declinati secondo i bisogni del tempo presente . Questo schieramento, necessario al Paese, non può non trovare nella richiesta di un serio, organico e dettagliato Piano del lavoro il proprio perno ideale e politico . In questi giorni si fa un gran parlare, con anglofonismi vari, di “ job act “ e di altre “ caricature “ di piani del lavoro ; positivo è il fatto che, da più parti, si cominci a prendere atto di quel che noi comunisti da sempre, da 20 anni a questa parte sottolineiamo, ossia dell’esigenza di rilanciare l’economia reale, massacrata dalla speculazione e dall’economia di carta dei derivati e delle transazioni avulse dallo scambio di beni e servizi realmente prodotti . Se ciò, in sé, è da salutare senz’altro con soddisfazione, è altrettanto vero che , accanto al bambino, per così dire, comincia a diffondersi troppa acqua sporca : l’idea di Renzi di rilanciare l’economia reale attraverso l’incremento delle tassazioni sulle rendite e sulle transazioni speculative ( ma quando, nei primi anni Duemila, portavamo avanti la campagna sulla “Tobin Tax “, dov’era il Sindaco di Firenze ??!! ) si abbina, infatti, alla richiesta di ulteriore precarizzazione dei rapporti di lavoro , con l’attacco frontale all’Articolo 18, già depotenziato dalle misure dei Governi Berlusconi e Monti. Su queste premesse, non si costruisce certamente il Piano del lavoro che noi auspichiamo e che si deve reggere su ben altre basi :
- Eliminazione di tutte le forme di precariato, almeno a partire da quelle introdotte con la Legge Biagi : il contratto a tempo indeterminato, con opportuni incentivi, deve tornare ad essere la regola e non più l’eccezione;
- forte tassazione progressiva di tutte le rendite finanziarie e speculative ;
- parallela diminuzione del carico fiscale sui redditi da lavoro dipendente e su quelli dei piccoli e medi artigiani e commercianti ;
- introduzione di un nuovo meccanismo di rivalutazione dei salari parametrato al costo della vita reale ;
- piano di lavori socialmente utili nel campo ambientale, della cura alla persona ( tutela dell’assetto idrogeologico, piani di rimboschimento, potenziamento dei servizi sociali ecc…);
- difesa e rilancio dell’agricoltura di qualità, attraverso l’incentivo allo sviluppo di filiere complete, il ripopolamento delle zone abbandonate, l’eliminazione delle situazioni di casolari e poderi abbandonati di proprietà demaniale, la tutela reale dei prodotti tipici, anche rispetto ai concreti sbocchi degli stessi sui mercati;
- formazione professionale orientata verso i settori di qualità, capaci di fare da traino per l’economia in base ai bisogni dei vari territori ;
- nuove forme di credito agevolato a vantaggio dell’artigianato e del piccolo commercio ;
- freno all’espansione dei grandi centri commerciali;
- sinergie a livello europeo e internazionale per lo sviluppo dei settori ad alto valore aggiunto , evitando forme di conquista coloniale dell’economia locale da parte delle multinazionali, con la difesa e l’incremento dei poli industriali d’eccellenza rimasti;
- forti investimenti nella ricerca scientifica, con il coinvolgimento prioritario del mondo universitario ;
- revisione dei patti di stabilità che, oltre che per gli Enti pubblici, rappresentano un macigno sulle imprese e sull’economia reale ( vedi capitolo pagamento di beni e servizi da parte della Pubblica Amministrazione );
- separazione netta tra banche commerciali e banche d’affari, vero nodo, questo, eluso attualmente da tutte le principali forze politiche del panorama italiano .
Questi possono essere i punti qualificanti di una rinascita dell’economia reale, dopo il ventennio di sbornie per le varie finanze creative e le varie alchimie speculative e parassitarie comunque contrabbandate, che ci hanno condotto alla crisi nella quale siamo attanagliati . Un Piano del lavoro serio, che guardi al Paese e ai territori e che non può che partire dall’Umbria, per la sua tradizione progressista e innovatrice : sorprendono le resistenze in questo senso, quasi che ci si voglia cullare ancora, da parte di alcune forze politiche umbre, nell’utopia della “ fine del lavoro “ che tanti danni e tante illusioni ha prodotto . Perché non si apre un tavolo regionale e interistituzionale su questo tema, dove confrontare proposte e abbozzare almeno un primo progetto ? Perché non si raccoglie nel dovuto modo, da parte della Regione Umbria, l’appello di autorevoli forze politiche, sindacali, sociali, che su questo tema cominciano a muoversi e ad avanzare idee e stimoli ? Cogliere i mutamenti in atto nella società, interpretarli e indirizzarli verso obiettivi avanzati di progresso per tutti è stata la prerogativa della sinistra storica : occorre ripartire da lì e non subire, passivamente e inesorabilmente, le mode, le tentazioni e gli slogan del momento “.
Gc14005.red