(Cittadino e Provincia) – Perugia 24 marzo 2012 – “Il gruppo provinciale del PRC – afferma una nota del suo capogruppo Luca Baldelli - esprime sdegno e invita alla mobilitazione generale contro i propositi governativi di smantellamento dell’Articolo 18, frontiera intangibile di civiltà nel mondo del lavoro e nel quadro dei diritti maturati dai lavoratori in più di un secolo di lotte per l’emancipazione dalla miseria e dal ricatto padronale. Il Governo Monti si riempe la bocca con parole – slogan come “ modernità “ e “ progresso “, ma con gli atti concreti che compie riporta le lancette della storia a 60 anni fa, quando i licenziamenti avvenivano su base discrezionale e i lavoratori erano quotidianamente ostaggio dell’arbitrio dei datori di lavoro. Cosa nascondono i famosi ( o meglio, famigerati ) licenziamenti su base economica ? Essi sono lo strumento attraverso il quale il capitalismo al tramonto vuol far pagare la crisi generata dalla sovrapproduzione e dalla speculazione finanziaria ai lavoratori ; essi rappresentano lo strumento attraverso il quale si vuole ridisegnare in senso ancora più sfavorevole ai lavoratori stessi il quadro dei rapporti di classe in fabbrica, già da anni tutti a favore del padronato, a partire dalla Marcia dei 40.000, passando per il referendum sulla scala mobile e per quella famosa concertazione che, a partire dal 1992, ha fatto scendere la quota di reddito nazionale detenuta dai lavoratori in termini di salari e stipendi a livelli quasi sudamericani. Si vuol licenziare più facilmente per impedire il sorgere di lotte e rivendicazioni in una fase critica, di crisi irreversibile, che può aprire il varco a una nuova fase storica di conflitto sociale; si vuol licenziare più facilmente per rendere tutti i lavoratori ( qualunque sia il loro profilo professionale ) più ricattabili e malleabili. Un Governo che in un momento in cui esplode la Cassa integrazione e le aziende chiudono in massa pensa a come licenziare più facilmente, è quanto di più insultante possa esistere ( d’altronde un governo espressione della tecnocrazie bancarie e finanziarie non può operare diversamente ), ma ancora più insultante è l’atteggiamento, verso i lavoratori, è l’atteggiamento di una parte del centrosinistra che, prono ai voleri di Confindustria, è pronta a trangugiare questa ennesima minestra antisociale, condita non solo con l’abolizione de facto dell’articolo 18, ma anche con altri ingredienti come l’aumento delle imposte, specie quelle indirette, delle tariffe, ecc…. La posizione del PD di Bersani , altalenante e incerta, non è più sostenibile : le contraddizioni interne alla sinistra sono tali per cui la sua parte più avanzata e le componenti storicamente legate al mondo del lavoro non possono più tacere e rifiutare di smarcarsi da una politica che ormai va oltre la concertazione stessa, rimette in discussione diritti di civiltà conquistati a prezzo di durissime lotte, minaccia di produrre una sempre più forte recessione, con l’incertezza sovrana dei lavoratori rispetto al loro futuro . La campana di una collocazione precisa, netta e chiara da parte di quella sinistra che vuole continuare ad essere tale e non vuole annacquare i propri fondamenti ideali nel mare del moderatismo, del centrismo, è ormai suonata : non solo occorre mobilitarsi e lottare affinchè lo smantellamento dell’art. 18 non passi, assieme a una “ riforma “ del lavoro che significa restaurazione definitiva dei privilegi di classe, ma occorre mettere in atto ogni sforzo per capovolgere esattamente i termini del problema. Non si deve parlare o ragionare, nemmeno tra noi, di smantellamento dell’art.18 e di lotta per mantenerlo così come è, bensì si deve cominciare a ri – parlare di una sua estensione alle piccole aziende, i cui dipendenti attualmente non sono tutelati e i cui “ titolari “, spesso, altro non sono che contoterzisti di un grande capitale che li sfrutta e li opprime, con le banche, con i ritmi delle consegne ecc…. Riprendiamo in mano le parole d’ordine del 2002 sulla lotta per la difesa e l’estensione a tutte le unità produttive dell’art. 18, facciamolo su una base di ampia alleanza con tutte le forze di sinistra, popolari e democratiche ( non solo politiche, ma anche sindacali e della società civile ) che condividono la proposta come la condivisero allora. Prepariamoci a dar battaglia non giocando in difesa, ma andando all’attacco in nome di più avanzate e mature parole d’ordine, i cui contenuti sono quelli dell’universalità dei diritti e della lotta per la costruzione di una società più giusta. Che questo possa essere il viatico per un grande “ Partito del lavoro “, capace di opporsi alla deriva moderata e centrista che vuole cancellare i valori della vera sinistra storica. In questo “ Partito del lavoro “ la Federazione dovrà essere presente e viva, dal momento che i suoi fondamenti ideali sono già in embrione, specie dopo gli orientamenti prevalsi all’ultimo Congresso, i pilastri di un futuro e più ampio “Partito del lavoro”, non autoreferenziale né di testimonianza, ma vivo e presente nella società, situato oltre il moderatismo dell’attuale PD e oltre il gauchismo parolaio e velleitario di Sel. L’assurdità più grande del quadro politico italiano è, infatti , proprio l’assenza di una vera sinistra nel Paese che aveva il Partito comunista più forte fino a 20 anni fa, : superare questa aporia significa ridare slancio alla speranza, costruire una vera sinistra moderna , radicale, antagonista, un blocco alternativo nel quale far confluire diverse esperienze e idealità accomunate dal rifiuto del pensiero unico del mercato, della logica della compressione dei diritti sociali , del commissariamento della democrazia in nome di governi tecnici deputati a compiere scelte antipopolari al riparo dal vaglio del voto popolare”.
Gc12111.red
(Cittadino e Provincia) – Perugia 24 marzo 2012 – “Il gruppo provinciale del PRC – afferma una nota del suo capogruppo Luca Baldelli - esprime sdegno e invita alla mobilitazione generale contro i propositi governativi di smantellamento dell’Articolo 18, frontiera intangibile di civiltà nel mondo del lavoro e nel quadro dei diritti maturati dai lavoratori in più di un secolo di lotte per l’emancipazione dalla miseria e dal ricatto padronale. Il Governo Monti si riempe la bocca con parole – slogan come “ modernità “ e “ progresso “, ma con gli atti concreti che compie riporta le lancette della storia a 60 anni fa, quando i licenziamenti avvenivano su base discrezionale e i lavoratori erano quotidianamente ostaggio dell’arbitrio dei datori di lavoro. Cosa nascondono i famosi ( o meglio, famigerati ) licenziamenti su base economica ? Essi sono lo strumento attraverso il quale il capitalismo al tramonto vuol far pagare la crisi generata dalla sovrapproduzione e dalla speculazione finanziaria ai lavoratori ; essi rappresentano lo strumento attraverso il quale si vuole ridisegnare in senso ancora più sfavorevole ai lavoratori stessi il quadro dei rapporti di classe in fabbrica, già da anni tutti a favore del padronato, a partire dalla Marcia dei 40.000, passando per il referendum sulla scala mobile e per quella famosa concertazione che, a partire dal 1992, ha fatto scendere la quota di reddito nazionale detenuta dai lavoratori in termini di salari e stipendi a livelli quasi sudamericani. Si vuol licenziare più facilmente per impedire il sorgere di lotte e rivendicazioni in una fase critica, di crisi irreversibile, che può aprire il varco a una nuova fase storica di conflitto sociale; si vuol licenziare più facilmente per rendere tutti i lavoratori ( qualunque sia il loro profilo professionale ) più ricattabili e malleabili. Un Governo che in un momento in cui esplode la Cassa integrazione e le aziende chiudono in massa pensa a come licenziare più facilmente, è quanto di più insultante possa esistere ( d’altronde un governo espressione della tecnocrazie bancarie e finanziarie non può operare diversamente ), ma ancora più insultante è l’atteggiamento, verso i lavoratori, è l’atteggiamento di una parte del centrosinistra che, prono ai voleri di Confindustria, è pronta a trangugiare questa ennesima minestra antisociale, condita non solo con l’abolizione de facto dell’articolo 18, ma anche con altri ingredienti come l’aumento delle imposte, specie quelle indirette, delle tariffe, ecc…. La posizione del PD di Bersani , altalenante e incerta, non è più sostenibile : le contraddizioni interne alla sinistra sono tali per cui la sua parte più avanzata e le componenti storicamente legate al mondo del lavoro non possono più tacere e rifiutare di smarcarsi da una politica che ormai va oltre la concertazione stessa, rimette in discussione diritti di civiltà conquistati a prezzo di durissime lotte, minaccia di produrre una sempre più forte recessione, con l’incertezza sovrana dei lavoratori rispetto al loro futuro . La campana di una collocazione precisa, netta e chiara da parte di quella sinistra che vuole continuare ad essere tale e non vuole annacquare i propri fondamenti ideali nel mare del moderatismo, del centrismo, è ormai suonata : non solo occorre mobilitarsi e lottare affinchè lo smantellamento dell’art. 18 non passi, assieme a una “ riforma “ del lavoro che significa restaurazione definitiva dei privilegi di classe, ma occorre mettere in atto ogni sforzo per capovolgere esattamente i termini del problema. Non si deve parlare o ragionare, nemmeno tra noi, di smantellamento dell’art.18 e di lotta per mantenerlo così come è, bensì si deve cominciare a ri – parlare di una sua estensione alle piccole aziende, i cui dipendenti attualmente non sono tutelati e i cui “ titolari “, spesso, altro non sono che contoterzisti di un grande capitale che li sfrutta e li opprime, con le banche, con i ritmi delle consegne ecc…. Riprendiamo in mano le parole d’ordine del 2002 sulla lotta per la difesa e l’estensione a tutte le unità produttive dell’art. 18, facciamolo su una base di ampia alleanza con tutte le forze di sinistra, popolari e democratiche ( non solo politiche, ma anche sindacali e della società civile ) che condividono la proposta come la condivisero allora. Prepariamoci a dar battaglia non giocando in difesa, ma andando all’attacco in nome di più avanzate e mature parole d’ordine, i cui contenuti sono quelli dell’universalità dei diritti e della lotta per la costruzione di una società più giusta. Che questo possa essere il viatico per un grande “ Partito del lavoro “, capace di opporsi alla deriva moderata e centrista che vuole cancellare i valori della vera sinistra storica. In questo “ Partito del lavoro “ la Federazione dovrà essere presente e viva, dal momento che i suoi fondamenti ideali sono già in embrione, specie dopo gli orientamenti prevalsi all’ultimo Congresso, i pilastri di un futuro e più ampio “Partito del lavoro”, non autoreferenziale né di testimonianza, ma vivo e presente nella società, situato oltre il moderatismo dell’attuale PD e oltre il gauchismo parolaio e velleitario di Sel. L’assurdità più grande del quadro politico italiano è, infatti , proprio l’assenza di una vera sinistra nel Paese che aveva il Partito comunista più forte fino a 20 anni fa, : superare questa aporia significa ridare slancio alla speranza, costruire una vera sinistra moderna , radicale, antagonista, un blocco alternativo nel quale far confluire diverse esperienze e idealità accomunate dal rifiuto del pensiero unico del mercato, della logica della compressione dei diritti sociali , del commissariamento della democrazia in nome di governi tecnici deputati a compiere scelte antipopolari al riparo dal vaglio del voto popolare”.
Gc12111.red