I campi da paddle
Tematica di edilizia ed urbanistica in cui la giurisprudenza è ormai stabile nella valutazione di questi manufatti come costruzioni. A cura dell'Avvocato Marco Luigi Marchetti
La questione dei campi da paddle, anche grazie allo sviluppo che hanno avuto negli ultimi anni, ha messo subito in difficoltà molti comuni, perché di fronte alla conformazione standardizzata da regolamento che essi assumono si è subito aperto un conflitto tra chi riteneva che la disciplina fosse desumibile dalla, loro caratteristica di manufatti leggeri, tendenzialmente esterni alla nozione giuridica di costruzione (copertura in materiale leggero, pareti non in muratura, copertura smontabile, come del resto tutta la struttura, ecc.), e chi invece riteneva che soprattutto per il loro impatto e visibilità fossero da inquadrare in una tipologia ben diversa, generatrice di coerenza di disciplina urbanistica ed edilizia adeguata. Andando alla sintesi va subito detto che la giurisprudenza è ormai stabile nella valutazione di questi manufatti come costruzioni, soprattutto perché oggi, all’esito di un lungo percorso normativo ed interpretativo, non è tanto la materia fisica che compone un manufatto a determinarne la natura giuridica, ma la funzione.
Il principio è ormai consolidato sin dalla entrata in vigore del Testo Unico dell’edilizia nazionale - DPR 380/2001- ( in particolare l’art.3), e anche in questo caso, si qualifica la loro realizzazione come una trasformazione del territorio sotto l’aspetto urbanistico (Tar Palermo, sez. Seconda, con la sentenza n. 3232/2021 ..”gli impianti sportivi configuravano una trasformazione urbanistica del territorio, non riconducibile ad interventi subordinati a S.C.I.A. ai sensi dell'art. 22 del D.P.R. 380/2001, in quanto soggetti a permesso di costruire ai sensi dell'art. 10 del D.P.R. 380/2001, qualora ne ricorrano le condizioni”).Per la verità nel caso citato il TAR si soffermò sulla realizzazione della soletta di cemento della base del campo da paddle per affermarne la incoerenza con la natura agricola del terreno. Ma l’esito sembra anche ovvio vista la destinazione agricola dell’area. Dunque, ragionando al contrario, se la struttura fosse realizzata non in area agricola ma a servizi, sarebbe legittima, nel senso che sarebbe assicurata la corrispondenza tra destinazione dell’area e funzione del manufatto. E’ ormai anche acquisito che sia necessario il PdC: è noto che l’art. 3 lett. e) del d.P.R. n. 380/2001 inserisce fra gli interventi di nuova costruzione anche “l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporaneo delle tende e delle unità abitative mobili con meccanismi di rotazione in funzione, e loro pertinenze e accessori, che siano collocate, anche in via continuativa, in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, che non posseggano alcun collegamento di natura permanente al terreno e presentino le caratteristiche dimensionali e tecnico-costruttive previste dalle normative regionali di settore ove esistenti”.
La giurisprudenza amministrativa ne fa discendere con orientamento costante la qualifica di nuova costruzione per qualsiasi opera che comporti una stabile e permanente trasformazione del territorio, preordinata a soddisfare esigenze non precarie sotto il profilo funzionale e della destinazione dell'immobile; e specularmente afferma che la precarietà di un manufatto deve essere valutata con riferimento non al tipo di materiali utilizzati per la sua realizzazione, ma all'uso cui lo stesso è destinato, nel senso che, se le opere sono dirette al soddisfacimento di esigenze stabili e permanenti, la natura precaria dell'opera va comunque esclusa, a prescindere dai materiali utilizzati e dalla tecnica costruttiva applicata (fra le moltissime, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 11 gennaio 2018, n.150; id., 24 luglio 2012, n.4214; id., 2 febbraio 2012, n.615; id., sez. V, 20 giugno 2011 n. 3683).
Nel tentativo di uscire da questa configurazione (e anche all’onerosità) in alcuni casi si assiste alla realizzazione di questi impianti quali strutture temporanee, con conseguente regime dell’art. 6 del TUE, impegnando così l’autore alla eliminazione alla scadenza del periodo comunicato o di legge.
Sono le opere stagionali e quelle dirette a soddisfare obiettive esigenze, contingenti e temporanee, purché destinate ad essere immediatamente rimosse al cessare della temporanea necessità e, comunque, entro un termine non superiore a centottanta giorni comprensivo dei tempi di allestimento e smontaggio del manufatto, previa comunicazione di avvio dei lavori all’amministrazione comunale (portata a centottanta giorni dall’articolo 10 c.1 lettera c) D.L. 76/2020). Si tenga conto che la mancata rimozione di questi manufatti allo spirare del termine previsto integra abuso edilizio e sanzione penale, perché il manufatto da (fittiziamente) precario diventa una nuova costruzione, e pertanto sanzionabile dagli articoli 31 e 44 DPR 380/01 (Cass. Pen. n. 846/2020, n. 400/2019, n. 39677/2018).
In questo caso si finisce per disquisire sulle caratteristiche tecniche delle coperture, della infissione o meno al suolo della strutture, sulla soletta di cemento alla base, sull’ingombro (tenuto conto che, soprattutto se i campi sono più di uno occorre una valutazione congiunta cioè complessiva dell’opera).
Il problema è se ogni stagione l’opera viene riallestita.
La Corte Costituzionale ha autorevolmente precisato che la precarietà dell’intervento si connota sotto un duplice profilo, oggettivo, in base alle tipologie dei materiali utilizzati, e funzionale, in base alla temporaneità dello stesso (cfr. Corte Cost. 24 luglio 2015, n. 198; id., 22 luglio 2010, n. 278). Se così è, le tensostrutture oggetto di S.C.I.A. costituiscono vere e proprie costruzioni, in tal senso deponendo il consistente ingombro planivolumetrico, la realizzazione mediante strutture stabilmente ancorate al suolo e la permanente destinazione a servizio dell’attività. La precarietà di un’opera, postulandone l’utilizzo specifico e temporalmente limitato, non coincide poi con la sua stagionalità, la quale ne implica pur sempre la destinazione a soddisfare esigenze non eccezionali e momentanee, ma permanenti, ancorché ciclicamente riferite a determinati periodi dell’anno (per tutte, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 3 giugno 2014, n.2842; T.A.R. Toscana, sez. II, 22 maggio 2018, n.696); il punto è controverso perché se da un lato è innegabile che la ripetitività della installazione a cadenza stagionale non appare coerente con una struttura precaria (le esigenze temporanee non sarebbero coincidenti con le esigenze stagionali), è anche vero che la normativa non distingue tra stagionalità ripetitiva o mera reiterazione, così che occorrerebbe un intervento del legislatore per questo (quante volte – cioè - deve essere realizzata con cadenza stagionale per divenire “permanente”). E va tenuto poi presente che la smontabilità e la natura precaria d’una costruzione non sono sinonimi, poiché la precarietà è un dato non già materiale, ma funzionale. Infatti, temporanea e precaria è solo quella struttura che, per sua oggettiva finalità, reca in sé visibili i caratteri della durata limitata in un breve lasso di tempo, a nulla rilevando la destinazione intenzionale del proprietario; quindi, perché una struttura sia qualificata come precaria, è necessario che sia destinata ad un uso specifico e temporalmente limitato del bene …” (Cons. di Stato n. 7338/2022, n. 5911/2021).
La presenza di un vincolo paesaggistico ovviamente porta a interpretazioni più stringenti (riguardo all'impatto dei campi da Paddle sulle norme paesaggistiche in nessun caso potrà essere considerata attività libera dall'autorizzazione paesaggistica perché non espressamente prevista tra le opere soggette ad autorizzazione semplificata, allegato B DPR 31/17).
Occorre poi tenere presente la normativa regionale che però non può essere utilizzata per avere scorciatoie : l’art. 21 RR 2/2015 che inserisce la nozione di pertinenza:
o) gli impianti sportivi e ricreativi all'aperto al servizio delle abitazioni o delle attività di tipo ricettivo, agrituristico o servizi che non comportano una occupazione di superficie di suolo superiore a metri quadrati 400 e nuova superficie utile coperta, né comportino la realizzazione di muri di sostegno non strettamente funzionali al tipo di impianto. Tali impianti possono comprendere locali per attrezzature tecnologiche completamente interrati di superficie utile coperta non superiore a metri quadrati 10, con la possibilità di prevedere una parete scoperta per l'accesso, avente superficie non superiore a metri quadrati 6;
Questa nozione, molto generosa per il tema che ci interessa, e che chiaramente vuole supportare attività ricettive (i 400 mq. rompono il limite della modesta dimensione della disciplina generale della pertinenza urbanistica) essa potrebbe finire per essere antitetica al paddle come visibile oggi, proprio perché la norma va letta come possibilità di classificare pertinenza un campo aperto (cioè a volume zero, all’aperto appunto). Essa contiene un inciso molto rilevante perché tocca uno degli aspetti dirimenti della questione. Afferma infatti, esprimendosi con doppia negazione - e quindi affermando – che l’opera rimane pertinenza anche se comporta la realizzazione di muri di sostegno strettamente funzionali al tipo di impianto. Uno dei punti dirimenti del paddle è spesso la esistenza di pareti (che in genere fanno passare le strutture da leggere a costruzioni), perché le pareti determinano il rimbalzo che serve a giocare quindi sono funzionali al tipo di impianto .
E allora uscirebbero dal novero delle costruzioni. Ma rimarrebbe il tema della copertura , la sua rilevanza, la sua dimensione, il suo impatto (ed a prescindere da eventuali vincoli: T.A.R. Milano, Sez.II,n. 70/2022: “Sono da qualificarsi come nuova costruzione le opere, anche su struttura mobile o amovibili, quando queste abbiano una destinazione stabile o comunque dimensioni tali da comportare un'apprezzabile trasformazione del territorio cui si correla la violazione dell'assetto urbanistico e paesaggistico”). A parte i limiti dell’art.117 Cost. e del fatto che la Regione non potrebbe derogare alle nozioni fondamentali della materia, se la nozione di pertinenza con tutti i suoi principi e applicazioni (necessaria connessione con l’opera principale, così che solo il campo non sarebbe autorizzabile da solo) aiuta a realizzarle è innegabile che nel caso di un campo o più campi a struttura coperta fissa per i problemi analizzati consiglino di realizzare questi impianti su area destinate urbanisticamente e mediante titolo abilitativo pesante.