La CILA e la SCIA: tempi per le verifiche e le garanzie per il privato.
I limiti della responsabilità del funzionario pubblico – il rapporto tra pianificazione urbanistica e novità normative Nota a Consiglio di Stato sez. II, 24/04/2023, n.4110. A cura dell'Avvocato Marco Luigi Marchetti.
“La c.i.l.a. condivide con la s.c.i.a. la natura giuridica e, pertanto, trovano per essa applicazione i limiti di tempo e di motivazione declinati nell'art. 19, commi 3, 4, 6-bis e 6-ter, l. n. 241/1990, in combinato disposto con il richiamo alle condizioni di cui all'art. 21-nonies”. Questa la massima su cui vale la pena di concentrare l’attenzione. Essa si inserisce nell’oceanico dibattito sulla natura giuridica dei titoli auto formati, sul rapporto tra privato e Pubblica amministrazione e sulla responsabilità del funzionario in caso di omissione di controlli. Ma la sentenza desta interesse anche per la particolarità della fattispecie ove un privato in una serie di istanze succedutesi nel tempo, finiva per utilizzare la legge 12 sulla semplificazione per ottenere anche un mutamento di destinazione d’uso senza opere mediante la manutenzione straordinaria. Si pose cioè il tema, che costituì argomento di difesa dell’ente, di poter vedere nella sequela di istanze un disegno preordinato ad ottenere risultati che con il titolo originario non si sarebbero potuti ottenere e quindi una sorta di abuso del diritto.
Il Consiglio di Stato però si discosta da una tale possibilità di ricostruzione, ritenendo non coerente con la funzione dell’ente quello di verificare le “ intenzioni” del privato nella propria strategia di richiesta di titoli abilitativi. Va innanzi tutto sgombrato il campo dal vizio di prospettiva indotto dalla possibile ricostruzione unitaria della vicenda a partire dalla prima CILA presentata dalla Società in data 18 marzo 2019, per giungere all'ultima del 19 febbraio 2021. Una tale ricostruzione, infatti, non solo finisce per attingere la sfera psicologica del soggetto agente, con le conseguenti difficoltà di dimostrane la sussistenza sul piano probatorio; ma la permea di una sorta di chiaroveggenza regolatoria, indirizzandola da subito verso un obiettivo che a contesto giuridico immutato non era indubbiamente raggiungibile. Sotto tale profilo non può che condividersi la ricostruzione del primo giudice, laddove dopo aver dubitato dell'automatica trasposizione nel diritto amministrativo di categorie concettuali "dagli incerti confini, quali quella dell'elusione o dell'abuso del diritto, elaborate non senza difficoltà ed incertezze applicative in altri rami dell'ordinamento (in particolare in ambito tributario)", ne ha escluso la sussistenza in quanto la Società " si è avvalsa di una sopravvenienza normativa e ha, per così dire, lecitamente "sfruttato" lo ius novum (che a volte favorisce il privato, altre lo penalizza) e le possibilità riconosciutegli dall'evoluzione normativa del concetto di manutenzione straordinaria, che nel 2019 non erano neanche prevedibili e non possono essere valutate a posteriori dal Comune come prova o sintomo di un disegno elusivo, che deve preesistere all'inizio della condotta che si assume illecita e non seguirla".
Ciò rende effettivamente inconferente il richiamo alla "scissione delle singole pratiche" in violazione "dei principi di buona fede che devono regolare i rapporti tra privati e P.A. ai sensi dell'art. 1, co. 2-bis della l. n. 241/1990", cosicché essa "pare integrare un'ipotesi di abuso del diritto da parte della Ditta, sfruttando la normativa urbanistica ai fini di eludere la medesima". Trattasi invero di affermazioni ultronee che non solo non esauriscono la motivazione del provvedimento, fondata anche, come ricordato dalla difesa civica, sulla inidoneità del titolo edilizio e sulla inammissibilità dell'intervento sotto il profilo urbanistico; ma che soprattutto non incidono sul suo contenuto precettivo, che non si estende alle operazioni edilizie precedenti, pur invocandone la connessione teleologica, in quanto si limita ad ingiungere il ripristino della destinazione commerciale mutata con la CILA del 19 febbraio 2021. Le precedenti opere di manutenzione straordinaria infatti "hanno sempre costituito e costituiscono ancora, singolarmente presi, interventi ammissibili ai sensi del Piano" diversamente dall'ultimo cambio d'uso funzionale, che riconnettendosi alle precedenti, "comporta l'elusione (e pertanto la violazione) della norma". Lo iato tra gli interventi precedenti e la nuova CILA è segnato inequivocabilmente, in senso diametralmente opposto a quanto sostenuto dall’ente, proprio dall'entrata in vigore del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2020, n. 120, il quale ha fornito alla Società, a torto o a ragione, lo strumento per provare a conseguire ciò che in passato le era sicuramente precluso.
Di quanto detto dà formale conferma l'avvenuto inoltro della segnalazione finalizzata all'agibilità, che chiude il ciclo degli interventi edilizi effettuati negli anni passati, certificandone la conformità sotto il profilo igienico-sanitario e urbanistico-edilizio, ivi compreso proprio l'avvenuto rispetto delle destinazioni d'uso consentite (Cons. Stato, sez. II, 17 maggio 2021, n. 3836), che mal si concilierebbe con la preesistente volontà di intervenire nuovamente sullo stesso. È evidente, pertanto, l'inapplicabilità alla fattispecie dei principi, consolidati in giurisprudenza, in forza dei quali la natura abusiva di un'opera va valutata sommando le risultanze dei singoli interventi nei quali è stata frazionata, dovendosene considerare l'impatto globale sul territorio, percepibile solo superandone la visione atomistica e parcellizzata (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. VI, 18 ottobre 2022, n. 8848).
Il tema è sottile e porta a confronto quindi due principi: uno che riguarda la valutazione unitaria degli abusi; ed un altro che riguarda il rapporto tra previsioni di piano e novità normative, che induce ad una visione nuova in virtù della quale la fruizione delle prerogative offerte dal privato non possono essere valutate di per sé come sinonimo di strategia tendente alla realizzazione di abusi edilizi, proprio perché conformi a legge.
Fermo rimane che le modifiche della destinazione d’uso possibili - anche dopo la legge 120 – sono solo quelle tra categorie urbanistiche omogenee, tale essendo l'inequivoco significato della dicitura "urbanisticamente rilevanti" e "non implicanti aumento del carico urbanistico" previsto dall'art. 3, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2011, anche nella sua attuale formulazione.
Ma torniamo al tema del titolo. Qui il comune aveva dichiarato inefficace la CILA ed emesso un provvedimento sanzionatorio
Dice il Consiglio di Stato: ”Va ricordato a tale riguardo come la c.d. comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA) con il d.lgs. n. 222/2016 è divenuta il titolo general-residuale, necessario per tutti gli interventi edilizi per i quali le norme del testo unico non impongono la SCIA o il permesso di costruire ovvero che non rientrano ai sensi dell'art. 6 nell'attività edilizia libera. “
Con tale scelta si è radicalmente cambiata l'opzione normativa di cui al previgente comma 4 del richiamato art. 6 che, al contrario, lasciava aperta la categoria della SCIA e tipizzava in maniera specifica gli interventi sottoposti a CILA. A ciò è conseguito che sono ricondotte alla CILA opere quantitativamente rilevanti, quali - come è dato evincere da una lettura a contrario dell'art. 22 - gli interventi di manutenzione straordinaria leggera, appunto, ovvero quelli che, pur comportando cambi di destinazione d'uso urbanisticamente non rilevanti, non riguardano parti strutturali dell'edificio e non incidono sui prospetti.
Trattasi tuttavia di uno strumento di semplificazione che non trova un corrispondente nella legge generale sull'azione amministrativa (ma solo in altre normative di settore, come quella sulle attività commerciali) e che si traduce in una ancor più intensa responsabilizzazione del privato, chiamato ad assumersi in prima persona il rischio di avviare un'attività in contrasto con le complesse e talvolta contorte normative di settore, per di più solo in parte confortato dall'asseverazione del tecnico abilitato (che peraltro, secondo il tenore letterale della norma, non deve fare riferimento agli strumenti urbanistici adottati, né a tutte le normative di cui il comma 1 dell'art. 6 bis impone comunque specificamente il rispetto).
Diversamente da quanto disposto per la SCIA, sulla conformità tecnico-giuridica della CILA non è previsto un obbligo di controllo ordinario postumo entro un termine perentorio ravvicinato e, di conseguenza, un indice del legittimo avvio dell'attività oggetto della comunicazione, limitandosi la norma a introdurre una sanzione pecuniaria "secca", pari a mille euro, ridotta di due terzi se la comunicazione è effettuata spontaneamente quando l'intervento è in corso di esecuzione, per il caso di omessa presentazione della stessa, senza in alcun modo disciplinare l'ipotesi in cui la stessa si profili contra legem.
Qui sorge il conflitto tra le parti del processo, perché il privato ha ritenuto impossibile ed illegittimo di sancire l'inefficacia della comunicazione, nonché, a suo avviso, di attivare il potere di vigilanza previsto in termini generali dall'art. 27 del T.u.e. In mancanza di apposite disposizioni, l'indebito utilizzo dello strumento dichiarativo de quo è stato in passato e autorevolmente ricondotto alle ipotesi di attività edilizia radicalmente sine titulo, senza passare per il tramite della declaratoria di inefficacia, legittimando l'applicazione delle corrispondenti sanzioni.
Il Consiglio di Stato a questo punto richiama i la vori della Commissione chiamata ad esprimersi sul testo provvisorio del d.leg.vo 222/2016 ove il tema della necessaria preventiva declaratoria di inefficacia venne risolto sulla scorta della natura dello strumento: La Commissione speciale chiamata ad esprimersi sul testo provvisorio del d.lgs. n. 222/2016 (parere n. 1784/2016) infatti ha al riguardo affermato che "In tali casi l'amministrazione non può che disporre degli ordinari poteri repressivi e sanzionatori dell'abuso, come peraltro implicitamente previsto dalla stessa disposizione, laddove fa salve "le prescrizioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia [...]".
La differenza di regime tra la previsione di un potere meramente sanzionatorio (in caso di CILA) e quella di un potere repressivo, inibitorio e conformativo, nonché di controllo postumo in 'autotutela' rispetto alla SCIA si spiegherebbe, secondo il parere, "alla stregua dei principi di proporzionalità e di adeguatezza, tenuto conto che nella materia edilizia il legislatore ha costruito un sistema speciale, in cui il controllo dei poteri pubblici è meno invasivo qualora le attività private non determinino un significativo impatto sul territorio, secondo un modello che potrebbe essere chiamato di “semplificazione progressiva", il quale implica che "l'attività assoggettata a CILA non solo è libera, come nei casi di SCIA, ma, a differenza di quest'ultima, non è sottoposta a un controllo sistematico, da espletare sulla base di procedimenti formali e di tempistiche perentorie, ma deve essere 'soltanto' conosciuta dall'amministrazione, affinché essa possa verificare che, effettivamente, le opere progettate importino un impatto modesto sul territorio".
Ma a questo punto è innegabile che la mancanza di un controllo finisce per divenire decisamente controproducente per il privato che non avrà mai certezza della regolarità dell’intervento comunicato “…proprio la mancata previsione di sistematicità dei controlli rischia di tradursi in un sostanziale pregiudizio per il privato, che non vedrebbe mai stabilizzarsi la legittimità del proprio progetto, di talché la presentazione della CILA, considerata anche la modesta entità della sanzione per la sua omissione, avrebbe in sostanza l'unico effetto di attirare l'attenzione dell'amministrazione sull'intervento, esponendolo ad libitum, in caso di errore sul contesto tecnico-normativo di riferimento, alle più gravi sanzioni per l'attività totalmente abusiva, che l'ordinamento correttamente esclude quando l'amministrazione abbia omesso di esercitare i dovuti controlli ordinari di legittimità sulla SCIA o sull'istanza di permesso. “Per tale ragione è da preferire la ricostruzione operata da questo Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. IV, 23 aprile 2021, n. 3275), che ha inteso mutuare in subiecta materia i principi via via consolidatisi con riferimento alla separazione tra autotutela decisoria e esecutiva in materia di s.c.i.a. o d.i.a., in particolare dopo la pronuncia della Corte costituzionale n. 45 del 2019. Di esse, infatti, la CILA "condivide l'intima natura giuridica", sicché trovano applicazione i limiti di tempo e di motivazione declinati nell'art. 19, commi 3, 4, 6 bis e 6 ter della l. n. 241 del 1990, in combinato disposto con il richiamo alle "condizioni" di cui all'art. 21 novies della medesima normativa.
Dunque, i comuni devono tenere presenti in termini (e il dovere) di effettuare controlli adeguati stante che alla CILA si applicano le norme citate.