Corte Costituzionale n.93/2023
Ancora sulla doppia conformità – le edificazioni provvisorie in territori colipiti da sisma e la insanabilità se prive del requisito. A cura dell'Avvocato Marco Luigi Marchetti.
In una sentenza del Consiglio di Stato 30 marzo 2023 n.3291 si prevede che: “ La sanatoria, sia ai sensi della normativa nazionale (art. 36 d.P.R. n. 380/2001), che di quella regionale umbra (art. 154 l.r. n. 1/2015), riguarda soltanto gli abusi formali, ossia quelli relativi a interventi doppiamente conformi agli strumenti urbanistici vigenti alla data della realizzazione e alla data di presentazione dell'istanza. Ne deriva che quando manca la doppia conformità non è possibile proporre una futura modalità di adeguamento”.
E’ una sentenza di caratura ormai granitica ed iconica, confermativa di un principio ben noto agli operatori ( per la giurisprudenza penale cfr tra le tante:43823/2023).
Il tema della doppia conformità continua ad interessare la nostra materia per la sua riproposizione sui tavoli di dibattito e nella aule giudiziarie: facile pensare che spesso in queste ultime sia causata dal vicolo cieco ormai creato dalla normativa e dalla giurisprudenza sulla sanabilità in alcuni casi, ma è innegabile che ai più appare stridente con la logica che si debba demolire ciò che potrebbe essere esattamente riprodotto per una successiva conformità alle regole (cfr. Monetto, la sanatoria giurisprudenziale in:https://www.piemonteautonomie.it /la-sanatoria-giurispruden ziale –degli -abusi-edilizi/). Su questo tutti sanno che corrono anche voci su una possibile modifica normativa che elimini il limite, ma ad oggi il regime dell’art.36 rimane, con tanto di conferma sulla legittimità dell’impianto dalla Corte Costituzionale. La sanatoria cd. giurisprudenziale, (monoconformità) che ebbe applicazioni anche dal Tar Umbria, da tempo ha la strada sbarrata.
Perché un’opera sia sanabile è necessario, infatti, che rispetti sia la normativa vigente alla data di presentazione della pratica edilizia in sanatoria, sia la normativa vigente nel momento in cui è avvenuto l’abuso edilizio. L’art.36 del TUE recita:” in caso di interventi realizzati in assenza del permesso di costruire, o in difformità da esso, fino alla scadenza dei termini di cui all’art. 31, comma 3, art. 33, comma 1, art. 34, comma 1 e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione della stessa sia al momento della presentazione della domanda.”
Ne derivano ulteriori conseguenze - anche esse ancora discusse - e cioè la non ammissibilità di sanatorie parziali, o condizionate alla esecuzione di lavori, di opere abusive (Tar Toscana n.722/2022 tra le tante; idem la giurisprudenza penale: ad es. Cass.n. 2357 del 20 gennaio 2023 n.) che abbiano dato luogo a un intervento unitario, dato che l’art. 36 riguarda, appunto, l’intervento abusivo nella sua completezza e non la singola opera abusiva. Un esito appunto discusso alla luce di un principio che spinge comunque a regolarizzare il nostro tessuto edilizio così che - anche se parziale - comunque quell’ intervento sarebbe recuperato ad una funzione sociale e fiscalizzato; mentre sulle condizioni apponibili (ad es. ripristini parziali o modifiche) alcuni ritengono che il principio in fondo già esista pur se basato su presupposti diversi, alla luce dei disposti dell’art 33 del TUE, come generico adeguamento successivo dell’opera.
Dall’altro lato, come spiega il TAR, è consolidato l’orientamento secondo cui non è consentito il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria subordinato alla realizzazione di lavori che consentano di rendere il manufatto conforme alla disciplina urbanistica vigente al momento della domanda o al momento della decisione.
La sanatoria “condizionata”, o “con prescrizioni”, contraddice infatti sul piano logico la previsione di legge nella misura in cui contiene in sé la negazione della “doppia conformità”, e si giunge a una conclusione analoga quando gli interventi volti a conformare gli abusi alla disciplina urbanistico-edilizia vengano apportati preliminarmente su iniziativa dello stesso richiedente il titolo in sanatoria, tanto più che le opere realizzate su manufatti abusivi partecipano della medesima natura di questi ultimi.
Il tema tocca anche il rapporto con i beni vincolati, e quindi quello tra autorizzazione paesaggistica e sanatoria deI titolo abilitativo rilasciato a seguito di accertamento di conformità (art. 36 d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380), la quale estingue esclusivamente i reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti, ma non estingue i reati paesaggistici previsti dal d. lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, che sono soggetti ad una disciplina difforme e differenziata, legittimamente e costituzionalmente distinta, avente oggettività giuridica diversa, rispetto a quella che riguarda l'assetto del territorio sotto il profilo edilizio (Cass. pen., Sez. III, 9 settembre 2015 n. 40375).
Per la giurisprudenza (Cass. pen., 12 novembre 2020 n. 190) “il rilascio postumo dell'autorizzazione paesaggistica al di fuori dei limiti in cui essa è consentita ai sensi dell'art. 167, commi 4 e 5, d. lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, non consente la sanatoria urbanistica ex art. 36 d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, e non produce alcun effetto estintivo dei reati edilizi né preclude l'emissione dell'ordine di rimessione in pristino dell'immobile abusivo edificato in zona vincolata.
Poiché l'autorizzazione paesaggistica, secondo l'art. 146, comma 4, d. lgs. n. 42/2004, costituisce un atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio, lo stesso permesso di costruire resta subordinato al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica la quale, però, sempre secondo la norma richiamata, non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi, tranne nei casi dei c.d. abusi minori, tassativamente individuati dall'art. 167, commi 4 e 5, d. lgs. n. 42/2004.
Tale preclusione, considerato che l'autorizzazione paesaggistica è presupposto per il rilascio del permesso di costruire, impedisce di conseguenza anche la sanatoria urbanistica ai sensi dell'art. 36 d.P.R. n. 380/2001” Così Cass. pen. n.3258/2023.
Uno specchio di questo ragionamento sull’art.36 del TUE lo troviamo con l’art. 66 della LR11/2015 relativo agli immobili realizzati a seguito di sisma, abrogato e poi in pratica riattivato con l’art. 53 LR n.13/2016.
Il Tar Umbria, investito della questione, ha sollevato il sospetto di illegittimità costituzionale proprio alla luce dell’art. 36 TUE ritenendolo lesivo del principio della doppia conformità, e la Corte Costituzionale così si è pronunciata ( n.93/2023).
L’antefatto è che nell'ambito della legge sulla pianificazione urbanistica comunale (legge reg. Umbria n. 11 del 2005), l'art. 66 ha previsto, previo censimento di edifici realizzati in sostituzione di quelli oggetto di sgombero totale per effetto degli eventi sismici del 1997 (comma 1), la possibilità per i comuni umbri di adottare una apposita variante allo strumento urbanistico generale volta al recupero e alla riqualificazione delle aree in cui tali edifici ricadono, prevedendone il raccordo con gli insediamenti esistenti (commi da 3 a 6). L'approvazione di tale variante consentiva la sanatoria delle strutture provvisorie in essa «incluse[e]» «con il solo obbligo di accertamento della [loro] conformità alle previsioni della variante approvata» (comma 8); l'intera legge reg. Umbria n. 11 del 2005 è stata di seguito abrogata dall'art. 271, comma 1, lettera p), della legge della Regione Umbria 21 gennaio 2015, n. 1 ma la disciplina dell'art. 66 della legge n. 11 del 2005 e' stata integralmente trasposta nell'art. 258 dello stesso testo unico;
- tale ultima previsione è stata accompagnata dal comma 13 dell'art. 264 della legge reg. Umbria n. 1 del 2015, secondo cui «[i] titoli abilitativi relativi alle istanze di condono edilizio sono rilasciati previa acquisizione dei pareri per interventi nelle aree sottoposte a vincolo imposti da leggi statali e regionali vigenti al momento della presentazione delle istanze medesime, fatto salvo quanto previsto in materia sismica e di tutela dei beni paesaggistici e culturali»; a seguito della impugnazione da parte del Presidente del Consiglio dei ministri degli artt. 258 e 264, comma 13, della legge reg. Umbria n. 1 del 2015, la Regione ne ha disposto l'abrogazione con gli artt. 49 e 51 della legge della Regione Umbria 23 novembre 2016, n. 13 (Modificazioni ed integrazioni alla legge regionale 21 gennaio 2015, n. 1 - Testo unico governo del territorio e materie correlate).
La Corte, a sua volta, dopo avere constatato che le norme impugnate e poi abrogate erano rimaste in vigore dal 29 gennaio 2015 fino al 26 novembre 2016 e che non vi era prova della loro mancata applicazione, con la sentenza n. 68 del 2018 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 258 e del connesso art. 264, comma 13, della legge reg. Umbria n. 1 del 2015 per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, Cost. ( ripartizione di competenze tra regioni e Stato);
Il giudizio di legittimità costituzionale di allora non si e', tuttavia, occupato del comma 2 dell'art. 53 della legge reg. Umbria n. 13 del 2016, rubricato «Modificazione all'articolo 271 e riviviscenza», che ha, a sua volta, disposto la reviviscenza dell'art. 66 della legge reg. Umbria n. 11 del 2005 («[d]alla data di entrata in vigore della presente legge vige nuovamente l'articolo 66 della l.r. 11/2005»).
Il Tar ha ritenuto quindi che l'art. 66 della legge n. 11 del 2005 soffriva degli stessi profili di illegittimità costituzionale riscontrati dalla sentenza n. 68 del 2018 della Corte, in relazione alla «speculare» previsione dell'art. 258 della legge reg. Umbria n. 1 del 2015.
In pratica si riteneva che l'articolato finiva per introdurre un'ipotesi di condono edilizio straordinario in violazione dell'art.117, terzo comma, Cost. in relazione al principio fondamentale della materia «governo del territorio» e della doppia conformità, posto dall'art. 36 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, nonché' in violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. nella materia «ordinamento penale» (sanando si interveniva sugli effetti di un atto che costituisce reato).
Secondo la difesa regionale, tuttavia, oltre alla peculiarità della situazione conseguente al sisma, allo stato emergenziale, e alla esistenza di atti amministrativi che davano ragione alla possibilità di realizzare queste strutture anche se provvisorie, le relative disposizioni non prevederebbero un generalizzato condono in quanto stabiliscono stringenti procedure, limiti e condizioni per la regolarizzazione.
La sentenza della Corte Costituzionale ha censurato però la riproduzione della norma e ha poi cassato l’art. 66 citato perché la disciplina non ha avuto soluzione di continuità.
A seguito della sua abrogazione (al pari dell'intera legge regionale sulla pianificazione urbanistica comunale in cui era inserita) ad opera del suddetto testo unico, essa è stata integralmente trasposta nell'art. 258 di quest'ultimo, che ha ricalcato il più volte citato art. 66 nel testo (identico, fatta eccezione per i differenti richiami alla diversa legge in cui è contenuto) e nella rubrica («Recupero urbanistico-edilizio»), nonché nella collocazione sistematica in quanto, del pari, è l'unico articolo inserito nella parte intitolata «[n]orme speciali per le aree terremotate».
Quando, poi, l'art. 258 della legge reg. Umbria n. 1 del 2015 è stato a sua volta abrogato ad opera dell'art. 49 della legge reg. Umbria n. 13 del 2016, tale fonte ha contestualmente previsto la reviviscenza dell'art. 66 della legge reg. Umbria n. 11 del 2005.
Con la richiamata sentenza n. 68 del 2018, questa Corte si è occupata dell'abrogato art. 258 della legge reg. Umbria n. 1 del 015, e ne ha dichiarato l' illegittimità costituzionale per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, Cost.
In tale pronuncia si è così ritenuto che la disciplina censurata introducesse una fattispecie non riconducibile all'accertamento di conformità di cui all'art. 36 t.u. edilizia in quanto, per edifici non conformi, in tutto o in parte, agli strumenti urbanistici vigenti al momento della loro realizzazione, è previsto il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria al solo riscontro della conformità alle previsioni della variante appositamente approvata.
La Corte ha, dunque, affermato che l'art. 258 della legge reg. Umbria n. 1 del 2015 disciplinava una «ipotesi di condono edilizio straordinario, da cui discende la cessazione degli effetti penali dell'abuso, non previsto dalla legge statale, in contrasto con i principi fondamentali in materia di governo del territorio di cui al d.P.R. n. 380 del 2001 (in particolare con l'art. 36) e con conseguente invasione della sfera di competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile e penale».
La sufficienza del riscontro della conformita' del bene allo strumento urbanistico vigente al momento della presentazione della domanda di "regolarizzazione" rende la disciplina contraria al requisito della doppia conformita' di cui all'art. 36 t.u. edilizia, che secondo la giurisprudenza costante di questa Corte costituisce «principio fondamentale nella materia governo del territorio» (sentenze n. 77 del 2021, n. 70 del 2020, n. 68 del 2018, n. 232 e n. 107 del 2017), nonche' norma fondamentale di riforma economico-sociale (sentenza n. 24 del 2022).
Ai fini della "regolarizzazione" e' dunque necessario l'assoluto rispetto delle relative prescrizioni «durante tutto l'arco temporale compreso tra la realizzazione dell'opera e la presentazione dell'istanza» (da ultimo, sentenze n. 24 del 2022, n. 77 del 2021, n.68 del 2018, n. 232 del 2017), con la conseguenza che risultano sanabili i soli abusi formali (opere realizzate in difetto di, o in difformita' dal, titolo edilizio), che non arrecano danno urbanistico-edilizio (sentenza n. 165 del 2022).
“La previsione regionale di una sanatoria extra ordinem viola, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, i criteri di riparto della potesta' legislativa in tema di condono edilizio, e si traduce nella lesione di un principio fondamentale nella materia di
governo del territorio, con conseguente violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost.
Spettano, infatti, alla legislazione statale le scelte di principio e, in particolare, quelle relative all'an del condono, con la conseguenza che «esula dalla potesta' legislativa regionale il potere di disporre autonomamente una sanatoria straordinaria per il
solo territorio regionale» (sentenze n. 70 del 2020, n. 73 del 2017, n. 233 del 2015, oltre che, ancora, il precedente specifico costituito dalla sentenza n. 68 del 2018).
Quanto poi ai profili penalistici relativi agli abusi edilizi, ivi compresa l'estinzione dei relativi reati derivante dalla sanatoria (art. 45, comma 3, t.u. edilizia), essi sono integralmente sottratti al legislatore regionale in quanto afferenti all'ambito di competenza legislativa esclusiva statale nella materia «ordinamento penale» (in particolare, sentenze n. 68 del 2018, n. 49 del 2006, n. 70 del 2005, n. 196 del 2004).
Le esposte considerazioni non sono superate dall'argomentazione difensiva della Regione, secondo cui i cosiddetti edifici provvisori non integrerebbero ordinari abusi edilizi.
La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che la realizzazione di manufatti consentiti o tollerati per fronteggiare l'emergenza alloggiativa causata da eventi sismici, in attesa del recupero di quelli danneggiati, è caratterizzata da un regime di "provvisorietà" e, dunque, legata alla permanenza della situazione emergenziale. Tali manufatti costituiscono, pertanto, deroga al solo obbligo di edificare previa autorizzazione e non anche alla disciplina sulla vigilanza e controllo dell'attività urbanistica ed edilizia. Ne consegue che, venuto meno lo stato di emergenza, le opere provvisorie sono pienamente soggette al controllo amministrativo e possono essere mantenute solo se sanabili secondo l'ordinario regime previsto dall'art. 36 t.u. edilizia (tra le altre,
Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 31 luglio 2020, n. 4866).