Il parere del MASE sull’abrogazione tacita del 27 bis del TUA: perplessità e sospetti sugli assetti di competenza di poteri istruttori tra MASE e regioni
di Marco Luigi Marchetti
Il parere del MASE del 5 luglio scorso sta creando interrogativi di notevole portata, rivelando – non senza sorprese -il tentativo di una rivoluzione nell’ambito dei poteri istruttori nella nostra materia forse troppo incisiva per essere generata, quasi in sordina, attraverso l’interpello della regione Friuli Venezia Giulia, e foriera di consistenti perplessità. Tra l’altro in una fase storica che apre alle regioni - finalmente – uno spazio operativo e programmatorio atteso da tempo per effetto della emissione dei decreti ultimi che aprono alle competenze regionali per una pianificazione e per l’attuazione di quelle previsioni gerarchicamente ordinate per l’attuazione del principio di minimizzazione dell’impatto che costituisce cardine per attuare la transizione energetica italiana.
la regione citata il 18 settembre 2023 proponeva un” interpello ambientale” n. 147850 in ordine all’applicazione dell’art. 12, co. IV del D.Lgs 387/2003 così come modificato dall’art. 47, comma III, lett. C) del D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla Legge 21 aprile 2023, n. 41, il cui oggetto verteva sulla interpretazione e gli effetti della legge ultima citata in rapporto all’art. 12 del TUA. Si chiedeva cioè quali siano gli effetti della norma visto che ora si prevede che : “[...] 4. L'autorizzazione di cui al comma 3 è rilasciata a seguito di un procedimento unico, comprensivo, ove previste, delle valutazioni ambientali …..al quale partecipano tutte le amministrazioni interessate, svolto nel rispetto dei princìpi di semplificazione e con le modalità stabilite dalla legge 7 agosto 1990, n. 241. Il rilascio dell'autorizzazione comprende, ove previsti, i provvedimenti di valutazione ambientale di cui al titolo III della parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, costituisce titolo a costruire ed esercire l'impianto in conformità al progetto approvato e deve contenere l'obbligo alla rimessa in pristino dello stato dei luoghi a carico del soggetto esercente a seguito della dismissione dell'impianto o, per gli impianti idroelettrici, l'obbligo all'esecuzione di misure di reinserimento e recupero ambientale. Il termine massimo per la conclusione del procedimento unico è pari a novanta giorni nel caso dei progetti di cui al comma 3-bis che non siano sottoposti alle valutazioni ambientali di cui al titolo III della parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Fuori dei casi di cui al terzo periodo, il termine massimo per la conclusione del procedimento unico è pari a sessanta giorni, al netto dei tempi previsti per le procedure di valutazione ambientale di cui al titolo III della parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, se occorrenti. Per i procedimenti di valutazione ambientale in corso alla data di entrata in vigore della presente disposizione, il procedimento unico di cui al presente comma può essere avviato anche in pendenza del procedimento per il rilascio del provvedimento di verifica di assoggettabilità a VIA o del provvedimento di VIA”.
“L’analisi del novellato art. 12, co. IV del D.Lgs 387/2003 suggerisce” - scriveva la Regione - “che laddove la costruzione e l'esercizio di impianti FER presuppongano il rilascio di un provvedimento di verifica di assoggettabilità a VIA o di un provvedimento di VIA di competenza regionale, le procedure di valutazione ambientale di cui al titolo III del D.Lgs. 152/06 debbano essere esperite quali subprocedimenti del procedimento di autorizzazione unica previsto dall’art. 12 del D.Lgs. 387/2003. In particolare, ci si interrogava se, nell’ipotesi in cui il progetto debba esperire la procedura di VIA, detta procedura debba essere condotta secondo le cadenze procedurali previste dall’art. 27-bis del D.Lgs. 152/06 e rientrare, come peraltro previsto dall’art. 7-bis, comma VII, dello stesso Codice dell’ambiente, nel Provvedimento autorizzativo unico regionale addivenendo, in tal senso, ad un’inversione del carattere endoprocedimentale della VIA e dell’autorizzazione unica: oppure se, diversamente, debba essere esperito l’iter di cui agli artt. 23 e seguenti del D.Lgs. 152/06”.
Non sfuggirà al lettore che le conseguenze delle alternative letture sopra riportate sono particolarmente importanti per l’assorbimento che determinerebbero a favore del MASE anche rispetto alla procedura di VIA (quale subprocedimento), visto che questa uscirebbe dalla competenza regionale per finire sotto l’unico occhio valutativo ministeriale. E in effetti così ha poi risposto il MASE con il parere 14 giugno 2024, n. 110609. “L’analisi del novellato art. 12, co. IV del D.Lgs 387/2003 suggerisce che laddove la costruzione e l'esercizio di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili presuppongano il rilascio di un provvedimento di verifica di assoggettabilità a VIA o di un provvedimento di VIA di competenza regionale, le procedure di valutazione ambientale di cui al titolo III del D.Lgs. 152/06 debbano essere esperite quali subprocedimenti del procedimento di autorizzazione unica previsto dall’art. 12 del D.Lgs. 387/2003
Pertanto, la fattispecie di autorizzazioni per i progetti che prevedono la VIA di competenza regionale è stata normata dall’art. 27-bis del D.lgs. n. 152/2006, - PAUR -, comprensivo della VIA e dei suoi tempi, da svolgere in conferenza sincrona decisoria . Con la L. 21 aprile 2023, n. 41, di conversione del DL 13 febbraio 2023, è stato riscritto il comma 4 dell’art. 12 di talché – sostiene il ministero - ne è risultato modificato il precedente impianto normativo, anche sotto il profilo del coordinamento dell’Autorizzazione Unica (AU) con la procedura di VIA.
Ma che significa che è modificato l’impianto normativo? Il ragionamento svolto dal Ministero è semplice: Il citato art. 12 si riferisce anche ai casi in cui sono necessarie le autorizzazioni ambientali, atteso che esso prevede espressamente che il procedimento e l’autorizzazione comprendano anche le valutazioni ambientali ed i provvedimenti di valutazione ambientale di cui al titolo III della parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ovvero appunto la VIA. Da quanto sopra deriva - secondo il Ministero - che “il nuovo comma 4 dell’art. 12 del D.lgs. 387/2003, in quanto norma successiva e speciale, deroga all’art. 27 bis del D.Lgs 152/2006, con la conseguenza che per gli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili si deve applicare detto nuovo procedimento unico (AU) e non il PAUR”.
L’abrogazione, così contemplata dal Ministero, finisce dunque per attrarre nell’ambito del procedimento di AU tutti i subprocedimenti, compreso quello di VIA, che non potrà essere svolto dalla regione, ma che verrà attratto nella competenza Ministeriale. Questo non con una norma di legge, come ci saremmo aspettati, ma con un “parere”, fruendo del nuovo testo dell’art.3 septies del TUA (interpello in materia ambientale) che eleva il livello dell’atto a quanto ivi sancito: ”Le indicazioni fornite nelle risposte alle istanze di cui al presente comma costituiscono criteri interpretativi per l'esercizio delle attività di competenza delle pubbliche amministrazioni in materia ambientale, salva rettifica della soluzione interpretativa da parte dell'amministrazione con efficacia limitata ai comportamenti futuri dell'istante”.
Certo il timore rimane quello di vedere svanito il lavoro fino ad ora fatto, da alcune regioni anche di grande valore, che costituisce ad oggi l’esito di una percorso valutativo affinatosi nelle procedure, spesso sofferto, generatore di conflitti superati a volte con impegno mediativo e ponderativo, che con il tempo ha consentito anche di mitigare gli impatti, e perfezionare i criteri collocativi. Questo è quanto sapevamo e che veniva attuato quotidianamente in tutte le regioni, (penso all’area Via della Regione Lazio e a tutti i problemi affrontati nella Tuscia), spesso con risultati notevoli per la conoscenza dei territori, per il ruolo sussidiario rispetto ai comuni, per la creazione di prassi interpretative di valutazione dei lay-out progettuali, dei cumuli, per la conoscenza dei caratteri identitari dei territori, per la prossimità che, in sintesi, consentiva comunque di approcciarsi ragionevolmente alla tematica così complessa. Il tutto in un contesto di evoluzione normativa frenetica, di incertezze interpretative, di contrasti giurisprudenziali, di figure tecnologiche nuove (l’agrivoltaico ad es.) che rendevano ancora più difficile il consolidamento di risultati, e la evoluzione del lavoro sul territorio.
Ecco, tutto questo oggi sembra essere superato , lasciando spazio probabilmente ad un sistema che si assesterà sui criteri operativi già annunciati nel prossimo Testo Unico (di cui già circolano le versioni) che lascerà sul campo una nuova dicotomia di impianti, divisi per potenza, con ulteriore elevazione delle potenze per gli interventi liberi o semplificati in mano ai comuni da una parte, e dall’altra con gli impianti di grande potenza gestiti dal Ministero. Le perplessità che questo fulmine a ciel sereno pone sono molte, e si spera che le regioni sappiano intervenire prontamente a rimettere in riga un sistema che già è difficile governare, e riguardano la stessa portata di questo parere che tale rimane nei propri effetti e nei limiti che genera.
Va anche infatti valutato il parere come generatore o meno di un effetto così rilevante come il MASE pretende; tenendo conto che il “ parere”- come tale - non entra nella gerarchia delle fonti di diritto. Del resto occorre evidenziare che nella stessa Relazione Illustrativa al d.l. n. 77/2021 con cui è stato introdotto l’istituto, è stato specificato che “...tale disciplina riprende la ratio dell’interpello in materia di lavoro, di cui all’articolo 9 del decreto legislativo n. 124 del 2004 e successive modificazioni, modulando l’istituto sulla base delle specificità della materia ambientale” e che “il modello che si è scelto di adottare è riferito all’interpello c.d. improprio che si colloca tra gli istituti di consulenza giuridica, tenuto conto che con tale strumento si intende garantire indirizzi interpretativi in merito alle norme ambientali oggetto di istanza”. Le analogie con l’interpello in materia previdenziale e sociale, disciplinato dall’art. 91 , d.lgs. n. 124/2004 sono queste: che non ha effetto vincolante. Non vi sono quindi motivi per discostarsi da una conclusione analoga in questo caso. L’art. 3-septies precisa che le “indicazioni” ( il termine per sua natura esclude la cogenza) contenute nelle risposte alle istanze costituiscono “criteri interpretativi” senza prevedere sanzioni o effetti di altro tipo sull’atto assunto in conseguenza del parere e tanto meno per il mancato adeguamento da parte dell’istante. Tra l’altro l’articolo in esame esclude che la presentazione dell’istanza abbia effetto sulle scadenze previste dalle norme ambientali, o sulla decorrenza dei termini di decadenza, e non determina l’interruzione o la sospensione dei termini di prescrizione (così ragione anche la Regione Emilia Romagna e così conclude sugli effetti dei pareri dell’art. 3 qui commentato) :”quest’ultima previsione nega, quindi, ogni equiparazione dell’interpello con la “attività consultiva” di cui all’art. 16 della Legge n. 241 del 1990, che anche in caso di pareri facoltativi, cioè richiesti discrezionalmente dall’amministrazione procedente agli “organi consultivi delle pubbliche amministrazioni”, prevede l’applicazione dei meccanismi di sospensione e interruzione del termine del procedimento rispettivamente commi 2 e 4 ( così Regione Emilia Romagna parere in merito all’art.3 septies - sito regionale – 2024). La regione Emilia nel parere citato confronta anche l’interpello fiscale di cui all’art. 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212, “nel quale il legislatore ha stabilito espressamente - di contro - la portata vincolante della risposta elaborata dall’amministrazione finanziaria, prevedendo che “… la risposta, scritta e motivata, vincola ogni organo dell'amministrazione finanziaria con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell'istanza e limitatamente al richiedente..” Gli atti in questo caso, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio difformi dalla risposta, espressa o tacita, sono annullabili. Ma in questo caso la norma lo prevede espressamente, che è cosa ben diversa. Nel caso dell’art. 3 del TUA ciò non si verifica. Depone in questa direzione anche la riconduzione dell’interpello ambientale, come desumibile dalla Relazione Illustrativa al d.l. n. 77/2021, nell’ambito della “consulenza giuridica”, dalla quale si traggono dei meri “indirizzi” interpretativi, come peraltro chiarito sempre in ambito fiscale.
Da ultimo va citata la giurisprudenza: la sentenza del Consiglio di Stato 29 maggio 2023, n. 5257, chiamato a pronunciarsi in merito alla corretta interpretazione dell’art. 198, d.lgs. n. 152/2006, e che ha riformato la sentenza di primo grado quando questa si era adeguata al parere ministeriale in risposta a un interpello ambientale vertente sullo stesso tema.
La rilevanza dunque è solo consultiva.
Una abrogazione della caratura di cui stiamo parlando – con spostamento della procedura di VIA sottratta alla regione - non si effettua certo in questo modo. Il parere va relegato nell’ambito di effetti che l’ordinamento gli assegna. Il dibattito che deve nascere da questo caso dovrà portare ad una nuova visone delle competenze regionali, integrate dalle previsioni delle ultime fasi sui criteri generali di collocamento e la possibilità di dare concreta attuazione alle esperienze che i tavoli di VIA regionali hanno creato in questi anni.
In ultimo va anche smentito l’assunto secondo il quale la genesi di questa interpretazione ha alla base una norma speciale successiva che consente di dedurre un effetto abrogativo tacito per effetto della sola successione temporale. A parte che non si riconosce alcun carattere speciale alla norma citata dal Ministero, e comunque sarebbero allora speciali entrambe se per speciali si intendono quelle che toccano la disciplina di materie soggette a disciplina specifica, derogatoria di principi generali per effetto di esigenze protette dal legislatore, per cui il ragionamento non convince. Ma soprattutto non risulta coerente con il sistema che prima attribuisce tutta una serie di prerogative alle regioni e poi gli toglierebbe la possibilità di istruttoria di VIA sui progetti, con incoerenza inaccettabile. Quel parere rimane dunque espressione di un’attività consultiva, e solo questo.
Le regioni sappiano cogliere la necessità di affrontare tutto il compito che la legge ora assegna loro difendendo le proprie prerogative .