Il recupero del volume demolito.
La differenza tra ristrutturazione e nuova costruzione. Il confine per la giurisprudenza amministrativa. A cura dell'Avvocato Marco Luigi Marchetti - Avvocato Silvia Malacchi.
Il caso sottoposto ai Giudici amministrativi umbri riguardava la possibilità di ottenere da parte del privato un permesso di costruire per opere di ristrutturazione edilizia consistenti nella ricostruzione dell'immobile crollato e/o demolito ai sensi dell'art. 7, comma 1, lett. d), della l.r. n. 1 del 2015.
In edilizia si è assistito, invero, ad un progressivo ampliamento degli interventi assimilabili al concetto di ristrutturazione, il quale ha così visto, nel corso del tempo, espandere i propri confini fino a ricomprendervi ipotesi di demolizione e ricostruzione di immobile, erodendo, al contempo i casi annoverabili invece al concetto di nuova costruzione che oggi si fonda tutto sul carattere di stabilità spaziale e temporale dell’intervento.
La giurisprudenza è tutta dello stesso colore nel ritenere che per nuova costruzione si intenda: “qualsiasi intervento che consista in una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, attuata attraverso opere di rimodellamento della morfologia del terreno, ovvero costruzioni lato sensu intese, che, indipendentemente dai materiali utilizzati e dal grado di amovibilità, presentino un simultaneo carattere di stabilità fisica e di permanenza temporale, dovendosi con ciò intendere qualunque manufatto che sia fisicamente ancorato al suolo; il tratto distintivo e qualificante viene, dunque, assunto nell’irreversibilità spazio-temporale dell’intervento (TAR CAMPANIA 8luglio 2021 n.1680; Cons. Stato, sez. IV, nn. 6282 e 5466 del 2020; sez. VI, n. 4267 del 2016))
Pertanto, la differenza tra un intervento qualificabile come nuova costruzione, ed uno invece annoverabile alla ristrutturazione riposa tutta sull’elemento della “novità”, giacché mentre la nuova costruzione presuppone una trasformazione del territorio, la ristrutturazione è invece caratterizzata dalla preesistenza di un manufatto e quindi dall’assenza di un nuovo ulteriore impatto sul territorio. Il discrimine sta quindi nell’avvenuto impatto edilizio-urbanistico dell’opera. Se questo esiste, ovvero è esistito, è possibile parlare di ristrutturazione. Da questo filone si è arrivati a ricomprendere la demolizione e ricostruzione di un immobile come intervento di ristrutturazione edilizia, stante l’accertata esistenza dell’opera da ricostruire sul territorio. Accertamento che viene rimesso alla verifica di elementi precisi: la consistenza del manufatto, la sagoma e le sue caratteristiche planivolumetriche.
Nella fattispecie analizzata dal Tribunale Amministrativo di Perugia, in particolare, veniva invocato il disposto dell'art. 7, comma 1, lett. d), della l.r. n. 1 del 2015 (nel testo vigente ratione temporis), che ricomprende negli interventi di "ristrutturazione edilizia" "quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza". La previsione normativa riprende la definizione di cui all'art. 3, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 380 del 2001, per cui "costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza".
Si riportano i passaggi maggiormente esplicativi della pronuncia ove si chiarisce che per poter procedere, con un intervento edilizio di ristrutturazione, alla ricostruzione di un immobile preesistente occorre che sia preventivamente accertata la reale consistenza del manufatto. Tale onere probatorio incombe sul privato che deve dimostrare l’esatto ingombro planivolumetrico dell’edificio, le sue caratteristiche tipologiche e dimensionali.
“Pertanto, la disciplina regionale, in accordo con quanto previsto dal Legislatore nazionale, estende il concetto di ristrutturazione all'ipotesi di edificio che non esiste più, ma di cui si rinvengono resti sul territorio e di cui si può ricostruire la consistenza originaria con un'indagine tecnica (in tal senso cfr., ex multis, C.d.S., sez. VI, 3 ottobre 2019, n. 6654; T.A.R. Toscana, sez. III, 26 maggio 2020, n. 631); la giurisprudenza ha chiarito che l'accertamento della consistenza iniziale del manufatto demolito o crollato deve fondarsi su dati certi ed obiettivi, quali, ad esempio, documentazione fotografica, aerofotogrammetrie e mappe catastali, che consentano di delineare, con un sufficiente grado di sicurezza, gli elementi essenziali dell'edificio diruto (in tal senso cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 23 dicembre 2019, n. 6098; T.A.R. Liguria, 11 giugno 2020, n. 364; Cass. pen., sez. III, 28 aprile 2020, n. 13148).”
Secondo l'indirizzo giurisprudenziale consolidato già richiamato, "affinché si possa configurare un intervento di ristrutturazione edilizia - che oggi (a seguito delle modifiche all'art. 3, comma 1, lett. d), del d.P.R. 380/2001 apportate dal d.l. 69/2013, conv. con 1. 98/2013), ricomprende anche l'attività di ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione - è necessario che sia possibile accertare l'originaria consistenza del manufatto edilizio, con il corollario che deve essere esclusa in radice la riconducibilità dell'attività di ricostruzione di un rudere nell'alveo della ristrutturazione edilizia "nel caso in cui manchino elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell'edificio da recuperare: in particolare, un manufatto costituito da alcune rimanenze di mura perimetrali, ovvero un immobile in cui sia presente solo parte della muratura predetta, e sia privo di copertura e di strutture orizzontali, non può essere riconosciuto come edificio allo stato esistente"" (T.A.R. Veneto, sez. II, 9 luglio 2021, n. 910: cfr. C.d.S., sez. IV, 17settembre 2019, n. 6188; Id. 21 ottobre 2014, n. 5174; Id., sez. I, parere 27 maggio 2020, n. 1095).
“Spetta alla parte richiedente provare la preesistenza del fabbricato, le sue esatte dimensioni e sagoma. I ruderi del preesistente fabbricato, poi, devono essere idonei a consentire l'esatta configurazione di ciò che si asserisce era già esistente, dovendosi in caso contrario parlare di nuova costruzione ... è quindi ancora oggi da escludere che la ricostruzione di un rudere sia riconducibile nell'alveo della ristrutturazione edilizia nel caso in cui manchino elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell'edificio da recuperare: in particolare, un manufatto costituito da alcune rimanenze di mura perimetrali, ovvero un immobile in cui sia presente solo parte della muratura predetta, e sia privo di copertura e di strutture orizzontali, non può essere riconosciuto come edificio allo stato esistente (cfr. Cons. St., sez. IV, sentenza n. 5174 del 21 ottobre 2014, e TAR Lombardia, Brescia, sentenza n. 1167 del 26 settembre 2017). In mancanza di elementi strutturali non è infatti possibile valutare la consistenza dell'edificio da consolidare ed i ruderi non possono che considerarsi alla stregua di un'area non edificata" (C.G.A.R.S., sez. giur., 7 febbraio 2022, n. 163; C.d.S., sez. IV, 17 settembre 2019, n. 6188).
La sentenza, quindi, suggerisce di avere particolare cura nell’istruttoria per l’accertamento della consistenza e delle caratteristiche dei manufatti. Questo come e suggerimento ai Comuni che si dipanano in procedimenti talvolta complessi ove il confine tra ristrutturazione e nuova costruzione può apparire labile.