Cenni Storici
Prima che il parco Ranghiasci sorgesse, non vi erano giardini a Gubbio ma solo piccoli orti contigui ai palazzi patrizi in cui alberi da frutto e fiori erano mescolati con casualità. La creazione di questo impianto costituì, dunque, una straordinaria innovazione. Il grande giardino, della cui estensione e conformazione definitiva si ha una chiara visione dal catasto Gregoriano, ha una breve storia che va dal 1831 alla fine del 1849. L’area verde non è rielaborata su spazi preesistenti, ma nasce, sotto la spinta di una cultura e di un gusto preciso, dalla volontà di ricreare in zone precedentemente occupate da orti e fabbricati un giardino all’inglese, alla maniera di Goethe, con visuali e cannocchiali ottici, che sottolineano un panorama “pittoresco,” spaziando da San Martino a Piazza Grande attraverso la scansione delle torri medioevali tutt’oggi esistenti.
L’impianto fu fortemente voluto da Francesco Ranghiasci Brancaleoni, rappresentante di una nobile famiglia eugubina. Egli aveva sposato a Roma, nel 1827, Matilde Hobhouse, della contea di Bath, figlia di Sir Benjamin e sorella di Lord Broughton. Donna nobile, colta, di forte temperamento, la cui bellezza ispirò i versi dell’amico Ugo Foscolo che le dedicò le Rime di Petrarca con le parole: “Alla Gentile Giovine Matilde Hobhouse fanciulla”.
Presumibilmente in quell’anno del matrimonio, 1827, l’allora ventisettenne Francesco Ranghiasci Brancaleoni e sua moglie Matilde si recarono per la prima volta a Gubbio in occasione della festa dei Ceri. Il fatto è ricordato dal Lucarelli, storico locale eugubino, per altro attendibile nelle sue citazioni: la Hobhouse si sarebbe trattenuta nella città solamente due giorni per poi ripartire con altre signore, non precisate, alla volta di Firenze, seguita un giorno dopo dallo stesso Francesco. L’arrivo dell’inglese a Gubbio destò una certa curiosità per l’ingente dote che si vociferava arrivasse a 60.000 scudi. Le tracce della giovane donna si perdono nel 1853. Sappiamo che ebbe tre figli: Edoardo-Latino e Federico-Latino, a lei premorti, e Amelia-Latina che si stabili in Inghilterra dove la madre l’aveva portata sin da bambina. Il Moroni le attribuisce l’ispirazione del grande parco o villa, sul quale si affaccia la parte posteriore del palazzo: “Ranghiasci vi ha formato altresì ampia e grandiosa villa ad uso inglese per far cosa gradita alla nobile di lui consorte Matilde Hobhouse di tal nazione”, tuttavia, il marito Francesco portò avanti con grande fermezza e determinazione il progetto.
L’acquisto degli spazi necessari richiese dodici anni, la realizzazione del parco diciotto: dal 1831 al 1849. La prima di tali acquisizioni è datata 1831: il 7 dicembre di quell'anno Ranghiasci compra una piccola vigna con orto senza casa, posta nel quartiere di San Giuliano, da Tomaso di Felice. I lavori di costruzione del parco prendono il via tra il settembre e l'ottobre del 1841 come testimoniano le memorie del fondo Armanni per quell'anno annotano "[...] è stata demolita la chiesa di San Luca al pian terreno de la casa Rosetti che era l'antico monastero di San Luca è stato demolito da cima a fondo meno la torre, che resta ancora in piedi quantunque isolata".
I lavori per la sistemazione del parco continuano sicuramente fino al 1849.
Nel verde giardino vennero costruiti edifici neoclassici, come il tempietto che riporta al centro del timpano del tempio lo stemma Ranghiasci inquadrato con quello dei Brancaleoni, circoscritto dal motto: “Virtus omnia vincit”. L’emblema dimostra come questa architettura sia stata costruita prima dell’investitura di Francesco quale marchese. Il piccolo edificio, caratterizzato da colonne corinzie, ripropone modelli consueti. Basti pensare a quello del Parco di Monza su disegno del Piermarini o a quello di Villa Pamphili a Roma nonché, per arrivare a esempi più immediatamente e cronologicamente vicini alla costruzione del parco, a quello del Giardino Puccini a Scornio o del Giardino Corsi Scarselli di Firenze. Il tempietto è posto su un piccolo rilievo da cui domina le grandi e spaziose aiuole bordate di bosso. La scelta del luogo mostra come Ranghiasci fosse attento a collocare nei siti adatti le emergenze architettoniche. Ai tempietti spetta una posizione privilegiata nel contesto dei parchi e cosi è anche in questo caso, dove la testimonianza del potere dinastico della famiglia diviene esplicita attraverso lo stemma della casata disposto all’interno del timpano. La struttura del tempietto potrebbe essere stata ricavata da sacelli noti all’archeologo Ranghiasci, del quale rimangono inediti ancora molti scritti nell’archivio custodito dagli attuali eredi.
Il grande villino in mattoni progettato sullo schema della facciata del Palazzo Ranghiasci edificato in città. Rovine antiche e medievali furono risistemate, andando a configurare una passeggiata che richiamava il giardino all'inglese alla maniera di Goëthe, con visuali e cannocchiali ottici. Ranghiasci costruì uno splendido luogo, ma lasciò anche macerie...abbattè l’antico monastero di San Luca, fece chiudere un vicolo, invase spazi…
Con la morte del marchese Ranghiasci nel 1877 la proprietà fu divisa tra i figli e il fratello, e da questo momento inizia un lento ed inesorabile periodo di decadenza del Parco e del giardino. Durante il fascismo fu adibito a colonia elioterapica e le serre riadattate a docce che furono poi distrutte.
L’abbandono termina negli anni '80 quando la Provincia di Perugia ed il Comune di Gubbio acquistano la proprietà del bene e avviano i lavori di recupero ripristinandolo totalmente e aprendolo al pubblico.