Presentato in Provincia il volume che raccoglie le lettere dalla prigionia in Africa del caporale Elio Proietti - Il lavoro opera del nipote Giulio Bondi
(Cittadino e Provincia – Perugia, 13 febbraio ’10) – Una valigia di legno, fatta a mano, in mezzo a pagelle scolastiche degli anni ’20 e accendini forgiati da lamiere di aerei abbattuti, un pacchetto di lettere spedite dal Caporale Elio Proietti in Italia durante i suoi anni di prigionia in Africa. È da qui che nasce l’idea di un libro, “La storia di un uomo nella storia dell’uomo. Lettere dalla prigionia in Africa del caporale Elio Proietti. Febbraio 1941-gebbraio 1946”, ad opera del nipote Giulio Bondi, studente del Liceo scientifico “G. Galilei”. Il lavoro giunge a seguito di una tesina d’esame che il nipote Giulio, appassionato di storia in generale e della II Guerra mondiale in particolare, decide di testimoniare l’avventura del nonno. Il volume è stato presentato stamani presso la Sala del Consiglio della Provincia di Perugia alla presenza di rappresentanti dell’amministrazione provinciale (Assessorato alla Cultura), del Colonnello dell’Esercito Italiano Domenico Ingozza, Gianfranca Cicoletti, dirigente del liceo Galilei. Con questo appuntamento giunge a conclusione il percorso promosso dalla Provincia di Perugia sull’olocausto dal titolo “Il viaggio da cui si torna”. È stata una presentazione molto partecipata, con le emozioni palpabili che la lettura di alcune lettere hanno suscitato e dai ricordi del Colonnello delle sue esperienze di assistenza umanitaria in alcune missioni all’estero (Beirut, Kosovo, tanto per citarne alcune), ed è il Colonnello, che ha voluto per un attimo “spogliarsi” dalla divisa per parlare ai ragazzi presenti, la III D del Galilei, dei valori militari della patria e della crudeltà della guerra “che è sofferenza e distruzione e lascia il dolore soprattutto quando è finita”. Lezioni semplici, ma dai contenuti ricchissimi, emergono da quest'ultima testimonianza scritta da un soldato umbro che, fatto prigioniero poco dopo lo scoppio del secondo conflitto mondiale, nel febbraio del 1941, trascorse in Africa, in un campo di detenzione inglese, i cinque anni che sconvolsero l'Europa fino alla devastazione totale del vecchio continente. Nel dettaglio, il libro raccoglie le lettere inviate dal caporale Elio Proietti a Narni, alla sua famiglia, nel tentativo di comunicare e, confessa, di “non farsi dimenticare”, e rivelano non tanto la violenza e l'abiezione fisica di uno stato di prigionia quanto lo stato di alienazione complessiva – mentale e spirituale – al quale l'isolamento e la detenzione possono spingere. “Scorrendo i testi – è stato detto dai rappresentanti della Provincia -, in realtà, si ha l'impressione di un uomo che, forte di grandi valori di attaccamento alla famiglia, vive con una certa serenità la prigionia, vi riscopre legami di amicizia fra conterranei, dà un qualche valore anche al lavoro al quale lo si costringe. Eppure, una disperazione lenta e sotterranea, un'inquietudine e un dispiacere immenso covano nella sua anima e traspaiono da tante spie lessicali e da tante ossessioni: da quella del non sapersi spiegare la mancanza di notizie di suo fratello (che, appunto, sarà morto senza che nessuno gliel'abbia saputo o voluto comunicare) a quella di doversi fare carico lui, prima ancora della ragazza, della rottura del fidanzamento. C'è, dunque, un campo molto vasto di riflessioni che si può aprire a partire dalla lettura di queste lucidissime lettere, che incrementano non di poco la consistenza e la qualità di tale genere di testimonianze vantabili dall'Umbria”.
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(Cittadino e Provincia – Perugia, 13 febbraio ’10) – Una valigia di legno, fatta a mano, in mezzo a pagelle scolastiche degli anni ’20 e accendini forgiati da lamiere di aerei abbattuti, un pacchetto di lettere spedite dal Caporale Elio Proietti in Italia durante i suoi anni di prigionia in Africa. È da qui che nasce l’idea di un libro, “La storia di un uomo nella storia dell’uomo. Lettere dalla prigionia in Africa del caporale Elio Proietti. Febbraio 1941-gebbraio 1946”, ad opera del nipote Giulio Bondi, studente del Liceo scientifico “G. Galilei”. Il lavoro giunge a seguito di una tesina d’esame che il nipote Giulio, appassionato di storia in generale e della II Guerra mondiale in particolare, decide di testimoniare l’avventura del nonno. Il volume è stato presentato stamani presso la Sala del Consiglio della Provincia di Perugia alla presenza di rappresentanti dell’amministrazione provinciale (Assessorato alla Cultura), del Colonnello dell’Esercito Italiano Domenico Ingozza, Gianfranca Cicoletti, dirigente del liceo Galilei. Con questo appuntamento giunge a conclusione il percorso promosso dalla Provincia di Perugia sull’olocausto dal titolo “Il viaggio da cui si torna”. È stata una presentazione molto partecipata, con le emozioni palpabili che la lettura di alcune lettere hanno suscitato e dai ricordi del Colonnello delle sue esperienze di assistenza umanitaria in alcune missioni all’estero (Beirut, Kosovo, tanto per citarne alcune), ed è il Colonnello, che ha voluto per un attimo “spogliarsi” dalla divisa per parlare ai ragazzi presenti, la III D del Galilei, dei valori militari della patria e della crudeltà della guerra “che è sofferenza e distruzione e lascia il dolore soprattutto quando è finita”. Lezioni semplici, ma dai contenuti ricchissimi, emergono da quest'ultima testimonianza scritta da un soldato umbro che, fatto prigioniero poco dopo lo scoppio del secondo conflitto mondiale, nel febbraio del 1941, trascorse in Africa, in un campo di detenzione inglese, i cinque anni che sconvolsero l'Europa fino alla devastazione totale del vecchio continente. Nel dettaglio, il libro raccoglie le lettere inviate dal caporale Elio Proietti a Narni, alla sua famiglia, nel tentativo di comunicare e, confessa, di “non farsi dimenticare”, e rivelano non tanto la violenza e l'abiezione fisica di uno stato di prigionia quanto lo stato di alienazione complessiva – mentale e spirituale – al quale l'isolamento e la detenzione possono spingere. “Scorrendo i testi – è stato detto dai rappresentanti della Provincia -, in realtà, si ha l'impressione di un uomo che, forte di grandi valori di attaccamento alla famiglia, vive con una certa serenità la prigionia, vi riscopre legami di amicizia fra conterranei, dà un qualche valore anche al lavoro al quale lo si costringe. Eppure, una disperazione lenta e sotterranea, un'inquietudine e un dispiacere immenso covano nella sua anima e traspaiono da tante spie lessicali e da tante ossessioni: da quella del non sapersi spiegare la mancanza di notizie di suo fratello (che, appunto, sarà morto senza che nessuno gliel'abbia saputo o voluto comunicare) a quella di doversi fare carico lui, prima ancora della ragazza, della rottura del fidanzamento. C'è, dunque, un campo molto vasto di riflessioni che si può aprire a partire dalla lettura di queste lucidissime lettere, che incrementano non di poco la consistenza e la qualità di tale genere di testimonianze vantabili dall'Umbria”.
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