La costituzione dei Poli Energetici comunali - ripensare la città - il ruolo dei Comuni. Il tema della collocazione di grandi parchi fotovoltaici nei territori comunali.
Il tema dell’energia impone oggi scelte adeguate e veloci affinché si realizzino gli obiettivi che ormai premono su ogni settore della nostra società. A cura dell'Avvocato Marco Luigi Marchetti.
Il tema dell’energia impone oggi scelte adeguate e veloci affinché si realizzino gli obiettivi che ormai premono su ogni settore della nostra società: da un lato la transizione ecologica, e dall’altro la necessità di realizzare una progressiva autonomia energetica.
L’autonomia costituisce il tema di questa nota e vuole attirare l’attenzione sulla necessità che essa possa realizzarsi a più livelli, cominciando dai comuni. Il livello comunale è infatti quello che può avviare una prima linea difensiva e costruttiva nella produzione energetica per raggiungere una produzione endogamica mirante a realizzare a sua volta due obiettivi: il primo è quello della autosufficienza energetica per i propri immobili ed attività e quindi illuminazione pubblica, edifici pubblici, scuole, ecc .Il secondo – più ambizioso – è quello di riuscire a produrre energia per renderla distribuibile ai cittadini progressivamente secondo schemi e graduazioni preventive e condivise.
A tale fine si riporta un progetto realizzato in alcuni comuni del Lazio e che ha consentito - attraverso un meccanismo regolamentare e di economia a leva - di realizzare poli energetici comunali tramite un approccio innovativo della materia e la creazione di un modulo di collaborazione pubblico-privato supportato da una costruzione procedimentale coerente con l’impianto normativo vigente.
Il tema della collocazione di grandi parchi fotovoltaici nei territori comunali richiama una storia di lunghi conflitti, derivati generalmente da una politica non condivisa delle aziende rispetto alla valutazione antitetica dei Comuni derivata, a sua volta, dalla lesione territoriale, dalla erosione delle prerogative di produzioni agricole e di alterazione delle caratteristiche dello stesso territorio ipotecato per vari decenni ad una nuova destinazione, mancando prerogative pianificatorie e strategie per il futuro. A fianco dei comuni, ma con motivazioni diverse e più tecniche, il MIC e le soprintendenze, che vedono nelle FER la realizzazione di strutture sul territorio di grande capacità lesiva del paesaggio e della caratteristiche che lo stesso rappresenta quale elemento identitario.
Il conflitto, per la verità, vede altrettanto generalmente soccombenti i Comuni ed il MIC per motivazioni, in estrema sintesi, sia derivanti dalla natura giuridica degli impianti ( opere di pubblica utilità) - che costituisce accelerazione e beneficio interpretativo - e sia per un atteggiamento della giurisprudenza sempre meno incline a dare prevalenza alle valutazioni del MIC o dei Comuni a beneficio dell’effetto planetario della produzione di energia da fonti rinnovabili. L’attuale situazione di crisi energetica ha ulteriormente accelerato il fenomeno (il Consiglio dei Ministri ha da poco liberato in un colpo solo oltre mille giudizi di opposizione pendenti, a favore della installazione degli impianti).
Il quadro così genericamente e sinteticamente descritto è ben noto a chi conosce la materia, anche in rivoli e particolarismi che adesso sorvoliamo, ma il punto è che tutto questo deve portare ad un nuovo approccio, capace di minimizzare la lesione territoriale e massimizzare l’effetto di ricaduta sul territorio. Questi progetti comunque hanno spesso alle spalle capitali consistenti e quindi forza di investimento che deve essere forse più abilmente riversata sul territorio. Strategicamente è meglio governare un fenomeno che subirlo.
Il progetto citato sopra parte da un analisi attenta del quadro normativo e da una altrettanto attenta analisi dello stato del contenzioso nelle singole regioni, e soprattutto del Consiglio di Stato che ormai ha raggiunto posizioni consolidate tali da rendere inutili, per chi ha concezioni lungimiranti, alcune tipologie di conflitto che solo a parole divengono bandiera di difesa territoriale, ma che in realtà si risolvono in un danno per i comuni nonostante le buone intenzioni.
In secondo luogo nasce da una valutazione attenta degli spazi residui del potere regolamentare riconoscibile ai Comuni, di natura derivata dalla pianificazione urbanistica ma entro il più stretto recinto della materia di cui parliamo. Questo è l’esito che varia da regione a regione per la necessaria incidenza delle scelte che le singole regioni hanno effettuato, ma il principio è sempre rinvenibile e ritagliabile per poter realizzare il progetto.
In estrema sintesi: nulla preclude ad un Ente di ricavare, all’esito di un lavoro di esegesi particolare, un potere di pianificazione che consenta di immaginare una disciplina per la collocazione dei parchi fotovoltaici sul territorio - quelli considerati più lesivi, insieme agli eolici, e tale da tutelare i beni primari in genere cari ai Comuni e di cui sopra si è fatto cenno (tutela delle visuali nei transiti di flusso turistico, perdita della capacità di produzioni agricola, perdita di indotto, limiti di pianificazione urbanistica, tutela paesaggistica in genere, ecc…), e dall’altro di massimizzare la ricaduta territoriale imponendo misure compensative adeguate ( poli energetici, infrastrutture, ) e accessori delle stesse ( leva per la mano d’opera locale, formazione per nuovi lavori: manutenzioni, agrivoltaico, installazioni, smaltimento, ecc.).
Un altro valore che deve essere posto in gioco, e che può costituire leva nei confronti delle aziende, è costituito sia dalla certezza preventiva che dalla prevedibilità dell’esito delle istanze, e poi dalla accelerazione procedimentale che un atteggiamento favorevole del Comune può generare con incidenza economica particolarmente rilevante per le aziende stesse. Se si tiene conto dei tempi per le autorizzazioni (si arriva a superare i cinque anni in alcuni casi) ci si rende conto di come il tempo diventi valore reale su grandi investimenti (a Montalto le tre fasi delle conferenze di servizi vengono anche accorpate quando il progetto è stato vagliato dal comune in una conferenza tecnica preventiva appositamente creata e procedimentalizzata, così da garantire il pieno rispetto dei termini di legge a volte anche anticipati).
Tutto questo, unito ad un regolamento adeguato, a schemi di convenzione attuativa, all’utilizzo di tutte le risorse normative possibili (revamping periodici, applicazione delle BAT, disciplina delle mitigazioni verdi, ecc..) riesce, per esperimento già realizzato, a consentire la realizzazione di infrastrutture importanti e di valore.
Oltre a questo il Comune deve esaltare, nell’ambito delle previsioni normative e del diritto alle misure compensative la possibilità di costruire una leva economica traducibile, lontano da una visione miope e di ricerca di facile consenso, in opere importanti a livello infrastrutturale ed energetico, prime tra tutte, per affinità di core business delle aziende, gli impianti fotovoltaici. Tenendo conto dei business plan di progetti di grandi parchi fotovoltaici, le misure compensative possono essere particolarmente importanti se rapportate non tanto ai parametri del dm. del 2010, quanto a tutto questo nuovo apparato che offre alle aziende ben altre garanzie sui tempi e sulla certezza a priori, così da poter elevare il valore aggiunto che questo nuovo sistema può dare. L’esperienza di Montalto, di Tarquinia, di Canino ed altri che seguono questo modello è la prova della sua possibilità concreta e della sua efficienza.
Il progetto prevede la necessità di un’adeguata analisi del territorio (lavoro complesso ma realizzabili in tempi molto contenuti e lontani da quelli della pianificazione ordinaria), la predisposizione dei regolamenti e delle delibere di principio ed operative con schemi di convenzioni annesse.
IL senso di tutto questo è stato così di progettare e realizzare il primo PEC ( polo energetico comunale) che con oltre sette MWp consente di realizzare gli scopi di cui si parlava sopra.
Ma il tema corre anche verso l’inevitabile confronto su scala più ampia. Non si può infatti ormai immaginare che una città non si ponga più il tema della propria capacità produttiva di energia, e della propria autonomia sul tema, consentendo non solo un effetto su scala planetaria, ma anche su scala locale, e non tanto per la economicità dell’autoproduzione, quanto per la possibilità di trasformarsi in una sorta di serbatoio per i propri cittadini e per le proprie imprese che potranno contare su un supporto pubblico concreto che tocca un aspetto ormai vitale della propria sopravvivenza. Inutile menzionare i costi per la produzione industriale e la percentuale di aumento che giace sule prossime spese fisse dei produttori. Inutile dire che questa vicenda sia colorata da urgenza. Il tema è non passare alla convinzione che sia giusto fare, ma molto più concretamente a come si possa realizzare.
Non va neanche dimenticato il tema delle comunità energetiche, che possono anche esse, nel loro schema generare la possibilità di una risposta veloce al tema. La normativa ultima (199/2021) ha elevato a 1 MWp la potenza possibile rispetto ai precedenti 200 kwp, e ha rotto confini spaziali limitativi. I privati si stanno organizzando, ma sono risposte ancora deboli negli effetti di cui si avverte il bisogno. I comuni devono prendere in mano la situazione e procedere come avanguardie a costituire e incentivare la formazione di questi strumenti. I problemi normativi che spesso i detrattori pongono sono tutti superabili (derogabilità dell’art. 38 c.c. per le associazioni non riconosciute mediante strumenti contrattuali o mediante riconoscimento della personalità giuridica sulla scorta proprio dell’art. 12 del d.leg.vo 387/2003, ecc.).
Alla base di tutto c’è il tema più grande, che è quello di ripensare le nostre città, immaginarle ormai come capaci di assolvere a queste nuove funzioni e dotazioni. Gli spazi si dilatano, le categorie delle destinazioni urbanistiche svaniscono, la “compatibilità” sostituisce la “conformità”, e la dotazione di energia diventa un obbligo inderogabile non solo nella edificazione e nella ristrutturazione, ma nella stessa possibilità di fruizione, agevolando così la transizione e supportando adeguatamente i privati.
Le migliori competenze della nostra Nazione sono chiamate a mettersi in campo per raggiungere velocemente questo obiettivo, e spetta alla parte pubblica aprire la strada e crearne le condizioni.