Convenzioni urbanistiche e prescrizione dei termini
Il tema è rilevantissimo nel quotidiano dei comuni, anche per le conseguenze - spesso considerevoli a livello economico nonchè territoriale - dal momento che la decorrenza dei termini porta alla impossibilità di acquisire aree o pretendere opere, vanificando investimenti pubblici e programmazioni urbanistiche. A cura dell'Avvocato Marco Luigi Marchetti
Diciamo subito che sulla prescrittibilità delle obbligazioni assunte dal privato attuatore in base alla convenzione urbanistica che accede allo strumento attuativo si registrano due orientamenti: il primo si appoggia sulla ultrattività del piano attuativo ( ex art.17 legge urbanistica) e si giustifica alla luce dell'esigenza di un interesse pubblico evidente afferente al governo del territorio ed alla necessità che le previsioni vengano attuate, non potendo giustificarsi che un privato possa fruire dei profitti di una lottizzazione ma senza corrispondere nulla, il che avverrebbe se egli potesse sottrarsi all'obbligo di fornire gli spazi occorrenti per l'urbanizzazione primaria e secondaria, che nel modello delineato dalla legge urbanistica non rappresentano una qualunque controprestazione ma un fattore imprescindibile e condizione di legittimità della lottizzazione. Dal che discenderebbe il principio di imprescrittibilità degli obblighi di cessione assunti dai privati a mezzo di convenzioni urbanistiche (Cons. Stato, Sez. IV, 26 agosto 2014 n. 4278 e Id., 14 giugno 2018 n. 3672).
Ma vi è un orientamento contrario, che poggiando sulla natura negoziale della convenzione attuativa del piano, ritiene che la sua disciplina debba essere quella di un qualunque contratto con conseguente prescrizione delle azioni che da esso nascono anche a favore dell’ente pubblico (dieci anni da quando è possibile acquisire). Sembrerà un termine più che congruo, ma chi conosce la realtà dei comuni sa bene che così non è. La pianificazione in Italia ha visto sempre tempi lunghi, e i piani attuativi non fanno eccezione: i tempi di attuazione si dilatano nel tempo, con modifica delle situazioni, aggiustamenti, e spesso con i comuni che ritardano le formalità necessarie a prendere in carico le aree e realizzare le opere.
Su questo segnalo anche che il tema della inerzia dei comuni costituisce fonte di responsabilità erariale, dal momento che sia il ritardo che la mancata acquisizione portano ad un depauperamento dell’ente e ad un inadempimento a obblighi ben precisi, per la privazione di aree che sarebbero destinate ad essere di proprietà pubblica e con scopi di interesse generale, fruizione di aree verdi per i cittadini, standard, e così via.
La sentenza in epigrafe aderisce all'opposto orientamento per la semplice considerazione che essa assume la natura negoziale della convenzione urbanistica e, conseguentemente, afferma la prescrittibilità della pretesa dell'Amministrazione di ottenere la realizzazione delle opere di urbanizzazione (e la cessione gratuita delle aree). Sicché una volta scaduti i termini di validità della convenzione urbanistica o il diverso termine stabilito dalle parti, l'esercizio di ogni azione legale per l'adempimento delle obbligazioni ivi contenute risulta prescritto se non esercitato entro il successivo termine di dieci anni (ex multis, T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. IV, 17 ottobre 2022 n. 2728; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 20 dicembre 2019 n. 2710; T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, 11 febbraio 2004 n. 205; Cons. Stato, Sez. IV, 14 maggio 2019 n. 3216; Id., Sez. IV, 16 luglio 2021 n. 5358; Id., Sez. II, 1 dicembre 2021 n. 8006).
La sentenza peraltro rileva anche per altri aspetti dal momento che ritiene esperibile il rimedio dell’azione disciplinata dallìart.2932 c.c.. La particolarità di questo istituto è che consente di rivolgersi al giudice e di ottenere direttamente a favore dell’ente la proprietà delle aree che il privato avrebbe dovuto ad esso trasferire. Il problema è che l’azione va esercitata entro il decennio da quanto il comune poteva acquisire.
L'azione prevista all'art. 2932 c.c. (ammessa nel processo amministrativo) al fine di ottenere l'esecuzione della convenzione di lottizzazione e, in particolare, l'accertamento e la declaratoria del trasferimento delle aree destinate a cessione gratuita ha ottenuto vari riconoscimenti giudiziari (ex multis T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 20 dicembre 2019 n. 2710; Cons. Stato, Sez. IV, 25 giugno 2010 n. 4107; T.A.R. Marche, 24 maggio 2013 n. 388).
Forse un superamento della querelle potrà ottenersi mediante il consolidamento di un altro filone interpretativo che vede nelle convenzioni urbanistiche uno strumento procedimentale che ha posizione intermedia ( Cons. Stato, n.4110/2023). La convenzione, in questa ipotesi, troverebbe ormai idonea collocazione nell'art. 11 della l. n. 241 del 1990, che ha di fatto portato a sistema tutte le astratte possibilità di accordo cui la pubblica amministrazione può addivenire con i privati. Essa non costituisce un contratto di diritto privato, né ha specifica autonomia e natura di fonte negoziale del regolamento dei contrapposti interessi delle parti stipulanti, configurandosi piuttosto come atto intermedio del procedimento amministrativo volto al conseguimento del provvedimento finale, dal quale promanano poteri autoritativi della pubblica amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. II, 19 gennaio 2021, n. 579). Il Consiglio di Stato prevede che essa sia imprescindibile, per cui in assenza di tale momento pattizio la fase endoprocedimentale finalizzata al rilascio del titolo, che andrà ad implementarsi del contenuto dello stesso, non può essere portata a compimento. Laddove, quindi, l'opera sia assentibile con un mero procedimento dichiarativo, egualmente lo stesso non potrà essere attivato, fermi restando i poteri inibitori e sanzionatori espressamente previsti dalla legge per impedirne la prosecuzione o rimuoverne gli effetti.
Questo nell’ottica della centralità della pianificazione attuativa ribadita più volte dalla giurisprudenza: “Gli strumenti attuativi costituiscono lo snodo fondamentale per completare il processo di sviluppo del territorio, consentendo il raggiungimento di un risultato che la previsione generale (e spesso minimale) del Piano regolatore non sarebbe in grado di raggiungere. L'esigenza di una visione unitaria e complessiva della concretizzazione delle disposizioni programmatorie più elevate, evitando situazioni disorganiche e disorganizzate soprattutto in precisi ambiti settoriali, si realizza poi nel rapporto tra piano attuativo e successivo rilascio dei singoli titoli edificatori, dei quali il primo diviene conditio sine qua non, non solo nell'an, ma anche nel quomodo. Il meccanismo, cioè, tipicamente multilivello che connota variamente la disciplina urbanistico-edilizia, implica una trasversalità verticale tra previsioni di massima, obiettivi di settore e strumenti concreti di attuazione: l'ottenimento di un titolo edificatorio relativo ad un fabbricato da realizzarsi all'interno di un Piano attuativo è possibile proprio perché sono stati definiti a priori e a monte tutti gli elementi caratterizzanti la futura urbanizzazione del territorio, nel quale le costruzioni private verranno ad inserirsi, definendo gli standard urbanistici e localizzando attrezzature, infrastrutture, reti, ecc., nonché disciplinando la fase esecutiva e i soggetti esecutori.
Il ricorso agli strumenti attuativi costituisce perciò un preciso modello di pianificazione degli interventi per renderne razionale la realizzazione su un'area non urbanizzata, ovvero il cui livello di urbanizzazione non sia ritenuto sufficiente ovvero ancora per il quale si reputi necessario un potenziamento e una riqualificazione delle dotazioni territoriali in vista della specifica direzione di sviluppo che si intenda imprimere loro, anche in funzione di esigenze di miglioramento della vivibilità, di tutela dell'ambiente, ovvero di leva allo sviluppo economico (si pensi alla scelta di concentrare le attività produttive in un'unica zona, connotata da ampie infrastrutture viarie, ubicata lontano dai centri urbani, sì da produrre anche un indiretto effetto di "alleggerimento" dai disagi conseguenti alla compresenza di situazioni eterogenee riferito a questi ultimi). Il Comune è in definitiva chiamato a valutare nelle sue scelte di buon governo del territorio se vi sia un sufficiente rapporto di proporzionalità fra le infrastrutture, lato sensu intese, e i bisogni degli abitanti insediati e di quelli che si prevede vi si insedino, proprio in ragione della scelta urbanistica effettuata, avuto riguardo anche alla tipologia degli insediamenti (residenziali, produttivi, commerciali, ecc.)” ( così Cons. Stato n.4110/2023).
In pratica la cura di questi interessi si ottiene attualizzando gli strumenti urbanistici ed utilizzando i numerosi istituti che l’ordinamento mette e disposizione dei comuni. SE vi sono parti inattuate o rette da PPE ormai vetusti è bene procedere a riordinare subito la situazione prima diffidando e mettendo in mora i privati che debbono cedere le aree e poi procedendo alla acquisizione.