Le problematiche emerse
La prevalente dimensione medio-piccola degli stessi e la presenza significativa di allevamenti estensivi, o semiestensivi, nelle zone alto collinari e montane
L’allevamento zootecnico, è in genere connotato da caratteri assai aggressivi nei confronti del territorio che lo ospita: la forte concentrazione di animali e le poco naturali modalità di vita a cui questi sono costretti dalla organizzazione produttiva, comportano rischi di carattere igienico sanitario all’interno ed all’esterno dell’allevamento per i quali è necessario introdurre rimedi e compensazioni che spesso vanno ad appesantire quegli stessi rischi portandoli ad una dimensione ambientale e sociale più estesa interferendo strettamente con un intorno che, a seconda delle dimensioni dell’allevamento e soprattutto della sua localizzazione, può essere anche assai vasto. Ciò fa sì che questo particolare ramo produttivo, che si vuole riconnettere alla agricoltura, abbia più i caratteri di una attività produttiva di tipo secondario piuttosto che primario e che comunque potrebbe, almeno per i casi di maggiore dimensione, richiedere una collocazione specifica, aggregata e adeguatamente infrastrutturata sul territorio.
Tutto ciò è evidente soprattutto allorchè ci si trova in presenza di allevamenti intensivi, in genere diffusi in aree di pianura e collinari.
Ciò evidentemente avviene anche nella Provincia di Perugia, ove il quadro della zootecnia mostra queste stesse caratteristiche e problematiche, ma ove presenta anche delle specificità che lo rendono, almeno per alcune tipologie di allevamento, meno conflittuale con il suo territorio. In primo luogo va osservata, accanto ad una estesa diffusione degli impianti, la prevalente dimensione medio-piccola degli stessi e la presenza significativa di allevamenti estensivi, o semiestensivi, nelle zone alto collinari e montane (in piccola parte bovini e principalmente, ovini).
Tra tutte le tipologie di allevamenti zootecnici, quella degli allevamenti ovini risulta meno segnata da quelle connotazioni negative che in genere vengono attribuite agli impianti zootecnici in rapporto al loro intorno. In essa è prevalente la modalità estensiva che comporta una relazione “più naturale” tra animali e territorio limitando in modo significativo la concentrazione di rifiuti e di prodotti inquinanti sul terreno e quindi sui sistemi idrici superficiali; ma oltre a ciò, tale modalità costituisce un fattore fondamentale per creare un tipo particolare di paesaggio fondato su un mosaico paesaggistico la cui sostenibilità è garantita dalla presenza della pratica zootecnica. Vale dire che, mentre per gli altri allevamenti zootecnici intensivi, dove il rapporto animale–territorio ha un peso assai limitato e non affronta il problema della sostenibilità, è necessario introdurre concetti e criteri proprio della gestione del territorio urbano–produttivo entrando comunque in contrasto con i caratteri più propriamente agricoli o seminaturali dell’intorno, per quanto riguarda gli allevamenti zootecnici estensivi ed in particolare per quelli ovini che ne rappresentano nel territorio della provincia di Perugia una parte significativa, essi costituiscono una componente identitaria.
Tale circostanza pone questa particolare attività zootecnica su un piano assai diverso rispetto alle altre tipologie considerate che nelle modalità più praticate mal si conciliano con una idea di agricoltura tradizionale ove il contesto territoriale conserva un ruolo determinante nella definizione delle attività che ospita; l’allevamento degli ovini, figlio moderno della “pastorizia”, rappresenta lo strumento per gestire in modo sostenibile quel territorio.
E’ stato già rilevato come, nel territorio della Provincia di Perugia, la dimensione degli allevamenti dominante sia quella degli impianti piccoli o medio-piccoli. Pur avendo già operato una riduzione del campo d’indagine, con l’esclusione degli allevamenti che potevano essere considerati, in senso esteso, a carattere “familiare” concentrando l’analisi sull’esigua parte residua, l’analisi stessa ha evidenziato il permanere di una base diffusa e numericamente significativa di impianti esterni alle aree che essa segnala come luoghi con situazioni di addensamento, concentrazione o picco. Nell’ipotesi della ricerca quindi si tratterebbe di situazioni in cui i “rischi” possibili sono legati esclusivamente alla dimensione ed alla gestione del singolo impianto e non alle interazioni di più impianti in rapporto di prossimità. Questa può essere ritenuta una condizione generalmente di minor impatto, e controllabile all’interno della singola gestione aziendale, almeno ai fini delle problematiche naturalistico-ambientali, mentre per le altre situazioni, e soprattutto per quelle di “picco”, sarà necessario definire strategie d’area con indirizzi di gestione territoriale in grado di coordinare le azioni delle singole unità produttive con quelle di tutela proprie della competenza pubblica, al fine di eliminare, o almeno mitigare le ricadute negative prodotte da quelle interazioni.
Ma, sempre in rapporto a questa presenza massiccia e diffusa di strutture produttive di piccole dimensioni poco significative forse per il loro apporto in termini di produzione zootecnica, va anche osservato che essa costituisce comunemente una massa di volumi e superfici, al momento “dormiente”, ma pronta ad attivarsi in qualsiasi momento per configurare situazioni di “territorio compromesso”, “ambiti di riqualificazione” o semplicemente operazioni di manutenzione e trasformazioni d’uso e quindi affermare di fatto l’urbanizzazione di aree finora esterne a tali destinazioni d’uso. La piccola dimensione di queste strutture produttive e, con essa, la loro marginalità rispetto agli andamenti del mercato del settore, costituiscono fattori di grande mobilità nella ricerca di situazioni più redditizie fra le quali quelle sopra indicate a titolo di esempio, risultano senz’altro assai praticate. Anche questa particolare problematica richiede una adeguata attenzione in sede di pianificazione urbanistica.
Per quanto riguarda lo specifico delle singole tipologie di allevamento, il quadro delle situazioni emergenti rappresentato dall’analisi puntuale è il seguente:
Tra le 17 aree critiche (aree di densità locale medio-alta o alta) individuate nella provincia di Perugia, 6 sono quelle che raggiungono situazioni di picco (alta densità locale) ed interessano:
- i versanti del territorio di Passignano sul Trasimeno e Magione che guardano sulla parte nord-ovest della Valle del Caina (F.ssi Formanuova e Ginepreto);
- il territorio di Piegaro nella zona di formazione del F. Nestore, all’altezza di Ierna;
- i versanti del bacino idrografico su cui il Caina, da S.Mariano di Corciano si immette (F.Nestore-Tevere) attraversando i territori di Marsciano (bassa valle del Caina, valle della Genna, versante occidentale della Valle del Tevere);
- il territorio di Castiglione del Lago lungo gli assi del Fosso Paganico, del Rio Pescia e del Rigo Maggiore, tutti tributari del Trasimeno;
- i versanti ad est e a sud di Montefalco, posti sul bacino del T.Attone e sul sistema della Valle Umbra (Fosso Formella, T. Teverone, T.Timia, F.Topino);
- il terrazzamento di Massa Martana sovrastante le colline di Todi lungo la strada provinciale Collevalenza-Bastardo, in prossimità di Castelrinaldi, segnato dal sistema Fosso di Castelrinaldi, T.Tribio, T.Naia.
Rispetto al tema della vulnerabilità paesaggistico panoramica: 1) gli impianti posti in loc.Castelluccio, lungo la strada che lega Castel Rigone con Magione, interferiscono con il cono visuale tutelato (Veduta da CastelRigone verso Perugia); 3) la gran parte degli impianti posti ai lati del crinale della SR. Marscianese, il cui versante orientale è riconosciuto di valore paesaggistico elevatissimo, interferiscono con coni visuali tutelati e in alcuni casi, tra S. Fortunato della collina e Cerqueto, ricadono in aree ad alta visibilità dalle strade; 4) gran parte degli impianti nel territorio di Castiglione del Lago ed in particolare quelli nelle loc. I Pieracci, Molino delle Monache, Badia, Frattavecchia, Ranciano Alto, Sanfatucchio e Carraia interferiscono con coni visuali tutelati.
Su 15 aree in cui la presenza di capi bovini raggiunge densità superiori alla media, 7 sono quelle che segnalano situazioni di picco. Tranne uno in comune di Cascia (loc. Buda e Trognano), posto in quota e con i caratteri di impianto estensivo, si tratta di allevamenti posti in pianura o bassa collina, intensivi, ben raccordati alla rete viaria, ma anche posti a contatto o all’interno di aree urbane o urbanizzate, a distanze ravvicinate alle reti idriche superficiali e ai sistemi idrici sotterranei con potenziali interferenze con questi e con i loro usi. Il quadro nel dettaglio è il seguente:
- tra le loc. I Pieracci, La Piana e Molino della Monache, nel comune di Castiglione del Lago, lungo il corso del Fosso Paganico;
- lungo il F.Chiascio, tra gli insediamenti di Torchiagina, Petrignano, Costano e il F.Topino tra Cannara e Castelnuovo attraverso la Valle Umbra ed il suo acquifero alluvionale, a volte in prossimità e a contatto con i campi pozzi idropotabili;
- tra le loc. Cesi e Popola, al Valico di Colfiorito, lungo la SS.76 del Chienti e sul versante marchigiano;
- nella fascia centrale della Valle Umbra, dal Colle Belvedere (Foligno), a Torre di Montefalco, al versante posto tra la Zona Industriale di Bevagna ed il Santuario delle Grazie, alla Madonna della Valle, in rapporto stretto con quei sistemi idrici (Alveo di Montefalco, T.Teverone, fosso Cocagna e Torrente Maroggia);
- nella parte più a sud, nei territori di Spoleto e Trevi (S.Brizio, La Bruna, Torre) sempre sul T.Maroggia ed i campi pozzi ivi esistenti;
- nella Piana di S. Scolastica, a Norcia, lungo il percorso del F. Sordo ed in prossimità della sorgente Salicone.
Dal punto di vista paesaggistico panoramico, va osservato che spesso queste attività risultano localizzate all’interno di aree di riconosciuta valenza (Colle Belvedere, Torre Montefalco, Bevagna e Santuario delle Grazie, Norcia e Piano di S. Scolastica) e a volte ricadono in aree ad alta esposizione panoramica (colle Belvedere) e, più spesso, in aree ad alta visibilità (Cannara, S.Brizio, Madonna della Valle, Casale dei Cappuccini- Norcia) o interferiscono con coni visuali tutelati (Costano, Cannara, Colle Belvedere, Torre Montefalco).
Tra le 26 aree critiche individuate dallo studio, 17 sono quelle in cui la presenza di ovini raggiunge valori di picco. Di queste ultime, 5 sono aree di pianura o fondovalle in rapporto diretto con il sistema infrastrutturale viario principale, ed integrate con un sistema insediativo esteso come quello della Valle Umbra (Castel d’Arno-Pianello sul F.Chiascio, Budino di Foligno sul F.Topino, Castel S.Giovanni e Fonti del Clitunno) oppure con un sistema insediativo più raccolto ed isolato come quello della Piana di S.Scolastica (Norcia). Gli allevamenti qui attivi sono prevalentemente intensivi e con le problematiche comuni agli altri allevamenti di questo tipo. Per quanto riguarda la problematica ambientale va ricordato che gli insediamenti della Valle Umbra interferiscono con un sistema idrico superficiale complesso e già sottoposto ad una forte pressione insediativa e produttiva e con un sistema di acque sotterranee coinvolto, specie nella fascia centrale della Valle, nel soddisfacimento del fabbisogno idrico dell’intera area. I corsi d’acqua maggiormente interessati dalla interferenza con questi impianti produttivi sono il Chiascio, il Topino, il T. Maroggia e il Fosso Tattarena; le acque sotterranee coinvolte sono quelle sfruttate dai campi pozzi attivi tra le Fonti del Clitunno e Castel S. Giovanni.
Le rimanenti 12 aree con densità a valori massimi, sono aree collinari, per lo più d’alta collina, collegate funzionalmente ad ambiti posti a quote superiori dove è possibile, per lunghi periodi dell’anno, praticare il pascolo. Sono aree dove tradizionalmente è stata praticata la pastorizia, ma anche aree, specie quelle di media o bassa collina, dove l’allevamento di ovini era parte di una pratica agricola articolata e, dopo l’abbandono di quest’ultima con la fine della mezzadria, è passato dall’essere una attività complementare in quel tipo di conduzione agricola, a costituire l’attività principale. In quegli ambiti tale passaggio si è configurato come un fatto “evolutivo”, collegato ai caratteri del luogo e di per sé elemento attivo di un uso che ha nella sua strategia di. gestione la necessità del mantenimento di quei caratteri. Per quanto attiene il rischio di vulnerabilità ambientale generato dalla presenza di questa concentrazione di produzione zootecnica, va osservato che in tali aree gli allevamenti sono posti intorno al primo formarsi dei corsi d’acqua, in prossimità dei crinali e che la concentrazione di deiezioni e liquami è limitata in quanto gran parte dell’attività di produzione viene svolta all’aperto e su grandi estensioni di terreno. Comunque, i corsi d’acqua che possono risentire di questa presenza sono il F.Tevere ed i torrenti che confluiscono in esso nel suo tratto a nord di Perugia (T. Lana, T. Nestore, T.Niccone, T.Saonda, T.Nese, T.Sambro), il F.Nestore nella zona tra Piegaro e Pietrafitta, il sistema idrico della Valle Umbra (T.Attone, fosso di Ruicciano, fosso Tattarena, T. Maroggia) ed, in Valnerina, i fiumi Sordo e Corno, il T.Vigi, e con essi il Fiume Nera.
Rispetto alla vulnerabilità paesaggistico-panoramica, va segnalato che molte delle 26 aree indagate sono comprese in Unità di paesaggio di riconosciuta valenza paesaggistica, in particolare quelle poste su ambo i versanti della parte terminale dell’alta valle del Tevere e della Media Valle del Tevere, della Valle Umbra sud da Assisi a Spoleto ai Martani, oltre a quelle della Valnerina; di queste alcune ricadono in UdP la cui valenza è considerata elevatissima (Castello di Prozonchio sul Monte Tezio, S. Damiano di Assisi, Castelluccio di Norcia, le colline tra Spoleto e Montefalco, i monti di Campi, Abeto e Todiano). Ricadono in aree ad alta esposizione panoramica gli allevamenti di Castel S.Giovanni e di Fabbri e quelli di Norcia presso la zona dei Cappuccini.
La situazione della zootecnia avicola nella provincia di Perugia è caratterizzata da una concentrazione di allevamenti di tipo intensivo di capacità prevalentemente medio grandi ed organizzati su processi fortemente industrializzati. Tra le 10 situazioni critiche incontrate dallo studio per quanto riguarda la concentrazione e la dimensione degli allevamenti, 5 sono quelle che presentano situazioni di picco e tutte posizionate in pianura e bassa e media collina, analogamente alla totalità degli impianti presenti. Il dettaglio di queste è il seguente:
- Colle Plinio, in comune di Città di Castello: una capacità di 100.000 capi sul bacino del T.Lama;
- La loc. di Schiavo, nel Comune di Marsciano con una capacità di 138.000 capi sulla Piana del Tevere e sull’alluvionale della MVT;
- S.Maria Rossa, Fanciullata e S.Nicolò di Celle, tra Perugia e Deruta, 410.000 capi lungo il corso del F.Tevere;
- la media collina di Giano dell’Umbria, Montefalco, Castel Ritaldi, sul bacino del T.Puglia tra Montecchio, Castagnola, Molino del torrone e Ponte della mandria, con 400.000 capi;
- l’area di Trignano e S.Giovanni di Baiano, in Comune di Spoleto, con 971.700 capi sul bacino del fosso di Trignano e del T.Maroggia.
Dal punto di vista paesaggistico panoramico, va osservato che solamente un numero limitato di allevamenti rientra tra quelli che possono costituire un fattore di rischio in quanto insistenti su aree a diverso titolo rilevanti dal punto di vista paesaggistico.
Non risultano insediamenti produttivi posti all’interno di aree ad alta esposizione panoramica, mentre gli impianti di Fanciullata e S.Nicolò di Celle, sono posti appena al limite di quelle; rientrano invece in aree ad alta visibilità gli allevamenti di Colle Plinio (Città di Castello),come pure quelli di S.Valentino-Castel delle Forme e Schiavo ((Marsciano), di Fanciullata e S.Nicolò di Celle ((Deruta) che sono anche all’interno di coni panoramici tutelati insieme agli impianti di S.Enea (Marsciano) e, di S.Maria Rossa (Perugia). Ancora all’interno di coni visuali tutelati sono gli impianti di Castiglione del Lago (Loc. Puracci e Ferretto). Va considerata comunque per i casi di vaste aree incluse in ampi e profondi coni visuali (panorami), la posizione relativa dei singoli insediamenti rispetto al punto di osservazione (belvedere) e le caratteristiche del loro essere interni a quella veduta, essendo questi elementi determinanti sia per la definizione del tipo di interferenze e soprattutto per la individuazione delle loro possibili mitigazioni.
Diversa e particolare è la situazione dell’acquacoltura, che, come sopra ricordato, è seguita da un apparato normativo e di controllo, per quanto riguarda gli aspetti ambientali e sanitari, che fa capo alle istituzioni regionali e locali, le quali collaborano anche, come si è visto tramite il coordinamento, alle definizione delle linee strategiche dell’attività produttiva. La localizzazione degli impianti è assolutamente circoscritta: la Valnerina, tra Preci e Piedipaterno, con la quasi totalità della produzione commerciale, conta 8 impianti a cui si aggiunge lo Stabilimento Ittiogenico della Provincia di Perugia che fornisce gli avannotti agli altri impianti; il Trasimeno ospita , a S.Arcangelo di Magione, il secondo Centro Ittiogenico della Provincia di Perugia finalizzato alla conservazione della popolazione ittica del Lago ed al sostegno della pesca professionale in loco; presso il Clitunno, a Campello, è sito un impianto di allevamento di trote.
L’impatto di questa attività sull’ambiente ed in particolare sul sistema della acque superficiali o sotterranee è tenuto permanentemente sotto controllo, come indicato dal Regolamento Provinciale n. 72 del 04.10.11 (art. 4 Lr. n.15/08), mentre per quanto riguarda l’aspetto paesaggistico, tutti gli impianti della Valnerina non cadono all’interno di Aree ad Alta Esposizione Panoramica o di Aree ad Alta Visibilità, come non interferiscono con Coni Visuali tutelati o riconosciuti.
Gran parte della Valnerina è composta da Unità di Paesaggio considerate di rilevante valore paesaggistico: in merito a questo tema, va osservato che la tipologia di questi impianti presenta dimensioni e caratteristiche geometriche che consentono un facile inserimento in un contesto naturali forme e la necessaria prossimità con i corsi d’acqua ne aiuta la mitigazione tramite la vegetazione ripariale.
Analoga situazione è quella di Campello (Pissignano) sul Clitunno e quella di S.Arcangelo di Magione.