Il PTCP e gli allevamenti zootecnici. Art. 22 del PUT (Lr.27/2000)


Il PTCP e gli allevamenti zootecnici. Art. 22 del PUT (Lr.27/2000)

Fin dalle sue prime formulazioni e proprio per la sua identità di Piano d’Area Vasta, tra i contenuti del PTCP primeggiano quelli che riguardano l’ampia fascia di interrelazione tra il quotidiano delle attività umane (la città in trasformazione, le aree della produzione, quelle dei servizi e le infrastrutture) e il mondo frantumato della naturalità, dei tempi lunghi, dei caratteri originari, del territorio, cioè, su cui quelle trasformazioni avvengono e che contiene, costituendone il carattere identitario, gran parte delle ragioni dell’esistenza di tutto quel complesso di attività. La sostenibilità di qualsiasi processo infatti, è segnata da come l’attività di trasformazione si rapporta con l’esigenza di garanzia che il flusso di risorse necessario per la trasformazione stessa non vada all’esaurimento: e il PTCP deve avere, nel suo DNA, questa attenzione di garanzia.

Il tema degli allevamenti zootecnici è appunto uno di questi temi di frontiera dove i temi dell’urbano e specificatamente del produttivo con carattere industriale si collocano in un ambito esterno alla città che spesso ha caratteri anche di naturalità elevata o comunque presenta caratteri di pregio e valenza ambientali: una situazione di difficile governo per la presenza di spesso contrapposte esigenze degli ambiti interferenti, ma che devono essere valutati sia per l’aspetto produttivo che per quello della sostenibilità. Regione che conserva tuttora un assetto segnato da secoli di mezzadria, l’Umbria ha sempre avuto una produzione zootecnica relativamente forte e soprattutto variegata. Una produzione in cui emergono gli animali da cortile, soprattutto pennuti, ma anche suini, in ragione dell’importante ruolo che aveva la coltivazione del bosco nell’economia mezzadrile; e bovini, anche questi collegati funzionalmente alla storia del modo di produzione mezzadrile (produzione di carne, ma soprattutto forza lavoro nell’esercizio dell’agricoltura) e ovini, collegati alla articolata pratica mezzadrile nelle aree collinari e alla pastorizia nelle praterie secondarie montane.

Più recentemente si è sviluppata e affermata la pratica della acquacoltura, fenomeno particolare e significativo della zootecnia umbra che, con un numero quantitativamente esiguo di impianti di allevamento (soprattutto trote) e un’area ristretta dove è possibile mantenere una condizione di sostenibilità, copre una quota non trascurabile della produzione nazionale (circa 8-10%) . Ma quest’ultimo settore presenta delle particolarità evidenti rispetto agli altri: un numero assai limitato di aziende ed impianti, una localizzazione concentrata in aree circoscritte, una uniformità gestionale, un monitoraggio strutturato e continuo; tali particolarità ne giustificano una trattazione a parte.

Il percorso di studio

L’atteggiamento con cui è stato affrontato il tema degli allevamenti zootecnici  di maggiore diffusione sul territorio della provincia di Perugia[1]  è quello di un approccio graduale che scandaglia l’assetto territoriale da diverse angolature ed a diverse profondità  al fine di fornire una gamma di quadri della situazione provinciale, alcuni più generali destinati ad individuare gli ambiti amministrativi comunali più coinvolti da questa problematica ed altri ancora più puntuali che dovrebbero far emergere le specifiche problematiche e criticità di alcune aree o anche di alcuni punti. Tutto ciò allo scopo di definire una linea di medietà più generale, “valore medio provinciale” da utilizzare quale riferimento per una prima valutazione degli ambiti comunali rispetto alle varie problematiche indagate, sia per individuare eventuali situazioni significative che possano ancor più caratterizzare i vari comuni e suggerire anche possibili interferenze tra aree limitrofe. Questa analisi preliminare ha come riferimento la maglia amministrativa comunale  ed è finalizzata alla articolazione dei livelli di attenzione che i singoli comuni  dovrebbero richiedere alla proprie 

Amministrazioni nella gestione del proprio territorio in rapporto alla presenza di allevamenti zootecnici e delle attività a questi collegate.

L’analisi è stata avviata utilizzando due semplici indicatori: densità comunale (numero capi/ superficie comunale) e concentrazione comunale (numero capi/allevamenti nel territorio comunale), e, come fonte principale, sulla base dei dati provenienti dal Ministero della Sanità e con riferimento all’anno 2010-2011.[1] Con la densità viene evidenziato il carico zootecnico di un comune. Sul suo valore assoluto naturalmente, gioca un forte peso l’estensione territoriale del comune, ma si è ritenuto comunque significativo questo dato  come elementare caratterizzazione tematica di un territorio  che è soggetto di processi di pianificazione; caratterizzazione che poi si preciserà tramite l’indicatore della concentrazione in rapporto alle dimensioni degli allevamenti presenti, che evidenzierà questa volta concretamente la presenza di grossi impianti, sia pure probabilmente appiattita dal valore medio su base comunale.

Una ulteriore specificazione verrà poi da un terzo indicatore “indice di concentrazione locale”,  in parte derivato dalla successiva lettura puntuale (approfondimento della 2° fase della analisi), che terrà conto della distribuzione (diffusa o aggregata in particolari aree) degli allevamenti all’interno del territorio comunale.

I tre indicatori  consentono di evidenziare i casi in cui il tema della produzione zootecnica può costituire un elemento caratterizzante un territorio comunale all’interno del contesto provinciale, e di individuarne alcune specificità: il primo indicatore segnala infatti il rapporto tra suolo comunale e quantità di capi presenti consentendo di realizzare una prima classificazione dei comuni ove emergono quelli con potenza di criticità relativa superiore; il secondo indicatore mette in evidenza un carattere discriminante di queste presenze: la presenza diffusa sul territorio o  la loro concentrazione  in impianti di grandi dimensioni; il terzo indicatore evidenzia se la presenza dei grossi impianti è concentrata in aree definite e circoscritte (aree omogenee e/o specializzate) ovvero la presenza di grossi impianti  è comunque diffusa sul territorio: quest’ultimo parametro, quindi, consente di ipotizzare la possibilità della individuare aree circoscritte (aree “omogenee” e/o “specializzate”) che potrebbero avere una definizione d’area più specificamente rispondente alle reali caratteristiche di attività produttiva quali sono quelle zootecniche, oggi lì prevalenti o  dominanti.

Va precisato che questa prima lettura non dà luogo alla definizione di situazioni critiche specifiche, come invece avverrà nella fase successiva, tramite la lettura puntuale delle localizzazioni degli impianti esistenti –attivi o momentaneamente inattivi- e del loro rapporto con i sistemi paesaggistico-ambientale, insediativo, infrastrutturale. Darà luogo, semplicemente, alla segnalazione delle situazioni di allerta  o di maggiore attenzione, secondo una visione quantitativa, che proprio per questo impongono di affrontare e considerare la problematica allevamenti-ambiente sia nel controllo e gestione, che nella pianificazione delle trasformazioni del territorio comunale. Il risultato sarà quindi quello di avere individuato una articolazione dei “comuni con elevato carico zootecnico”.

La seconda parte dell’analisi è stata sviluppata osservando puntualmente le singole localizzazioni e cercando di configurare le loro reciproche relazioni e le possibili ricadute sul contesto territoriale, rispetto ai temi della vulnerabilità ambientale (corpi idrici superficiali, corpi idrici sotterranei, reti tecnologiche e elementi puntuali) e di quella paesaggistico panoramica (alta esposizione, alta visibilità, coni visuali, UdP di rilevanza 

paesaggistica). Ciò è avvenuto considerando elementi significativi la grandezza (o capacità) dei singoli impianti produttivi e la loro interdistanza, quest’ultimo quale elemento potenzialmente integrativo della capacità di impatto dei singoli impianti. La visualizzazione di tale lettura è stata ottenuta tramite l’applicazione della “densità di Kernell”[1] che ha fornito un quadro abbastanza articolato del territorio provinciale, strutturando la situazione riscontrata in una serie di quattro classi di densità (da “diffuso” a  “bassa”, a “alta”, a “massima” o“picco” cui potranno corrispondere possibili “picchi” di problematicità o rischio. Da qui segue la individuazione di “aree di indagine” corrispondenti alle classi più elevate di “alta” e “massima” densità; il passaggio successivo è stato quello di verificare, per le diverse tipologie di produzione zootecnica e incrociando i loro dati con i tematismi della vulnerabilità, l’effettivo grado di rischio in atto per ciascuna delle problematicità indagate.

[1] Si tratta degli allevamenti suinicoli, bovini, ovini e avicoli che, pur articolati in una vasta gamma di dimensioni e, conseguentemente, di impatto ambientale, rappresentano una presenza assolutamente significativa e soprattutto diffusa, sull’intero territorio provinciale.

[2] Tale documentazione (per alcune tipologie di allevamento) contiene dati riguardanti il numero ed anche la capacità degli impianti zootecnici e ciò avrebbe consentito non solo  di effettuare valutazioni circa la densità e concentrazione in base alla effettiva presenza di capi puntualmente registrata dal censimento,  ma anche sulle potenziali capacità degli impianti comunque esistenti. Da questo ulteriore elemento sarebbe possibile derivare utili riscontri della dinamica storica recente del settore, oltre a valutazioni circostanziate sulle volumetrie esistenti e non utilizzate. Ma ciò non è stato fatto per l’attuale non omogeneità dell’implementazione dei dati del Censimento del Ministero della Sanità.

[3] La densità di Kernel (Kernel density) si colloca all’interno della famglia delle Point Pattern Analysis: tecnichedi analisi spaziale che utilizzano fonti vettoriali di tipo puntiforme per generare “grid” classificate in base ad attributi numerici associati. Tali tecniche vengono utilizzate per la elaborazione di analisi e creazione di modelli per la pianificazione (territoriale o anche di settore). Rispetto ad una normale funzione di densità che prende in esame il numero di eventi per ogni elemento di griglia regolare che compone la regione indagata, la densità di Kernel  considera una superficie mobile a tre dimensioni che pesa gli eventi in funzione della loro distanza dal punto del quale si stima la densità. Nella funzione di Kernel gli attributi numerici associati al tema puntuale (eventi) costituiscono una sorta di peso di cui verrà studiata l’incidenza sull’area in esame. Nel presente lavoro, la densità di Kernel è stata utilizzata esclusivamente per la sua efficacia nella rappresentazione degli “effetti” causati, in funzione delle distanze reciproche, dalla compresenza di più allevamenti sul territorio. Nello specifico, la rappresentazione è stata ottenuta attribuendo un raggio di indagine a ciascun punto di analisi significativo, pari a tre chilometri.

 

Quadro dei dati dell’indagine sugli allevamenti suini, bovini, ovini e avicoli

Quadro dei dati dell’indagine

 

modificato il 30/11/2022

Il PTCP e gli allevamenti zootecnici. Art. 22 del PUT (Lr.27/2000)
Allevamenti suinicoli

Capi presenti nel territorio provinciale con riferimento all’anno 2010-2011.

Il PTCP e gli allevamenti zootecnici. Art. 22 del PUT (Lr.27/2000)
Allevamenti bovini

Capi presenti nel territorio provinciale con riferimento all’anno 2010-2011.

Il PTCP e gli allevamenti zootecnici. Art. 22 del PUT (Lr.27/2000)
Allevamenti di ovini

Capi presenti nel territorio provinciale con riferimento all’anno 2010-2011.

Il PTCP e gli allevamenti zootecnici. Art. 22 del PUT (Lr.27/2000)
Allevamenti avicoli

Capi presenti nel territorio provinciale con riferimento all’anno 2010-2011.

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Allevamenti ittici

La presenza e l’ubicazione degli impianti di acquacoltura

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