Atlante del sistema infrastrutturale-insediativo
Argomenti
I.1.1. RETE VIARIA E QUADRO DELLA PROGETTUALITÀ
I.1.2. IL NODO DI PERUGIA
I.1.3. PROPOSTA DI RETE VIARIA PROVINCIALE
I.2.1. RETE FERROVIARIA, OFFERTA DEL TRASPORTO COLLETTIVO LOCALE E QUADRO DELLA PROGETTUALITÀ
I.2.2. PROPOSTA DI RIPARTIZIONE MODALE PER UN SISTEMA INTEGRATO DELLA MOBILITÀ
I.3.1. IMPIANTI E RETI TECNOLOGICHE ED ENERGETICHE
I.4.1. QUADRO DELLA PIANIFICAZIONE URBANISTICA COMUNALE
I.4.2. PRODUZIONE IN AREA EXTRAURBANA
I.4.4. I SISTEMI INSEDIATIVI E L’ARMATURA URBANA
I.4.5. IL RANGO DEI CENTRI NELLA STRUTTURA TERRITORIALE
I.5.1 QUADRO DI RIFERIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE
I.6.1. SINTESI DELLA MATRICE INFRASTRUTTURALE-INSEDIATIVA
Elaborati
La marginalità dell’Umbria, dal punto di vista della infrastrutturazione viaria risulta evidente.
La rete viaria trova gli assi portanti in due arterie: la E 45, ammodernata e trasformata in una SGC a quattro corsie negli anni ’70 e completata in questi ultimi anni ‘90, e le SS. 75 e 75 bis, che ricalca la direttrice di grande rilevanza nei secoli XVII e XVIII quale collegamento dei porti dello Stato Pontificio sul Tirreno e sull’Adriatico, anche questa completata negli ultimi anni; ad esse si aggiunge la Flaminia che ha perso però nel tempo il suo ruolo.
Su questi tre assi, che costituiscono i fondamentali collegamenti con l’esterno del territorio regionale, si attesta una rete viaria interna densa, soprattutto perché testimonianza di una lunga e diffusa colonizzazione del territorio e strumento delle fitte relazioni tra le polarità di un insediamento storico minuto e sparso, ma sostanzialmente debole, in quanto incapace di raccordare adeguatamente questo sistema insediativo con l’esterno.
La situazione oggi riscontrabile, pertanto, è anche paradossale, per la inadeguatezza complessiva della rete stradale ai fini del sostegno di un processo di sviluppo territoriale basato sulla facilità di relazioni con l’esterno e per la capacità di creare condizioni di rischio per la sicurezza in corrispondenza dei principali centri e soprattutto del capoluogo regionale.
L’elaborato riporta questa viabilità richiamandone i ruoli, che non corrispondono in modo adeguato a quelli ascritti.
Una buona parte delle strade statali, ad eccezione degli assi strutturali sopra descritti, e delle strade provinciali infatti assolve al ruolo attribuito con difficoltà, avendo uno standard prestazionale spesso basso, proprio dei livelli inferiori che effettivamente svolge. Si tratta per lo più di una viabilità di origine storica e con un ruolo che è stato strutturale fino a quando l’organizzazione territoriale, basata sui rapporti agricoli mezzadrili, ha mantenuto la sua efficienza funzionale. Da allora questa viabilità, pur oggetto di interventi manutentivi numerosi ed anche importanti dal punto di vista della sicurezza e degli impianti, non è stata mai vista come potenziale elemento attivo di un sistema viario “nuovo”, vale a dire teso a soddisfare le nuove esigenze di organizzazione della mobilità e di intreccio di relazioni conseguenti ai fenomeni dell’inurbamento, della trasformazione industriale prima e post-industriale ora, della concentrazione insediativa e della rete di riorganizzazione territoriale a maglie interregionali o nazionali.
Gran parte di questa viabilità quindi è oggi relegata ad una funzione locale, o forse destinata a svolgere un basso ruolo a livello provinciale.
Pur confermando la necessità di costruire una rete stradale a carattere territoriale, e quindi avviando un processo di selezione in tal senso, il PTCP ritiene che la rete stradale “di interconnessione locale” costituisca un elemento importante del sistema viario provinciale su cui si appoggia il sistema insediativo e che al contempo consente un uso del territorio con forte connotazione naturalistica.
L’assenza quindi di un sistema infrastrutturale e trasportistico forte e la posizione baricentrica della provincia rispetto all’intero territorio nazionale (che dà luogo ad importanti traffici di attraversamento interregionali e nazionali) ha prodotto un utilizzo promiscuo caratterizzato da attraversamenti a lunga percorrenza spesso di forte intensità e da un elevato carico di spostamenti locali a breve raggio tra i vari nodi del reticolo urbano diffuso delle poche significative infrastrutture esistenti, non adeguatamente attrezzate, con conseguenti problemi di congestione e saturazione del traffico.
Il territorio umbro rende, dunque, un servizio al sistema della mobilità nazionale in modo particolare dopo il completamento della E45-, ma tale ruolo non é stato riconosciuto dallo Stato, con l’investimento di significative risorse per rendere le infrastrutture stradali e ferroviarie, che attraversano la regione lungo le direttrici nord-sud / est-ovest, all’altezza della domanda dell’utenza e confrontabili con le altre arterie di scala nazionale. Infatti, sugli altri corridoi plurimodali nazionali (come quello Tirrenico, quello Adriatico o lungo la Dorsale Centrale) lo schema infrastrutturale é costituito da due e talvolta tre assi attrezzati paralleli (autostrada a pedaggio, superstrada a percorrenza gratuita e ferrovia nazionale) e da una rete locale integrata a questo che facilita le diverse tipologie di traffico.
La situazione umbra, oggi non più sostenibile, è la conseguenza delle mancate politiche infrastrutturali nazionali che fin dagli anni ’50, con la neonata rete autostradale, marginalizzarono l’Umbria, trascurandone la collocazione baricentrica; solo nel decennio successivo si é cercato di rompere questo isolamento con il potenziamento dell’allora superstrada E7, oggi E45, trasformatasi ben presto in arteria con forti interferenze tra le relazioni interne e quelle nazionali, con la formazione di punti di crisi in molti archi della rete stradale. Gli interventi nel tempo effettuati e quelli proposti si muovono nella direzione del superamento delle difficoltà di carattere locale, non trascurando la fondamentale esigenza di integrare il sistema locale a quello nazionale, al fine di superare lo stato di marginalità della provincia o di parti significative di essa.
Sulla base di questo quadro, il PTCP avanza una strategia della mobilità che inserisce il proprio territorio in uno scenario efficiente per la mobilità regionale e nazionale. Essa si esplica partendo dall’esigenza primaria di decongestionare l’area di Perugia; ma anche da quelle di rinforzare e ridare un ruolo nazionale a tutta la viabilità del settore orientale della provincia; di affrontare infine l’annosa questione dei collegamenti Adriatico-Tirreno per quanto riguarda l’Italia Centrale, numerosi fra i quali attraversano il territorio provinciale.
Le priorità evidenziate sono: da un lato, il superamento della concentrazione dei traffici nel punto di incrocio delle arterie E 45 e SS. 75 bis d’interesse nazionale o regionale, nonché la sovrapposizione dei traffici locali con quelli di attraversamento di carattere nazionale da cui emerge la centralità dei traffici attorno a Perugia che determinano forte congestione; dall’altro, il dover affrontare la questione dei collegamenti Adriatico-Tirreno che interessano l’attraversamento della provincia.
A queste esigenze ,oggi chiaramente definite, negli anni passati si è cercato, sia attraverso previsioni dei singoli PRG dei Comuni, sia attraverso interventi isolati e parziali da parte degli Enti competenti, di dare risposte che si sono dimostrate limitate alle singole realtà locali e, in quanto tali, non hanno assunto una dimensione organica in grado di modificare l’assetto della viabilità alla scala complessiva e di collegamento con il resto del paese.
La ricognizione operata dal PTCP sulla progettualità in corso, ha evidenziato come alcune di queste ipotesi possano contribuire, qualora collegate tra loro e messe a sistema, all’individuazione di una rete viaria integrata che rappresenta la soluzione più credibile alle esigenze di riconnettere il sistema insediativo provinciale al sistema interregionale e nazionale, nonché di avviare il processo di decongestionamento del nodo di Perugia, coniugando sistemi infrastrutturali con politiche urbanistiche e di mobilità.
La tabella della pagina precedente riporta le principali proposte di intervento, per alcune delle quali è in corso la progettazione a differenti livelli, per altre la loro esecuzione.
Premessa
La vocazione consolidata di Perugia, città di servizi, di commerci, di cultura che accompagna le funzioni classiche della produzione e della distribuzione, ha determinato nell'intera regione una polarizzazione della città capoluogo.
Il 35% del traffico che si muove all'interno dei suoi confini proviene dai comuni limitrofi ( traffico centripeto). Pressoché equivalente è il traffico originato dai quartieri esterni alla città.
Migliaia di automobilisti varcano i confini comunali, ricercando parcheggi, impegnando strade, investendo interi quartieri e aggravando l'intero sistema della mobilità. L'attuale modello di mobilità, fondato prevalentemente sull'auto privata produce una sollecitazione giornaliera pressoché costante sulla mobilità di Perugia: la classica distinzione in ore di punta e di morbida non è più applicabile per Perugia Nelle dodici ore giornaliere ( dalle 7 alle 9) il traffico ha un moltiplicatore pari a 11, il che significa che l'ora di punta si riproduce con i suoi effetti per ben 11 ore della giornata tipica. Tenuto conto che questa situazione si ripercuote su tutta la provincia, il PTCP ha attentamente affrontato il problema, prendendo in esame un'ampia area attorno a Perugia che interessa anche i comuni limitrofi.
Il nodo viario dell'area urbana di Perugia e dei comuni contermini
Il nodo viario dell'area urbana di Perugia è un sistema di infrastrutture molto ampio ed articolato, in parte formato da strade urbane, in parte da strade di carattere regionale e nazionale. A nord l'area denuncia una carenza strutturale evidente, negli altri tre quadranti la maglia viaria è piuttosto fitta, e collega zone anche lontane dal capoluogo.
Il nodo, in prima approssimazione può' essere inteso come "sistema" che va, da nord a sud, da Pierantonio fino a Deruta, e, da est a ovest, da Magione fino a Bastia.
Il grafo stradale è stato costruito prendendo in esame gli archi essenziali per la diffusione dei flussi nell'area abitata e per la ricostruzione degli itinerari di attraversamento della città.
Le strade interessate sono state gerarchizzate e in tutto sono stati schematizzati 1575 Km di strade attraverso 1333 archi, colleganti 403 nodi e 73 centroidi. (super-strade, strade statali, strade provinciali, strade comunali principali di riammagliamento).
La zonizzazione
Le 73 zone di traffico sono il risultato dell'aggregazione delle sezioni di traffico interne al comune di Perugia e dei comuni al contorno. Le 56 zone interne comprendono le 701 sezioni censuarie di Perugia, mentre le restanti 17 rappresentano i comuni della prima cintura e le relazioni di lunga distanza.
I dati e le matrici: l'aggiornamento dei dati ISTAT
La base dei dati utilizzata per la ricostruzione della mobilità è costituita dai censimenti ISTAT 1991, e in particolare, dalla sezione "Pendolarità" del Censimento della Popolazione.
Da tale censimento si sono estratti tutti gli spostamenti sistematici (casa-scuola e casa-lavoro) in auto, nell'ora di riferimento (7,15 - 8,15).
Gli spostamenti interni al comune riportano anche la sezione censuaria di destinazione, mentre gli spostamenti intercomunali non hanno tale codifica: gli spostamenti con origine fuori dai comune di Perugia e destinazione al suo interno sono stati assegnati alle varie zone di traffico in base alla attrattività delle stesse risultante dagli spostamenti interni.
La mobilità risultante è qualitativamente e quantitativamente incompleta, in quanto mancante dei dati occasionali, e temporalmente datata al 1991: attraverso l'utilizzo di rilievi dei flussi sulle infrastrutture (sia urbane, che extraurbane, che sulle superstrade) si è proceduto quindi ad aggiornare la matrice di mobilità ed a completarla riguardo agli spostamenti di tipo erratico.
La matrice O/D che risulta, assomma a 27642 auto: la scomposizione di essa nelle sue 4 sotto-matrici, rela-zioni tra interno del Comune ed esterno, da i seguenti risultati:
- 15.015 spostamenti all'interno dei Comune;
- 1.977 spostamenti con origine nel Comune di Perugia e destinazione al di fuori;
- 3.933 spostamenti con origine al di fuori dei Comune di Perugia e destinazione al suo interno;
- 6.717 spostamenti che partono e terminano al di fuori dei Comune di Perugia, attraversandolo.
Assegnazione dei flussi di traffico alla rete attuale e calibrazione del modello. analisi e livelli di saturazione.
L'assegnazione della matrice di domanda della rete attuale costituisce la base per ogni raffronto con le simulazioni degli interventi progettuali.
Un'analisi di questo tipo evidenzia in maniera immediata i corridoi problematici del nodo di Perugia: in prima battuta si nota il tratto urbano del raccordo autostradale Perugia-Bettolle, costantemente oscillante tra condizioni di attenzione e di allarme nell'intero tratto tra l'uscita di Madonna Alta e lo svincolo di Collestrada; recenti analisi hanno evidenziato come il raccordo superstradale da Ponte San Giovanni a Corciano, con traffici di circa 2.500 - 2.900 veicoli/ora, per ogni singola direzione, non è più in grado di sopportare ulteriori incrementi; il quadrante più congestionato risulta quello sud-ovest, dove troviamo condizioni di attenzione ed allarme su Via Pievaiola, Via Settevalli, Via di S. Sabina e comunque su tutta la viabilità della zona industriale di San Sisto - S. Andrea delle Fratte.
Proseguendo l'analisi verso il centro storico della città la maggior parte dei viali urbani è in condizioni di attenzione, mentre l'allarme si ritrova nella zona di Fontivegge, e più precisamente nell'asse Via Mario Angeloni - Via XX Settembre.
Descrizione degli interventi di progetto
Gli interventi di progetto sono stati simulati in due scenari distinti:
• il primo riporta tutti gli interventi significativi indi-cati dai P.R.G. dei Comuni di Perugia; e di quelli
confinanti
• il secondo scenario simula l'effetto prodotto dall'adeguamento a strada CNR di tipo IV dei 3 corridoi di bypass del centro di Perugia.
Gli interventi simulati nel primo scenario sono:
quadrante a nord di Perugia,
1. la variante di Capocavallo alla S.P. 172 di Corciano;
2. il nuovo collegamento Ponte Rio- S. Lucia;
3. il nuovo svincolo di Mantengano sul raccordo autostradale Perugia-Bettolle;
quadrante ovest,
4. il nuovo svincolo di Olmo sul raccordo autostradale Perugia-Bettolle;
5. la nuova Pievaiola, in variante fra Capanne e S. Andrea delle Fratte;
quadrante sud,
6. la variante di Torgiano alla S.P. 403 di Bevagna;
7. il nuovo collegamento, ad est della E45, fra lo svincolo di Montebello e quello di Balanzano;
8. la variante alla S.P. 319 tra S. Martino in Campo e Pila (via Settevalli);
quadrante est,
9. il nuovo svincolo di Ospedalicchio.
Il secondo scenario rafforza le ipotesi del primo, ricucendo tra di loro diversi interventi e dando una continuità geometrica (strada CNR tipo IV- larghezza 10.50 m., con la variante di Ponte Rio a CNR tipo VI - larghezza 8.00 m.) a tre diversi corridoi di bypass del nodo urbano.
Un corridoio ha direzione nord - sud, gli altri due est-ovest, uno a nord e l'altro a sud di Perugia.
- il corridoio nord - sud parte da Pierantonio, sulla E45, e termina al nuovo svincolo di Mantignana, ricalcando in gran parte il tracciato della S.P. 172, che dovrà essere adeguata in sede;
- il secondo corridoio inizia dal nuovo svincolo di Corciano, segue la nuova variante da Solomeo, si
riporta un breve tratto sulla vecchia Pievaiola prima e successivamente sulla nuova, bypassa Pila e arriva a S. Martino in Campo attraverso la variante alla S.P. 319, quindi prosegue per Torgiano, che lambisce in variante, quindi segue la S.P. 400 bis, da adeguare fino al nuovo svincolo di Ospedalicchio, infine si ricollega alla Perugia-Ancona attraverso una nuova viabilità da Ospedalicchio a Lidarno;
- il terzo corridoio, a nord di Perugia, si sviluppa dallo svincolo di Ponte Felcino sulla E45, prosegue per Ponte Rio, in un tratto da adeguare della S.P. 174, quindi segue il nuovo collegamento Ponte Rio - S.Marco (da realizzarsi con standard CNR tipo VI), per poi reimmettersi sulla S.P. 172 (quindi sul primo corridoio).
I corridoi formano così un anello attorno a Perugia, con diramazione verso nord, in modo da costituire una valida alternativa all'attraversamento della dorsale superstradale, sia nel tratto urbano Ferro di Cavallo-Piscille, sia nella "strozzatura" tra Ponte S. Giovanni e Collestrada.
La simulazione del primo scenario: analisi critica e livelli di saturazione
Il primo scenario offre cambiamenti rispetto alla situazione attuale, di tipo fortemente locale, senza modificare radicalmente la distribuzione dei flussi sulla rete.
Se alcuni interventi progettuali, come ad esempio il nuovo svincolo di Olmo, trovano un gran numero di utenti attratti, la gran parte di essi rimane con un'utenza di tipo locale, poiché l'intervento, singolarmente, non riesce a far diventare "appetibile" un nuovo corridoio, frenato dalle condizioni geometriche e dalla capacità del resto delle infrastrutture.
Si nota quindi il nuovo collegamento Ponte Rio - S.Marco con meno di 200 veicoli orari nelle due direzioni,
il nuovo svincolo di Ospedalicchio con appena 160-170 veicoli/h, la variante di Torgiano addirittura senza flussi apprezzabili.
Anche da un punto di vista di livello di saturazione, la situazione non cambia molto: da Collestrada a Ferro di Cavallo permangono livelli di attenzione e di allarme, che anzi si sposta fino al nodo di Olmo per effetto del nuovo svincolo.
Via Settevalli e Via Pievaiola vengono in parte alleggerite dalla nuova Pievaiola, anche se in alcune tratte permangono congestioni.
Tuttavia una questione importante che non viene sciolta è l'utilizzo della viabilità periferica da parte di coloro che devono attraversare il nodo: le arterie portanti rimangono le superstrade, dove si mischiano pericolosamente traffici urbani e di lunga percorrenza.
La simulazione del secondo scenario: analisi critica e livelli di saturazione
Nel secondo scenario di progetto vediamo completarsi quell'effetto rete che risultava solamente accennato nello scenario precedente: al miglioramento della fluidità dei traffici locali si aggiungono correnti alternative che alleggeriscono in toto il nodo urbano, bypassandolo completamente.
I flussi sul tratto Ferro di Cavallo- Collestrada si riducono, rispetto alla situazione attuale, in maniera diseguale variando tra il 20 % in meno, nel tratto tra Collestrada e lo svincolo di Ponte S. Giovanni ed il 5-10% nel tratto Ponte S. Giovanni - Ferro di Cavallo.
Le viabilità tangenziali attraggono finalmente un numero di veicoli apprezzabile, e alleggeriscono in maniera evidente i corridoi tradizionali: si trovano tra 800 e 1200 veicoli/h nel corridoio sud Ospedalicchio – Torgiano - S. Martino Pila, tra 600 e 800 veicoli/h sull'asse Pierantonio - Mantignana e circa 350 - 400 veicoli orari nel nuovo tratto della Ponte Rio - S. Marco.
Anche i livelli di saturazione calano in maniera evidente: sulla Perugia-Bettolle non si supera in nessun caso il livello di attenzione, ed il tratto tra Ponte S. Giovanni e Collestrada torna su livelli di normalità.
Permangono situazioni di instabilità nel quadrante sud - ovest, tra la zona di S. Sisto ed Ellera, dovute anche alla alta attrattività ed emissività dell'area; si hanno infatti forti volumi che iniziano il loro viaggio nella zona residenziale di Ellera - Ellera Stazione - S. Mariano ed altrettanto notevoli flussi che sono destinati alla zona industriale di S. Andrea delle Fratte.
La verifica di fattibilità tecnica del corridoio
Tutti gli interventi simulati sono stati verificati tecnicamente attraverso sopralluoghi mirati per giudicarne la fattibilità.
I risultati dei sopralluoghi sono stati confrontati: la parte sud dell'anello non presenta difficoltà
tecniche particolari.
Più complessa è invece la realizzazione del corridoio Ponte Felcino-Ponte Rio-Santa Lucia, che , perlomeno nel tratto Ponte Rio-Santa Lucia, appare di difficile realizzazione con standard CNR IV.
Non presenta difficoltà particolari l'adeguamento della Mantignana-Pierantonio. In seguito ai sopralluoghi è stato quindi aggiornato il secondo scenario di progetto, ottenuto modificando la tratta Ponte Rio - Santa Lucia ad arteria di tipo CNR VI (larghezza 8 m con banchine di 1 m. velocità di progetto compresa tra 40 e 60 Km/h) in primo luogo previsto come CNR tipo IV.
Gli interventi di riassetto viario, al fine di realizzare un anello, ristrutturando viabilità esistenti e prendendo in considerazione adeguamenti funzionali con tipologie CNR IV, hanno caratteristiche geometriche così riassumibili:
- velocità di progetto compresa tra 80 e 100 Km/h
- larghezza piattaforma 10,50 m
- larghezza corsia 3,75 m
- larghezza banchina 1,50 m per una carreggiata di complessivi 10,50 m
- raggi minimi di curvatura:
V80 V100
300 m 500 m normale
200 m 400 m eccezionale accettando eventuali abbassamenti di velocità a 60 km/h con R min. di 120 m.
- pendenza massima 6% consentendo per uno sviluppo non maggiore di 500 m. una pendenza massima del 7%.
Per una migliore comprensione del progetto e delle sue caratteristiche sono stati distinti 3 corridoi:
- asse sud-est e sud-ovest
- asse nord di Ponte Rio
- asse nord-ovest di Mantignana - Pierantonio.
Asse sud est e sud-ovest
I Comuni interessati dal progetto di asse sud-est e sud-ovest sono:
- Comune di Assisi per l'attacco tra la Perugia-Ancona e la variante del Comune di Bastia
- Comune di Bastia per la nuova variante di Cipresso tra il raccordo con la Perugia-Ancona e la viabilità provinciale Torgianese
- Comune di Torgiano per l'adeguamento della provinciale Torgianese, la nuova variante e lo svincolo su-perstradale della E45 in corrispondenza di S. Martino in Campo
- Comune di Perugia per l'asta sud tra S. Martino in Campo, S. Martino in Colle, Pila e Castel del Piano
- Comune di Corciano per la variante di Solomeo
Nelle schede che seguono vengono riportate per tratte, distinguendo gli adeguamenti dai tratti ex-novo, gli interventi necessari consistenti in:
- adeguamenti in sede con allargamenti;
- tratti ex-novo;
- adeguamenti con complanari;
- svincoli con rotatoria;
- svincoli a livelli sfalsati.
COMUNE DI ASSISI
Dallo svincolo esistente sulla superstrada Perugia-Ancona e dal suo raccordo viario occorre prevedere un tratto di strada, in parte realizzato, prevalentemente in leggero rilevato che, svincolata in rotatoria, raggiunge la nuova variante di Cipresso prevista dal Comune di Bastia.
Interventi:
- variante per una lunghezza di circa 1,9 km;
- 1 rotatoria di progetto.
COMUNE DI BASTIA
Il P.R.G. del Comune di Bastia prevede la realizzazione di una viabilità ex-novo con caratteristiche C.N.R. IV tra la provinciale Torgianese, in corrispondenza dell'abitato di Cipresso, e la viabilità di raccordo con la Perugia-Ancona. Anche in questo caso trattasi di una viabilità in leggero rilevato e a quota piano campagna.
All'interno della nuova viabilità insiste un lotto già progettato e finanziato in corrispondenza dell'innesto con la strada Statale Centrale Umbra.
Interventi:
- variante* per una lunghezza di circa 3,2 km;
- 2 rotatorie di progetto.
*E' escluso il tratto tra lo svincolo della S.S. Centrale
Umbra e la strada per Bastia già progettato e finanziato.
COMUNE DI TORGIANO
Il primo tratto, tra la nuova variante di Cipresso nel Comune di Bastia e lo svincolo per la frazione di Brufa, nel Comune di Torgiano, ha un andamento planoaltimetrico compatibile con le caratteristiche di una viabilità C.N.R. IV.
L'attuale sezione ha una larghezza della superficie asfaltata di m 6,50 ed è sprovvista di banchine: occorre prevedere un suo allargamento a 7,50 m con la creazione di doppia banchina da 1,50 m.
La presenza di numerosi accessi privati (45-50 accessi) sia in destra che in sinistra, impone la costruzione di complanari della larghezza di 4-5 metri e la regolamentazione con eventuale rotatoria dei seguenti incroci:
1. incrocio con la S.P. 404 per Costano;
2. incrocio con Via Coldimezzo e Via Brufa;
3. incrocio tra la variante di Brufa e la provinciale Torgianese;
4. svincolo per la nuova zona artigianale di Torgiano.
La viabilità non è interessata da particolari opere d'arte (sono presenti due piccole opere d'arte minori).
Interventi:
- adeguamento a C.N.R. IV della strada provinciale Torgianese per una lunghezza di circa 5,9 km;
- realizzazione di complanari della larghezza di 5 m per una lunghezza di circa 7,8 km;
- 5 rotatorie di progetto.
Il secondo tratto comprende la variante di Torgiano con la galleria artificiale al di sotto della viabilità per Brufa.
Problemi di inserimento ambientale sono rappresentati dalla rottura del viale alberato della Villa Spinola di Torgiano.
L'attacco della nuova viabilità avviene nel rettifilo che precede il ponte sul Tevere (il ponte ha una larghezza di circa 8,30 m con la presenza di due marciapiedi di 80 cm).
Interventi:
- costruzione di una nuova viabilità della lunghezza di 2,5 km, comprendente una galleria artificiale di 0,3
km;
- allargamento del ponte sul Tevere (con uno sbalzo di circa 1 m per parte);
- 3 rotatorie di progetto.
Il terzo tratto dal ponte sul fiume Tevere al cavalcavia sulla E45 non presenta particolari problemi: occorre prevedere una viabilità complanare per svincolare alcuni accessi e un allargamento della sezione stradale dagli attuale 7 m a 10,50m.
Interventi:
- allargamento di 3,50 m della viabilità esistente, per 1,0 km;
- realizzazione di complanari della lunghezza di 0,8 km.
- 1 rotatoria di progetto.
COMUNE DI PERUGIA
Nel primo tratto tra lo svincolo/cavalcavia sulla E45, il viadotto sulla Ferrovia Centrale Umbra, l'impianto semaforico e la rotatoria della provinciale in variante di S. Martino in Campo, la viabilità ha già adeguate caratteristiche con doppia corsia da m. 3,75 e doppia banchina da m 1,50
Occorre prevedere alcune viabilità complanari per eliminare le immissioni dirette di viabilità locali (3 immissioni).
Interventi:
- viabilità complanari per una lunghezza di circa 1,0 km.
Il secondo tratto è interessato da una viabilità ex-novo che, dall'attuale rotatoria attraverso un percorso interno rispetto all'attuale viabilità, sale verso la provinciale Marscianese. E' prevista la realizzazione di una galleria corta e l'innesto nel tracciato attuale dopo l'area di recente espansione.
Con una rotatoria di progetto ci si innesta nella viabilità esistente da adeguare in larghezza, portando la sezione viaria dagli attuali 6 m a 10,50 m.
La Settevalli viene sottopassata con una galleria in corrispondenza dell'accesso alle Cantine Goretti e il tracciato ex-novo si inscrive tra gli abitati di Castel del Piano e Bagnaia, per innestarsi, prima del ponte sul torrente Caina, in località Capanne. Il tutto si chiude con l'innesto della viabilità per Solomeo.
Interventi:
- viabilità ex-novo 9,9 km;
- di cui galleria di S. Martino in Colle 0,4 km;
- di cui galleria di Pila 0,3 km;
- adeguamento viabilità esistente 1,3 km;
- 3 rotatorie di progetto.
COMUNE DI CORCIANO
La viabilità per Solomeo che si stacca dalla Pievaiola subito dopo il ponte sul torrente Caina (siamo ancora all'interno del Comune di Perugia) ha oggi una sezione molto ridotta, di m 4,50.
In questa fase si prevede pertanto una viabilità ex-novo che comprende anche la galleria sotto Solomeo. All'uscita della galleria, lato Corciano, dopo un tratto in rilevato, da realizzarsi ex novo, la nuova strada si innesta sul ponte del torrente Caina con sezione di 8,00 m (tipologia VI C.N.R.)
La viabilità ha poi un andamento planoaltimetrico compatibile con una C.N R. di tipo IV, occorre prevedere un allargamento dell'attuale sezione stradale da m 6,00 a m 10,50.
Lungo la viabilità che collega Solomeo con Corciano è presente un sottovia ferroviario sulla Foligno-Terontola della larghezza di m 8,00 di cui non si prevedono interventi di adeguamento.
Interventi:
- Viabilità ex-novo 3,1 km;
- di cui in galleria sotto Solomeo 1,0 km;
- adeguamento di viabilità da 8,00 m a 10,50 m, esclusi il ponte sul Caina e il sottopasso ferroviario 2,6 km;
- sistemazione dello svincolo in località il Rigo di Corciano.
Asse nord di Ponte Rio
L'asse nord di Ponte Rio interessa il solo comune di Perugia nel tratto tra lo svincolo di Ponte Felcino sulla E45 e la zona di S. Marco.
Il primo tratto tra lo svincolo E45, la zona industriale, il ponte sul Tevere e lo svincolo urbano ha caratteristiche idonee allo standard CNR IV; occorre invece adeguare per circa 2,4 Km un tratto di viabilità con la costruzione di complanari per circa 2,5 Km fino allo svincolo interno all'abitato di Ponte Rio.
L'incrocio presenta notevoli problemi di sicurezza e di conflitto tra le correnti di traffico; si propone un suo adeguamento attraverso l'interramento di alcune correnti o, in alternativa, la costruzione di una ampia rotatoria esterna all'edificato.
Dal nuovo svincolo di Ponte Rio vista l'impossibilità di realizzare una nuova viabilità CNR IV si propone una sezione ristretta a CNR VI con larghezza di m 8,00 e velocità di progetto compresa tra 40 e 60 Km/h.
Il nuovo tratto di strada ha una lunghezza di circa 4,5 Km.
Interventi:
- adeguamento da 7,00 m a 10, 50 di viabilità 2,4 Km
- realizzazione di complanari L= 5,00 m per 2,5 Km
- realizzazione di nuova viabilità da m 8,00 per 4,5 Km (di cui circa 450 metri in galleria)
- nuovo svincolo di Ponte Rio
Asse nord-ovest di Mantignana - Pierantonio
Il primo tratto della viabilità si innesta sulla S.S. del Trasimeno e sottopassa il raccordo superstradale Perugia-Bettolle con un sottovia della larghezza di circa 9,50; gli interventi di adeguamento riguardano l'allargamento a 10,50 della carreggiata oggi con una larghezza di m 6,80 (doppia corsia senza banchina) e la costruzione di alcune complanari per svincolare in 2 rotatorie le strade secondarie che si innestano in 18 punti della viabilità provinciale.
Il secondo tratto (variante di Mantignana) per una lunghezza di circa 2,3 Km; ha una larghezza di 9,80 metri con doppia corsia da m 3,60 e può ritenersi idoneo alle caratteristiche richieste dell'asse nordovest.
Il terzo tratto è interessato dalla variante della provincia di Perugia (2 lotto) già finanziato e progettato per un costo complessivo di 3690 milioni; l'intervento adegua la viabilità esistente portandola dagli attuali 6,50 m a m 10,50.
Il quarto tratto ha una sezione trasversale di m 7,00 e una larghezza di 2,4 Km; l'adeguamento prevede la costruzione di complanari per l'eliminazione e la regolamentazione di 8 accessi e l'allargamento a m 10,50.
Il quinto tratto, per una lunghezza complessiva di circa 11,4 Km ha una larghezza media di circa 6,40 m.
Il progetto di adeguamento prevede l'allargamento a 10,50 e la realizzazione di circa 3,0 Km di complanari da svincolare con quattro rotatorie di progetto per regolamentare le 26 missioni a raso che attualmente inte- ressano la provinciale.
Non sussistono particolari problemi per l'allargamento di circa 3 metri della sezione trasversale che può essere realizzato prevalentemente lato valle; la strada infatti si muove a mezza costa per metà in scavo e metà in rilevato.
Il collegamento tra Pierantonio-svincolo E45 e il nuovo svincolo di Mantignana, svincolo già finanziato e progettato dall'Anas, ha una lunghezza complessiva di circa 20 Km.
Interventi:
Primo tratto: da S.S. Trasimeno a svincolo Mantignana
- adeguamento da 6,90 a 10,50 di 3 km
- viabilità complanari 1 Km
- realizzazione di 2 rotatorie
Secondo tratto: da svincolo Mantignana a Capocavallo
Nessuno intervento
Terzo tratto: variante provincia lotto 2
Già finalizzato per 3.690 milioni
Quarto tratto: variante di Colle Umberto
- adeguamento da m 7,00 a m 10,50 per 2,4 Km
- viabilità complanari da 5 m per 1 Km
- 1 rotatoria di progetto
Quinto tratto da Bivio Maestrello e Pierantonio (E45)
- adeguamento da m 6,40 a m 10,50 per 11,4 Km
- complanari da m 5,00 per circa 3 Km
- 4 rotatorie di progetto
Conclusioni
Lo studio ha evidenziato che:
1) per riuscire a creare nuovi corridoi appetibili dall'utenza in alternativa a quelli classici ormai congestionati non sono sufficienti interventi anche diffusi, ma isolati; è necessario invece attrezzare gli interi corridoi con infrastrutture a caratteristiche costanti e sufficienti a garantire scorrevolezza dei flussi. Il modello ha dato buoni risultati avendo omogeneizzato le caratteristiche delle strade al livello CNR tipo IV;
2) la non realizzabilità, per ragioni paesaggistico-ambientali di un accesso da nord-est (Ponte Rio) con le caratteristiche di CNR tipo IV che completi l'anello attorno all'area urbana, fa sì che il volume di traffico proveniente da questo settore continui a gravare sulla superstrada;
3) i traffici gravanti su Perugia siano ripartiti allargando il concetto stesso di nodo e distribuendo i flussi su un'area più estesa di quella urbana, creando un forte effetto di rete;
4) tale rete è realizzabile con una riconfigurazione e riqualificazione dell'attuale sistema viario e solo in minima parte con la realizzazione di nuove infrastrutture; ciò consente di ridurre gli impatti ambientali e di contenere i costi; inoltre tutti i tratti sono già previsti nei vari PRG;
5) la riduzione del traffico sul raccordo superstradale nell'area Ponte San Giovanni - Ferro di Cavallo prodotto da questa rete è intorno al 15% ed è pari a quello che comporterebbe una variante superstradale nella dire- zione nord-sud; ciò per il fatto che i punti di più forte attrazione degli spostamenti sono localizzati nel continuo urbano consolidatosi nell'intorno dell'area superstradale Ponte San Giovanni - Corciano e pertanto i flussi di traffico non sono captabili, se non in quantità limitata al 15 %, da sistemi viabilistici alternativi; si è in pratica giunti alla "crisi delle soluzioni infrastrutturali";
6) la scelta di mobilità alternativa all'auto privata è "pianificazione obbligata".
Come già detto, il sistema infrastrutturale viario principale dell’Umbria è costituito dalla E 45 che attraversa l’intera regione da nord a sud, e dalle S.S. 75 e 75 bis che attraversano la regione in senso trasversale est-ovest, incrociandosi con la E 45 nell’area di Collestrada.
Questo sistema ha prodotto, come si può vedere da diversi elaborati, tre situazioni:
1) convergenza di tutti i traffici nazionali e locali su queste due arterie con conseguente congestione, specie nell’area di incrocio;
2) la concentrazione delle attività produttive nell’area circostante l’incrocio (Bastia, Perugia, Corciano) con propaggini verso sud (Deruta, Todi) e verso nord (Città di Castello) che risente dell’influenza dell’area toscana;
3) la marginalizzazione di gran parte dei territori con conseguente impoverimento; in particolare ne
hanno fortemente risentito l’area della Flaminia, l’area dell’eugubino-gualdese e quella della Valnerina; ciò rafforza la convinzione che il sistema infrastrutturale è condizione necessaria ma non sufficiente per il processo di sviluppo economico produttivo.
Il PTCP avanza l’ipotesi di rimuovere questa situazione prevedendo il superamento del sistema ad
incrocio delle due arterie, sostituendolo con una maglia viaria che riconnette a sistema le varie aree della provincia, che ridistribuisce i traffici, che facilita le relazioni interne ed esterne alla provincia.
Tale ipotesi, in realtà, non fa altro che riprendere 75 ad ovest e nel prossimo futuro con la E 78, è
collegata all’autostrada del Sole e, attraverso le trasversali marchigiane, alla A 14.
Per la realizzazione di questo sistema sono urgenti e necessari interventi su ciascuno dei singoli rami. Non può essere che forte il confronto con il Governo per superare lo stato di sottoinfrastrutturazione cui l’Umbria è stata relegata.
La E 45
Dopo il suo recente completamento, su questa arteria si è riversato un consistente volume di traffico, per lo più commerciale, proveniente dal nodo autostradale (a pagamento) di Bologna diretto verso Roma e il sud, e da Roma verso Bologna. Le caratteristiche tecnico costruttive della E 45, con la mancanza delle corsie di emergenza, con gli accessi pressoché privi delle corsie di accelerazione, la scarsità delle aree attrezzate di servizio e sosta, nonché con molti tratti, specie quello umbro, dove al traffico di attraversamento si somma quello locale, rendono questo asse estremamente pericoloso ed inadeguato per diventare, come pensano alcuni, un’alternativa valida all’attraversamento del passo appenninico della A 1. Già oggi il traffico presente richiede un progressivo processo di ammodernamento che rimuova le principali cause di pericolosità sopra richiamate.
La Flaminia
Lungo è stato il confronto, tutto interno all’Umbria, su questa arteria. L’aver limitato l’importanza di
questo asse al tratto locale, seppure di collegamento tra due realtà significative (Foligno-Spoleto), ha fatto perdere di vista la sua vera funzione di direttrice trasversale nazionale di collegamento tra
l’Adriatico e il Tirreno, e di grande supporto al sistema umbro.
Il tratto della Flaminia da Osteria del Gatto a Spoleto non potrebbe incidere favorevolmente sull’Umbria se non avesse uno sbocco a nord ed uno a sud.
Da qui la proposta della realizzazione della “Nuova Flaminia” che da Osteria del Gatto, attraverso la Ancona-Perugia, raggiunge il porto di Ancona, e che da Spoleto, attraverso la Tre Valli, si collega ad Acquasparta (E 45) e da qui a Terni-Orte-Roma ed al porto di Civitavecchia. In questo incrocio la “Nuova Flaminia” diviene un’importante trasversale che collega due significativi porti l’uno sul Tirreno, l’altro sull’Adriatico. Soltanto in questo modo l’asse della Flaminia riacquista un peso ed un riequilibrio all’interno dell’Umbria. I rimanenti tratti della Flaminia storica assolvono: quello a nord, ha un ruolo di rilevante interesse turistico di servizio al Parco regionale del Cucco, quello a sud, alla valorizzazione turistica dell’area ternana.
Inoltre, la “Nuova Flaminia” consente di sgravare, o quanto meno di non aggravare, il già fortemente caricato asse della E 45 e di svolgere il ruolo di collettore e distributore dei traffici del sistema delle trasversali provenienti dalle Marche e di indirizzare verso Roma e il sud-ovest i traffici della Regione.
E’ evidente che questa connotazione nazionale che la Flaminia assume facilita il rapporto con il Governo che deve confrontarsi non più con una richiesta di scala limitata e locale, ma piuttosto con una trasversale di importanza nazionale.
La S.S. 219 Pian d’Assino
Procedendo da nord verso sud, la S.S. 219 è la prima di quelle trasversali che collegano la “Nuova Flaminia” e la E 45. Da oltre un decennio è in corso la realizzazione di un primo tratto (Branca-Gubbio), mentre del secondo tratto (Gubbio-Montecorona) è in corso solo la progettazione di una prima parte. Questo asse, oltre al collegamento delle due longitudinali, consente di risolvere il grave stato di isolamento dell’area eugubina che, all’indomani dell’apertura della galleria di Forca di Cerro, resta l’area più isolata dell’Umbria.
Le S.S. 75 e 75 bis
Analogamente alla E 45, queste statali presentano gravi carenze in quanto, pensate per assolvere ad untraffico limitato, vengono ogni giorno sottoposte ad un crescente volume di mezzi leggeri e pesanti. Gli ultimi lavori eseguiti hanno soltanto eliminato la grande pericolosità di alcuni punti, rimangono comunque totalmente insufficienti a rispondere alla domanda d’uso. L’intero tratto necessita di significative revisioni, in particolare: lo svincolo di Collestrada e quello di Ponte San Giovanni vanno interamente ripensati, evitando gli incroci dei traffici e facilitando i flussi nelle varie direzioni; vanno rivisti gli accessi e le uscite che attualmente sono quasi totalmente mancanti delle rispettive corsie; va reso sicuro il transito nelle gallerie, dove quotidianamente avvengono incidenti, sia con lavori migliorativi della sede stradale, sia con sistemi di informazione all’utenza -dislocati in punti da cui sia possibile deviare- onde evitare intasamenti ed aggravio dell’asse; va rivista la distribuzione dei traffici in uscita spesso convogliati su strade urbane di insufficiente capacità e regolamentate con sistemi semaforici che spesso creano lunghe code sull’intera bretella d’uscita.
Al fine di facilitare il consistente traffico locale per il tratto della S.S. 75 che va da Foligno a Ponte San Giovanni, è stata ipotizzata una complanare ottenuta attraverso il miglioramento delle strade provinciali che collegano tra di loro i numerosi centri che attualmente si riversano sulla S.S. 75.
L’intera area di incrocio della E 45 con le S.S. 75 e 75 bis è stata esaminata ed affrontata come nodo di Perugia, si rimanda pertanto a tale voce.
La Tre Valli
E’ così denominata perché attraversa la Valnerina, la Valle Umbra e quella del Tevere; lungo il suo
percorso incrocia la Flaminia all’altezza di Spoleto. Dopo l’apertura delle gallerie di Forche Canapine e di Forca di Cerro, tale area ha risolto il collegamento della Valnerina sia verso Ascoli Piceno, che verso Spoleto. Oggi è indispensabile il suo completamento per consentire l’attraversamento di Spoleto, per facilitare i traffici dell’area industriale e per allacciarsi alla E 45 ad Acquasparta. La realizzazione di questa trasversale, oltre che unire a sud la Flaminia e la E 45, garantisce il collegamento tra il litorale adriatico (A 14 e S.S. 16), l’Umbria e Roma.
Le trasversali marchigiane
l. La “trasversale settentrionale” Fano-Grosseto: già esistente nel tratto Fano-Acqualagna (superstrada E 78) ed in costruzione nel tratto Acqualagna - Città di Castello (dove incrocia la E 45), pur interessando in maniera limitata il territorio umbro, assume un ruolo rilevante nel riequilibrio dell’accessibilità dell’alta Val Tiberina. Essa, inoltre, assolve al collegamento tra la A 14 (Fano) e la A 1 (Arezzo).
2. La Ancona- Perugia: questo asse per una parteassolve al ruolo della Flaminia, per la parte tra Osteria del Gatto e Perugia facilita il collegamento dell’area eugubino-gualdese con Perugia, ma soprattutto mette in relazione l’area del Trasimeno con l’area est dell’Umbria e il fabrianese.
3. Il “sistema delle trasversali Macerata-Foligno”: si tratta di un tracciato trasversale che collega Macerata con Foligno per innestarsi sulla Flaminia e sulle S.S. 75 e 75 bis. Questo collegamento, già in parte realizzato nell’area marchigiana con il potenziamento della S.S. 77 (Civitanova Marche - Muccia), deve affrontare l’attraversamento della zona di pregio ambientate del Piano di Colfiorito. E’ stata ipotizzato anche un tracciato che vede l’ammodernamento della S.S. 361 e la realizzazione della galleria del Passo del Cornello con il suo innesto sulla Flaminia nei pressi di Nocera Umbra.
4. La trasversale meridionale delle “Tre Valli”: di tale asse si è già trattato.
La mobilità, intesa come facilitazione ad intessere relazioni e, quindi, come indicatore della dinamicità di un sistema territoriale, è un tema che rende particolarmente ragione della specificità dell’Umbria e, ancor più, della provincia di Perugia.
Esso, infatti, può essere qui affrontato solo tenendo presente che ad una popolazione sostanzialmente contenuta nel numero (circa 600.000 abitanti) corrisponde un territorio estremamente esteso (Km. 6334), notevolmente variegato per l’aspetto geomorfologico e con problematiche di assoluta specificità.
La popolazione è diffusa su un territorio costituito da una maglia di poli e reti assai minuta ed esprime una domanda di relazioni estese all’intero sistema insediativo, anche se con linee di forza di particolare intensità verso e tra i centri principali e la cui soddisfazione richiede cospicue risorse.
Il modello reticolare diffuso è stato assunto, negli anni passati, come riferimento per la programmazione settoriale ed urbanistica: già il primo Piano di Sviluppo Socio-Economico degli anni Sessanta e, più recentemente il Piano Urbanistico Territoriale del 1983, hanno attribuito un grande valore alla pluralità dei centri ,definendo l’Umbria città-regione, ed impostando sulla conservazione e valorizzazione di questa immagine lo sviluppo futuro del territorio. Il modello della città-regione non si è di fatto raggiunto.
Le analisi insediative registrano una situazione in parte diversa, creatasi nel corso degli anni 70 - 80, caratterizzata da un processo di concentrazione a larga scala di popolazione e di attività in fasce ristrette del territorio, collocate lungo i principali corridoi infrastrutturali della regione.
Per quanto riguarda la provincia di Perugia , il fenomeno ha interessato in maniera vistosa una fascia centrale estesa che, senza soluzione di continuità, va da Magione a Perugia, Bastia, Foligno, Trevi e Spoleto con una propaggine verso Umbertide e Città di Castello ed una verso sud, comprendendo Torgiano e Deruta.
Dall’analisi dei ruoli territoriali e dei pesi reciproci di ciascuna città della provincia (§ I.4.4 ed I.4.5.), emerge il forte peso di Perugia su tutti gli altri centri grandi e piccoli, quale polo regionale e luogo della massima concentrazione di funzioni economiche, produttive, sociali, amministrative e finanziarie ed, insieme a questo, anche una considerevole domanda di mobilità all’interno della fascia della concentrazione e di relazioni sull’intero territorio provinciale, il cui soddisfacimento va garantito in quanto condizione fondamentale per il mantenimento di livelli qualitativi accettabili per l’organizzazione sociale.
Il sistema ferroviario
Il riordino ferroviario rappresentato dalle linee ad Alta Velocità, realizzato totalmente al di fuori della regione, ha aumentato il differenziale tecnologico tra l’armatura infrastrutturale umbra e quella delle regioni contermini, con forte danno per tutto il sistema delle relazioni.
Lo stato del sistema ferroviario umbro che interessa i principali ambiti vallivi della regione e con essi le aree della massima concentrazione insediativa, denuncia le gravi responsabilità politiche e gestionali che hanno portato l’Umbria ad essere una regione con un bassissimo livello di infrastrutturazione ferroviaria, con inadeguatezza dei materiali rotabili e carenze delle tecnologie di esercizio. In particolare: il trentennale ritardo del raddoppio della linea Roma-Ancona, quale unico
e significativo asse trasversale dell’Italia centrale che collega il corridoio adriatico con quello tirrenico; il mancato ammodernamento della Foligno-Perugia-Terontola-Arezzo, quale connessione all’Alta Velocità; la non trasformazione in metropolitana di superficie della Ferrovia Centrale Umbra nelle tratte Terni-Perugia e Città di Castello-Perugia e nel tratto urbano delle FS tra Ponte San Giovanni-Fontivegge-Ellera.
I tempi estremamente lunghi ed i ritardi nell’esecuzione, nonostante gli scarsi finanziamenti già assegnati per l’eliminazione dei passaggi a livello, la realizzazione degli interventi finalizzati all’uso metropolitano urbano tra Ponte Felcino-Ponte Valleceppi-Ponte San Giovanni- Fontivegge-Ellera e per il nuovo collegamento Fontivegge-S. Anna, hanno sempre più determinato una presenza marginale del ferro e scoraggiato l’utenza.
Diventa sempre più urgente l’esecuzione dei lavori di ammodernamento della F.C.U., sia per il ruolo che essa può e deve assolvere nel territorio regionale, sia nel contesto nazionale con l’ipotizzato prolungamento fino in Emilia Romagna.
Le realizzazioni infrastrutturali di cui sopra sono oggi, ancor più di ieri, urgenti e fondamentali per evitare che l’Umbria divenga una regione sempre più sottoinfrastrutturata e servita dalla sola e carente modalità stradale.
L’elaborato riporta il quadro degli interventi attualmente in programma, o in corso di attuazione: da esso appare con chiarezza che, pur non esistendo contraddizioni forti tra le esigenze di riorganizzazione e specializzazione sopra espresse ed i programmi delle Aziende, esiste probabilmente un problema di selettività delle proposte ed una linea strategica complessiva che miri ad obiettivi certi e credibili e alla rapidità delle soluzioni.
Il sistema del trasporto collettivo su gomma
Al fine di avere una conoscenza complessiva della funzionalità, della qualità, nonché delle conseguenti modificazioni da apportare nel trasporto collettivo, alla scala extraurbana, cioè di collegamento tra i centri, si è attivato un monitoraggio dei programmi di esercizio delle Aziende per complessive 1152 corse giornaliere che coprono 27.988 km e interessano 25.626 utenti.
Da tale analisi è emerso che:
• l’attuale complesso del trasporto extraurbano risulta, in linea di massima, correttamente dimensionato ed innervato sul territorio servito;
• non si sono riscontrate sacche di trasporto inutilizzato, grazie anche al processo di razionalizzazione dei servizi operato negli ultimi anni;
• i posti offerti nell’esercizio sono ampiamente sufficienti per l’utenza servita;
• si conferma la disomogeneità tra i due bacini della provincia: la realtà territoriale, sociale ed economica del bacino n. 2 (Spoleto-Foligno-Valnerina) determina di fatto una penalizzazione in termini di mercato potenziale per l’impresa che vi opera, nonostante i consistenti risultati ottenuti in questi ultimi due anni in termini di razionalizzazione ed efficienza aziendale;
• la frequentazione del mezzo pubblico su gomma si differenzia notevolmente, non solo in relazione alla densità abitativa dei territori collegati, ma anche relativamente all’arco temporale in cui si svolge l’esercizio: la concentrazione degli spostamenti sistematici in un arco di tempo giornaliero molto limitato fa sì che nelle ore di punta ci siano indici medi di utilizzazione soddisfacenti, mentre nel restante orario risultano sensibilmente inferiori;
• nella determinazione del livello minimo di servizio, inteso come livello qualitativamente e quantitativamente sufficiente a soddisfare l’esigenza di mobilità dei cittadini, sarà necessario estendere la definizione di socialità del servizio anche agli intervalli temporali e non comprendere esclusivamente ambiti territoriali;
• il parco autobus delle Aziende esercenti il servizio collettivo extraurbano necessita di adeguati interventi di ammodernamento, in quanto risulta che mediamente circa il 65% del totale dei mezzi ha un’età superiore ai dieci anni. Il miglioramento della qualità del servizio di trasporto deve quindi necessariamente passare attraverso anche un adeguamento qualitativo dei mezzi circolanti per poter colmare, anche in termini di comfort, il divario oggi esistente con l’auto privata;
• dalla matrice O/D, nell’intervallo orario che va dalle 6,15 alle 9,15, l’attrattività di Perugia è del 31%, la rimanente è ripartita tra altri Comuni.
Dall’elaborazione dei dati monitorati sul trasporto provinciale su gomma, unitamente ai dati più recenti sul trasporto ferroviario ( Progetto di corridoio per l’integrazione modale - Aprile 1997), nonché ai risultati statistici dell’ultimo censimento del 1991, è stato possibile ricostruire, per ogni singolo vettore, matrici origine/destinazione su base comunale e nell’arco orario 6,15 - 9,15, sufficientemente omogenee.
Le analisi condotte dimostrano la forte attrattività della città di Perugia, punto terminale di gran parte degli spostamenti provinciali e regionali effettuati sia con autobus, con treno, che con l’auto privata.
Quest’ultima modalità di trasporto individuale determina ormai uno stato permanente di crisi del sistema della viabilità non più risolvibile attraverso interventi pesanti su strade e parcheggi.
Il territorio provinciale risulta interessato da circa 46.000 spostamenti extraurbani nell’arco temporale esaminato, con la seguente ripartizione modale:
• circa 32.000 spostamenti intercomunali con auto privata
• circa 11.000 spostamenti ( di cui circa 4.000 all’interno del comune) utilizzando la rete di trasporto collettivo extraurbano su gomma di concessione provinciale.
• circa 2.850 spostamenti utilizzando la rete ferroviaria regionale.
E’ evidente la predominanza assoluta dell’auto privata (70%), che relega il trasporto collettivo (30%) ad un ruolo sempre più marginale soprattutto, se rapportato all’intero arco giornaliero, con gravi ripercussione sulla vivibilità dei centri cittadini e sul livello di sicurezza delle infrastrutture viarie.
L’aumento del tasso di motorizzazione registratosi nella provincia di Perugia (+ 11.000 automezzi circolanti dal 1993 al 1997), incrementato anche dalla recente legge sulla rottamazione, ha portato nel 1997, sempre su base provinciale, ad un’incidenza veicoli circolanti su popolazione residente di 75 mezzi per ogni 100 abitanti, pari a 1,3 abitanti per auto.
La concorrenza dell’auto privata nei confronti del vettore pubblico, ferro o gomma che sia, risulta senza ombra di dubbio vincente, in quanto quest’ultima rappresenta, in generale, il mezzo di trasporto più confortevole, più personalizzato e maggiormente flessibile rispetto alla rapida mutevolezza delle esigenze.
Ciò è particolarmente evidente per le brevi distanze, mentre tende a diminuire con l’aumento delle distanze e del tempo di percorrenza, per questo occorrono azioni differenziate per i diversi vettori.
Occorre che quelli collettivi formino un fronte compatto e ben integrato, pur nella specificità del loro ruolo primario, e che le iniziative delle istituzioni pubbliche siano finalizzate al travaso di utenti dall’auto privata al vettore collettivo, favorendone l’uso, l’accessibilità e la rapidità.
Un errore strategico sarebbe quello di considerare gli utenti del mezzo pubblico come un patrimonio costante ed ormai acquisito da poter dirottare a piacimento su un vettore, piuttosto che su un altro: si otterrebbe così come unico risultato, un’ulteriore disaffezione dell’utente verso il sistema pubblico della mobilità.
All’interno dei corridoi serviti dalla rete ferroviaria il treno rappresenta il mezzo di trasporto pubblico predominante, mentre la gomma assolve ad un ruolo diverso, finalizzato a servire capillarmente un’utenza più periferica che mal si adatterebbe all’imposizione di rotture di carico e tempi di attesa.
L’obiettivo che il PTCP individua , rimandando ai piani di bacino il luogo per l’attivazione delle azioni specifiche, è quello della riduzione progressiva della mobilità individuale a favore di quella collettiva.
Ipotizzando una percentuale di travaso dal sistema privato a quello collettivo tra il 10 e il 20% nell’arco di cinque anni, si ottiene una domanda trasferibile dall’auto compresa tra i 700 e i 1.400 nuovi utenti nelle ore di punta, in grado di contribuire in maniera consistente al decongestionamento del sistema della viabilità urbana e di scorrimento o convergente su Perugia, nonché una significativa riduzione del livello di inquinamento.
Per raggiungere questo obiettivo è indispensabile che il vettore privato e quello collettivo siano concorrenziali sul piano dei costi , dei tempi di percorrenza, del comfort, della frequenza e delle relazioni; per questo il PTCP individua alcuni indicatori di competitività.
1° Indicatore di competitività - costo del trasporto
Per le principali polarità del sistema provinciale sono state elaborate delle tabelle parametriche di confronto tra i costi sostenuti dall’utente del sistema pubblico e privato.
Il costo medio del vettore pubblico è mediamente 4 volte inferiore al corrispondente costo dell’auto privata se si confrontano il prezzo del biglietto di corsa semplice con il costo totale comprensivo di parcheggio: il costo del trasporto pubblico valutato in base al prezzo di un abbonamento mensile, diventa circa 10 volte inferiore a quello dell’auto.
Il costo dell’auto può diventare competitivo con quello del biglietto di corsa semplice nel caso di quattro utilizzatori ( car - pool ).
Poiché il costo del parcheggio ha un sensibile impatto nel rapporto tra il sistema della mobilità collettiva e di quella privata, è necessario che la politica della sosta diventi sempre più strategica e vero ago della bilancia per gli spostamenti degli equilibri modali.
Notevole importanza assumono una serie di azioni delle amministrazioni locali ed in particolare di Perugia, Foligno, Spoleto, Città di Castello e Gubbio, relative alla politica di tariffazione della sosta:
• chiusura al traffico delle parti pregiate della città, con salvaguardia dei residenti;
• sostituzione di parcheggi liberi con parcheggi a pagamento nelle aree urbane, specie quelle pregiate;
• tariffazione “piramidale” dei parcheggi sopraddetti;
• realizzazione di parcheggi adeguati, anche a basso costo, in corrispondenza dei terminal bus, delle stazioni e fermate ferroviarie e metropolitane.
2° Indicatore di competitività - tempi di percorrenza
Su alcune tra le principali polarità della provincia di Perugia sono stati analizzati i tempi medi di collegamento su auto privata ( considerando velocità commerciali compatibili con i limiti di velocità, la natura della strada ed i livelli di congestione), su autobus pubblico (sulla base della velocità commerciale media della linea e delle corse ) e su ferrovia ( tempo di collegamento stazione-stazione, non considerando i tempi di trasferimento casa-stazione e stazione-destinazione finale).
Dal confronto è stato possibile indicare le relazioni in cui la ferrovia e l’autobus hanno possibilità di migliorare i propri livelli di servizio recuperando il “gap” esistente con l’auto privata.
a) Trasporto pubblico su ferro
La grande capacità di trasporto del sistema di mobilità su ferro passa attraverso la rapidità del collegamento tra il capoluogo di regione ed i centri di emissione più importanti della provincia, quali: Città di Castello, Umbertide, Spoleto, Foligno, Todi e Marsciano.
Queste relazioni sono interessate da circa 4.000 spostamenti sistematici nell’arco orario 6,15-9,15 con l’uso del mezzo privato e quindi rappresentano un sufficiente bacino d’utenza per attuare politiche di riqualificazione del mezzo ferroviario sulle medie e lunghe distanze.
In particolare, occorre che i collegamenti ferroviari su Perugia abbiano le seguenti velocità commerciali:
Spoleto - Foligno - Perugia 75< Vcom. < 120 km/h.
Tuoro - Magione - Perugia Vcom. > 100 km/h.
Todi - Marsciano - Perugia 70 <Vcom.< 100 km/h.
Città di Castello - Perugia 70 <Vcom.< 100 km/h.
b) Trasporto collettivo su gomma
Per quanto riguarda la velocizzazione dei collegamenti extraurbani su gomma, le azioni da intraprendere sono essenzialmente orientate a minimizzare i tempi di percorrenza all’interno delle città.
Oltre, quindi, ad un’auspicabile ricerca di nuove forme di gestione dei tempi e degli orari delle città, le iniziative da mettere in campo in tempi brevi consisteranno nell’inserimento, all’interno degli itinerari urbani, di corsie preferenziali, di terminal attrezzati in corrispondenza dei centri storici, o dei sistemi di mobilità urbana su sede fissa (minimetrò) e di priorità semaforiche negli incroci maggiormente congestionati.
Parallelamente a questa irrinunciabile politica di regolamentazione dell’accesso alle città che privilegi il mezzo pubblico rispetto a quello privato, è da valutare anche la possibilità o di inserire corse dirette, qualora ci siano le condizioni economiche per la loro sostenibilità finanziaria, o di razionalizzare gli itinerari evitando eccessiva frammentazione delle fermate all’interno dei territori comunali attraversati.
Le relazioni che potranno essere oggetto di potenziamento della gomma pubblica sono essenzialmente quelle in cui:
• la gomma pubblica rappresenta l’unico vettore possibile;
• la ferrovia non costituisce un sistema di trasporto veramente alternativo all’auto privata, sia per l’ubicazione delle stazioni, che per i tempi di adduzione e per le rotture di carico non sopportabili;
• gli spostamenti con il mezzo privato nell’arco orario 6,15-9,15 risultano considerevoli.
In funzione di tali presupposti sono stati individuati come collegamenti suscettibili di riqualificazione e
di eventuale potenziamento quelli di seguito elencati:
1. Perugia- Bettona-Torgiano
2. Perugia-Castiglione del Lago- Panicale- Piegaro
3. Perugia-Gubbio-Gualdo Tadino
4. Perugia-Marsciano
5. Gubbio-Gualdo Tadino
6. Spoleto-Norcia-Cascia
La restante rete del trasporto pubblico provinciale su gomma, così come definito dal comma 3 dell’art.6 della L.R. 37/98, è da ritenersi sufficientemente proporzionata e strutturata rispetto alla domanda ed alle esigenze minime di mobilità, ai sensi dell’art. 16 del D. lgs. 422/97.
In particolare occorre raggiungere le seguenti velocità commerciali su alcune tratte:
• Castiglione del Lago - Piegaro - Perugia Vcom. = 48 km/h.
• Gubbio - Perugia Vcom. = 42 km/h.
• Gubbio - Gualdo Tadino Vcom. = 42 km/h
• Gualdo Tadino - Perugia Vcom. = 40 km/h.
• Norcia - Spoleto Vcom. = 48 km/h.
3° Indicatore di competitività - comfort del vettore
La competitività in termini di comfort tra vettore pubblico e privato è un altro aspetto decisamente importante nell’obbiettivo di una ripartizione modale più favorevole per la mobilità pubblica.
Risulta che al 31/12/98 gli autobus di tipo extraurbano, che percorrono quindi itinerari medio-lunghi, per circa un 30% hanno un’età superiore ai 15 anni e per un altro 35% un’età compresa tra i 10 e 15 anni.
Pur non avendo dati precisi, lo stato del materiale rotabile del sistema ferroviario non è certo migliore.
E’ chiaro che il raggiungimento di livelli di comfort che riescano ad attrarre ed a soddisfare l’utenza passa attraverso un piano sistematico di sostituzione dei mezzi più vetusti.
Gli investimenti necessari sono senza dubbio considerevoli e valutabili in linea di grande massima in circa 10 miliardi all’anno per i prossimi 5 anni.
La recente legge n. 194/98 recepisce tale necessità e permetterà, anche se non in modo totale, di sostituire dalle linee di T.P.L. gli autobus più obsoleti.
4° Indicatore di competitività: frequenza
Si è visto che per le brevi distanze, 10-12 km dall’area urbana di attrazione di Perugia, la competitività dell’auto privata è forte ed è vincente sul sistema collettivo.
Per questo in tale raggio è indispensabile che la frequenza del mezzo collettivo sia elevata, in modo da ridurre i tempi di attesa e che, unitamente alla velocità commerciale e ad una tariffazione incentivante, possa consentire al sistema collettivo di confrontarsi con il mezzo privato.
E’ evidente l’eliminazione quanto più possibile di rotture di carico che causano allungamenti dei tempi e disagi agli utenti.
A tal fine sono necessari:
• realizzazione di un sistema che operi con carattere metropolitano nell’area indicata;
• realizzazione di parcheggi a basso costo in prossimità delle fermate metropolitane e dei terminal degli autobus;
• introduzione di sistemi di mobilità alternativa a quelli convenzionali;
• realizzazione di parcheggi di scambio adeguati in corrispondenza delle stazioni ferroviarie e dei terminal del trasporto pubblico su gomma.
5° Indicatore di competitività: sistema delle relazioni
E’ necessaria una forte interrelazione sia tra il sistema di trasporto urbano ed extraurbano che con i punti di scambio dei collegamenti interni, interregionali e nazionale.
In particolare:
• coincidenza oraria della rete extraurbana (gomma e ferro) con la rete urbana;
• coincidenza oraria della rete su gomma con la rete ferroviaria;
• coincidenza oraria ferroviaria nei collegamenti relativi ai nodi di Foligno-Terontola, Orte, Chiusi-Roma;
• coincidenza con l’alta velocità ad Arezzo o Firenze in relazione ai collegamenti con il nord Italia e l’Europa;
• coincidenza con l’alta velocità a Roma per i collegamenti verso sud.
Solo attraverso questa serie di iniziative concatenate e contemporanee, si può prevedere realisticamente un travaso di utenza sistematica dalla mobilità privata a quella collettiva, contribuendo concretamente a decongestionare la viabilità urbana e di scorrimento su Perugia e a migliorare la qualità ambientale.
A fianco del sistema infrastrutturale viario o trasportistico, che nella prassi urbanistica viene identificato come il telaio che dà forma e sostegno ai sistemi insediativi urbani, il PTCP ha posto tutti gli impianti a rete attribuendo a questi una importanza non minore rispetto al sistema viario, per la concretezza delle scelte di assetto e di sviluppo territoriale dei PRG.
Questo tematismo descrive il grado di infrastrutturazione tecnologica complessiva del territorio provinciale, avendo a riferimento: le linee energetiche, le linee acquedottistiche ed i collettori fognari insieme ai relativi impianti di captazione e di rilascio, gli impianti di trasformazione dei rifiuti.
Tralasciando la descrizione delle reti acquedottistiche e dei collettori fognari, trattate in modo specifico
nell’Atlante del Sistema Ambientale (§ A.6.1. e A.6.2.), la descrizione delle reti energetiche riporta le principali linee ad Alta Tensione Enel, secondo la specifica classificazione e gli impianti di produzione di energia elettrica collocati sul territorio provinciale: le due centrali termoelettriche di Pietrafitta (Panicale) da 35 MW, in fase di riconversione da lignite a metano, la centrale termoelettrica di Ponte di Ferro (Gualdo Cattaneo) dotata di due sezioni da 70 MW, oltre ad alcune centrali idroelettriche, poste lungo il Nera.
Non sono state invece censite alcune centrali ancora di dimensioni più piccole, gestite da altre società, per la difficoltà di costruire un quadro attendibile che potesse illustrare la loro dimensione ed il loro potenziale ruolo a livello locale.
E’ chiaro che la tendenza alla riattivazione di piccoli e piccolissimi impianti idroelettrici dismessi, ovvero la messa in funzione di impianti di produzione di nicchia per l’energia alternativa, vanno seguite e considerate con attenzione, soprattutto per le interconnessioni e ricadute a livello locale, ma anche a scala territoriale.
Il PTCP pertanto, nella fase successiva di approfondimento e nello sviluppo della copianificazione con i Comuni, implementerà il tematismo acquisendo nuovi dati.
Le linee di forza degli elettrodotti principali seguono i principali assi vallivi su cui si addensano i sistemi
insediativi provinciali: il quadro che ne deriva è, alla scala territoriale, piuttosto equilibrato, avendo al centro del territorio provinciale le due principali centrali di produzione; i Comuni potranno verificare ed eventualmente confermare tale equilibrio nella rete diffusa sul proprio territorio e tenerne conto nei propri indirizzi insediativi e nelle scelte localizzative.
Analogamente la rete di distribuzione del gas metano risulta interessare in modo diffuso la quasi totalità del territorio, anche nelle aree a minor densità insediativa, a seguito del rilevante programma di metanizzazione che ha interessato il territorio regionale soprattutto nella seconda metà degli anni ‘80 e nei primi anni ‘90.
L’elaborato, descrivendo la rete formata dalle dorsali di Alta Pressione della SNAM e dalla distribuzione in Media Pressione delle varie Società concessionarie che gestiscono la fonte energetica, conferma la situazione sopra esposta e ne rappresenta la solidità della diffusione.
Sono stati inoltre censiti i luoghi di trattamento e trasformazione dei rifiuti di provenienza urbana e gli impianti ad essi connessi in maniera diretta o indiretta.
Ricadute territoriali
Anche in questo caso, come si è visto per le analisi delle reti acquedottistiche e fognarie (che peraltro vengono qui riportate) nell’Atlante del Sistema Ambientale, il dato più significativo di questa scelta è la scelta stessa, aldilà della ricchezza delle informazioni raccolte e presentate, in quanto viene introdotto il concetto, sostanzialmente nuovo nella prassi urbanistica, che il sistema delle reti energetiche è un sistema di riferimento per la pianificazione urbanistica comunale e quindi è un parametro da utilizzare per la verifica della coerenza dei PRG. Al tempo stesso è un tema su cui il PTCP, nella sua funzione di coordinamento e luogo di coerenza per le azioni di programmazione settoriale della Provincia, potrà promuovere forme di copianificazione con le Aziende e gli Enti competenti.
In realtà, questo ruolo del PTCP sta già avendo dei momenti di verifica, come sul tema specifico della chiusura del ciclo del trattamento dei rifiuti solidi urbani.
Qui il PTCP ha promosso una serie di verifiche per constatare la fattibilità tecnica ed economica di una proposta che attribuisce ai vari soggetti interessati ruoli specifici all’interno di un sistema integrato, che va dalla raccolta differenziata alla termovalorizzazione dei rifiuti; questo costituisce un reale contributo al Piano Regionale per lo smaltimento dei rifiuti, nonché importanti indirizzi ai Comuni su cui ricadono gli insediamenti e gli impianti connessi alla gestione del ciclo dei rifiuti.
E' questo il quadro sintetico (elaborato con il contributo essenziale dei Comuni che hanno fornito dati e partecipato alla sua costruzione) della pianificazione comunale al 1996: non si tratta di un tradizionale "mosaico" dei piani, ma di una lettura sintetica, unificata ed interpretativa degli stessi.
I Comuni hanno rappresentato graficamente ( alla scala richiesta di sintesi 1: 10.000) lo stato di attuazione del proprio PRG e fornito la dettagliata contabilità mediante i Bilanci Urbanistici Comunali (BUC), sottolineando l'utilizzazione di nuove aree e la conferma delle destinazioni in atto.
Tale operazione riveste un grande valore poiché costituisce la prima esemplificazione pratica dell'indirizzo del PTCP di corredare i nuovi PRG, e le varianti significative, con un elaborato che, tramite una semplificazione estrema delle previsioni, metta in evidenza le scelte urbanistiche di fondo, permetta una reale valutazione del significato territoriale dell'assemblaggio dei piani sull'area provinciale e costituisca un archivio continuamente aggiornato della pianificazione comunale.
La legenda comune, che viene riportata nella scheda, è strutturata sulla base dei tre sistemi interpretativi fondamentali: quello degli insediamenti (divisi in prevalentemente residenziali e commerciali, e prevalentemente produttivi), esistenti e in previsione; quello dei servizi (divisi in verde, servizi urbani e di quartiere, infrastrutture viarie e ferroviarie), esistenti e in previsione; quello delle zone agricole extraurbane.
Quell'elaborato rappresenterà un elemento fondamentale per la verifica della compatibilità al PTCP dei PRG, consentendo un confronto omogeneo di ogni piano locale con quelli contermini.
Attraverso l'analisi dei PRG, il PTCP ha ricostruito un quadro dettagliato per singoli comuni, ma anche arti- colato per ambiti territoriali e per aggregazioni dimensionali, della pratica urbanistica dagli anni ‘70 alla prima metà degli anni ‘90, con la possibilità di estrarre il modello evolutivo posto alla base delle scelte dei Comuni e di valutare i risultati conseguiti, vale a dire ciò che tale prassi ha di fatto comportato.
Certamente non può essere ipotizzato un rapporto di causalità diretta tra la pratica urbanistica dei Comuni e le trasformazioni territoriali avvenute nel periodo corrispondente all'interno dei singoli ambiti comunali, e ciò per vari motivi, tra cui la non linearità dei processi di trasformazione.
L'analisi aiuta ad individuare se, ed in quale misura, i PRG hanno saputo accompagnare alle trasformazioni, originate da diverse cause un processo di razionalizzazione delle strutture territoriali e garantire una quantità di elementi che possono essere indicatori di un livello qualitativo accettabile.
Il lavoro svolto dalla Provincia in collaborazione con i Comuni per la formazione dei BUC è stato il primo passo della copianificazione; il risultato più interessante è indubbiamente il grande sforzo compiuto dalle Amministrazioni Comunali nella compilazione delle schede dei bilanci, per tradurre in un linguaggio comune le linee di assetto del proprio territorio, cogliendo l'occasione offerta dal PTCP.
Nello specifico i BUC consistono in una scheda questionario appositamente predisposta con l'obiettivo di produrre elaborazioni dei dati quantitativi e qualitativi di base: gli indicatori riportati nella scheda sono interpretativi del tipo di PRG, della qualità dei piani, delle capacità insediative residue degli stessi.
La scheda è composta da una prima parte relativa alla situazione urbanistica del Comune e da una seconda parte che riguarda il sistema insediativo relativo allo stato di fatto (1995) e allo stato di diritto (cioè le previsioni dei PRG), in cui sono dimensionati l'area urbana, gli insediamenti (residenza, industria terziario), i servizi, l'area extraurbana.
Infine, è riportato il quadro urbanistico sintetico delle previsioni di piano, la quota attuata nel 1995 e quella residua con un parallelo tra gli insediamenti ed i servizi esistenti e previsti.
Nell'elaborazione dei dati è emersa la difficoltà di confrontare strumenti urbanistici spesso non omogenei per la loro stessa natura, (PRG o PdF) la cui omologazione, ricercata tramite leggi e direttive regionali, da tempi remoti, si è dimostrata nei fatti non attuabile, ma, nonostante questo, è stato ugualmente possibile trovare una chiave di lettura comune che ha permesso di ricavare un quadro complessivo dello stato della pianificazione comunale nel territorio provinciale.
La crescita urbana
Dall'analisi dei dati, l'incremento previsto per tutta la Provincia di Perugia dà un valore di crescita medio del 61%.
Per dieci Comuni questa crescita è vicina o supera il 100% (tra cui Nocera Umbra, Sellano, Valfabbrica che prevede un incremento della superficie urbana del 341%), mentre varia dal 20% al 30% per dodici Comuni tra cui Perugia, Foligno, Città di Castello.
Per altri 16, individuabili nella fascia dei Comuni intermedi e dell'area centrale della Provincia, (come Todi, Spello, Bastia) la crescita è compresa tra il 30% e il 50%, mentre per gli ultimi 21, tra cui Gubbio e Spoleto, va dal 50% al 90%.
La superficie urbana, nello stato di fatto è destinata agli insediamenti per quasi il 69%, mentre il resto (31%) è destinato ai servizi.
Nello stato di diritto invece la quota destinata ai servizi arriva al 40%.
In particolare, nello stato di fatto, per quanto riguarda gli insediamenti, il 51% della superficie urbana riguarda la residenza, il 17% le attività artigianali/industriali, lo 0,04% il terziario e lo 0,5% le grandi aree libere.
Nello stato di diritto la residenza passa al 41%, le attività artigianali / industriali al 18%, il terziario all'1% e le grandi aree libere allo 0,4%.
Il dimensionamento dei PRG
L'analisi mette in luce che, complessivamente, ci troviamo di fronte ad uno scenario fortemente sovradimensionato. Infatti nello "stato di diritto" dei PRG sono previste complessivamente circa 1.900.000 stanze per circa 1.000.000 di abitanti (la popolazione insediabile secondo le previsioni dei PRG è stata calcolata nelle analisi dei BUC, moltiplicando la volumetria prevista per il rapporto stanze/abitante esistenti nel 1991); tale calcolo pur non essendo puntuale rileva la dimensione del problema. Il patrimonio edilizio, negli ultimi venti anni, ha subito un forte incremento; questa crescita è avvenuta soprattutto negli anni Settanta e in modo meno intenso negli anni Ottanta, fino a continuare nei primi anni Novanta, in cui è sempre presente un trend positivo della crescita, ma con un'intensità molto minore rispetto a quella degli anni Ottanta.
Dai dati del censimento '91 si desume che, nella Provincia di Perugia, i 588.000 abitanti residenti dispongono attualmente di un patrimonio edilizio residenziale di 1.144.000 stanze, con un rapporto di quasi 2 stanze per abitante (molto simile alla media nazionale dato che per 57 milioni di abitanti sono presenti 110 milioni di stanze).
L'incremento del patrimonio immobiliare della Provincia è desumibile dai seguenti dati: 687.000 stanze nel 1971, 984.000 nel 1981 con un incremento di quasi 300.000 stanze nel decennio '71-'81 che sono diventate la metà in quello successivo.
Infatti nel decennio '81-'91 l'incremento delle stanze è stato del 18% mentre l'incremento previsto tra lo stato di fatto e lo stato di diritto arriva quasi al 44%.
In termini percentuali l'incremento di stanze tra lo stato di fatto e lo stato di diritto arriva al 30% per 16 Comuni, tra i quali anche Perugia e Foligno; è compreso tra il 30% e il 50% per altri 17 tra cui Gubbio, Spoleto, Todi (gli altri sono quasi tutti Comuni di piccole dimensioni con meno di 7.000 abitanti); per altri 9 Comuni l'incremento è compreso tra il 50% e il 100% (tra questi Città di Castello); per 6 Comuni, tutti con meno di 3.500 abitanti, oltre il 100% (il dato più rilevante riguarda il Comune di Valfabbrica con il 176%).
Per quanto riguarda i servizi ed attrezzature di quartiere, il verde urbano e di quartiere e i servizi ed attrezzature urbane, nello stato di fatto danno luogo a circa 43 mq/ab che nello stato di diritto diventano 61 mq/ab.
Le previsioni residue dei PRG
Anche per le previsioni residue dei PRG (differenza tra lo stato di diritto e lo stato di fatto) ci troviamo di fronte quantità significative. Infatti, per le tre principali categorie funzionali, il residuo residenziale medio è del 18,14% cioè circa 2.000 ha, il residuo delle aree produttive è il 35,40% equivalente a circa 1.700 ha, ed infine quello terziario è del 66,72% equivalente a circa 1.000 ha.
Nel Comune di Perugia, ad esempio, mentre la previsione residenziale residua è del 5,16% diventa il 32,58% per le aree produttive e 28,32% per il terziario.
Per la classe di Comuni con oltre 20.000 abitanti il residuo residenziale medio è del 16%, per le aree produttive è il 30% e per il terziario il 60%.
I Comuni con la popolazione compresa tra i 20.000 e 10.000 abitanti hanno un residuo residenziale medio del 31%, le aree produttive del 32% e il terziario del 62%.
Infine per tutti gli altri (con popolazione inferiore ai 10.000 abitanti) il residuo residenziale è il 26%, quello delle aree produttive il 36% e quello del terziario il 60%.
Per quanto concerne i servizi di quartiere, su circa 1.300 ha previsti ne sono stati realizzati poco più della metà (il residuo è del 46% circa).
Per quanto riguarda i servizi urbani su 1.270 ha previsti ne sono stati realizzati 550 ha, con un residuo del 56%; in cinque Comuni i servizi urbani previsti risultano tutti realizzati (Cascia, Collazzone, Magione, Passignano sul Trasimeno e Trevi).
Il residuo maggiore è stato calcolato per il verde urbano e di quartiere (68%). Infatti su 3.590 ha previsti ne sono stati realizzati solamente 1.130 ha.
La dotazione di aree pubbliche (standard)
Per quanto riguarda questo indicatore è necessario sottolineare per prima cosa che, nella Provincia, i servizi essenziali sono in gran parte realizzati ed in genere conformi agli standard.
In secondo luogo i dati evidenziati dai bilanci mostrano che, da un punto di vista quantitativo, le dotazioni di servizi sono ampiamente superiori alla normativa regionale che, al momento della formazione dei BUC, prescriveva 24 mq/ab.
La situazione nello stato di fatto, riferita alla popolazione 1991, dà infatti luogo ad una dotazione doppia di quella minima prevista dalla legge.
Nello stato di diritto, cioè nelle previsioni di PRG, il dato cresce ancora: mediamente, nell'analisi dei dati per singoli Comuni, risulta enfatizzato in quelli piccoli e piccolissimi e meno forte in quelli di dimensioni medie e grandi.
Parallelamente all'analisi dei BUC, è stata avviata un'analisi qualitativa sulle Norme Tecniche di Attuazione (NTA), allo scopo di mettere in evidenza gli elementi caratterizzanti la pratica della gestione urbanistica del territorio provinciale, di comprenderne le linee di tendenza, i nodi problematici fondamentali e di delineare un quadro della coerenza delle regole e dei recenti aggiornamenti. E' apparsa immediatamente la impossibilità di confronti dettagliati, sia per le notevoli diversità di impostazione dei piani, sia per l'utilizzo di parametri non sempre omogenei.
Si è pertanto ritenuto utile cercare le direttrici, ricorrenti o tra loro contrastanti, che regolano il piano e verificarne il rapporto con un'idea di pianificazione coordinata e partecipata, oltre che pragmaticamente efficace e "possibile".
Sono state analizzate le NTA di tutti i Comuni con più di 20.000 abitanti, i 2/3 dei Comuni con popolazione compresa tra i 20.000 e i 15.000 abitanti e una buona parte di quelli più piccoli.
Tra i Comuni più grandi manca solamente Assisi per la difficoltà di confrontare le sue NTA con quelle degli altri Comuni. Infatti, nonostante le numerose varianti, il Comune ha mantenuto le NTA dell'originario "Piano Astengo" che risale a prima della "legge ponte" del 1967 e che quindi non è stato costruito su quei parametri che da allora rappresentano il riferimento legale dei PRG.
Da questo complesso lavoro di analisi è emerso un quadro generale della gestione urbanistica dei Comuni della Provincia che può essere sintetizzato in quattro aspetti tematici principali:
• le modalità attuative dei piani,
• gli indici di edificabilità utilizzati,
• la normativa per gli standard urbanistici,
• le modalità di controllo delle destinazioni d'uso.
Per quanto riguarda il primo tema, emerge con grande chiarezza come l'attuazione delle previsioni di piano sia subordinata ad un rinvio troppo frequente agli strumenti urbanistici particolareggiati.
Alla tradizionale attribuzione della possibilità dell'intervento diretto (attraverso la semplice concessione edilizia) nelle zone omogenee B ed E, e a volte anche nelle zone D (anche se in genere riferite alle aree già parzialmente edificate), si affianca una forte tendenza all'articolazione specifica delle aree.
Vengono cioè individuati moltissimi casi particolari che caratterizzano le trasformazione del territorio, in cui l'obbligo della lottizzazione convenzionata, o comunque del piano attuativo, non si limita alle zone di espansio- ne (le zone C del Decreto Ministeriale 1444/'68), ma va ad interferire anche con particolari zone B, D ed anche F (cioè i servizi).
Tutto ciò si accompagna all'articolazione delle zone omogenee, previste dal decreto del 1968, in varie sottozone che, per alcuni Comuni, raggiungono quantità pressoché parossistiche.
La tendenza ad una sempre maggiore articolazione delle zone omogenee è rintracciabile in particolare nelle più recenti esperienze di pianificazione: le situazioni più evidenti sono infatti tutte corrispondenti a varianti degli anni ‘90 in cui, specie per i Comuni di maggiori dimensioni l'attenzione principale è stata posta sul controllo delle trasformazioni delle zone urbane, cercando di determinare gli indirizzi più opportuni per ogni particolare situazione tramite la definizione di sottozone, quantità, destinazioni e dotazioni differenti.
L'esame dei dati relativi alle modalità di attuazione dei PRG e all'articolazione delle zone omogenee, evidenzia la tendenza alla individuazione di situazioni particolari, sia nella città esistente che nella nuova espansione.
Per quanto riguarda il secondo tema, gli indici di edificabilità territoriale, le analisi effettuate sulle NTA dimostrano che il loro valore risulta generalmente molto elevato (compreso tra 15.000 mc/ha e 30.000 mc/ha).
Da questa situazione, assolutamente diffusa ed omogenea, si differenziano le norme dei PRG di Perugia e Spoleto che prevedono rispettivamente, anche se in ambiti territoriali circoscritti, valori massimi ancora più elevati pari a 60.000 e 50.000 mc/ha.
Per quanto concerne gli standard urbanistici, il problema principale riscontrato non è tanto ascrivibile alle quantità che le NTA fissano, quanto alle prescrizioni della legge regionale vigente, che non prevedeva una cessione integrale degli standard urbanistici nelle aree di trasformazione, ma solo della quota di standard aggiuntivi (2,5 mq/ab di parcheggi e 3 mq/ab di verde) che devono essere individuati all'interno dei singoli piani attuativi, mentre la verifica degli standard regionali minimi viene effettuata a livello dell'intero PRG.
L'analisi effettuata evidenzia comunque, che circa un terzo delle NTA analizzate prescrive dotazioni di aree verdi e parcheggi aggiuntivi superiori ai valori minimi previsti dalla legge regionale.
In particolare per la dotazione di verde di vicinato, il sovradimensionamento è generalizzato, anche se particolarmente evidente nei Comuni più piccoli (per esempio Massa Martana, con 5 mq/ab, raddoppia quasi lo standard regionale di verde di vicinato).
Nei Comuni più grandi, come Perugia, Foligno e Spoleto, l'attenzione si focalizza invece particolarmente sul tema dei parcheggi aggiuntivi.
Le NTA di questi Comuni introducono anche elementi qualitativi di carattere ambientale per la realizzazione degli standard sopraddetti per lo più inerenti la messa a dimora delle alberature.
Per quanto concerne infine il quarto tema, le destinazioni urbanistiche e gli usi compatibili, l'analisi ha evidenziato una sostanziale differenza tra aree urbane ed aree extraurbane.
All'interno delle aree urbane la tendenza dominante è quella di una larga compatibilità, in tutte le aree a vocazione residenziale, tra residenza, commercio e servizi, compatibilità che, il più delle volte non è regolamentata. Le destinazioni monofunzionali invece sono presenti prevalentemente nelle NTA dei PRG particolarmente vecchi e non rinnovati dalle varianti recenti.
Per le zone produttive la destinazione monofunzionale viene generalmente confermata per quelle di nuova realizzazione, mentre per quelle già in parte realizzate e oggetto di operazioni di trasformazione si tende alla costruzione di un sistema misto con una prevalenza di destinazioni produttive e di servizi senza escludere possibili quote di residenza.
La destinazione monofunzionale specifica viene riproposta per i servizi pubblici. Ciò appare piuttosto singolare in quanto, tale tipo di destinazione ha un valore solo indicativo che può essere modificato, secondo le necessità del Comune, con procedure di immediata efficacia sulla base della legislazione in vigore (legge 1/78).
Nelle zone extraurbane il problema della destinazione d'uso compatibile si pone in termini del tutto diversi.
Infatti, già il PUT del 1983, con la definizione delle aree di pregio agricolo (art. 9) e delle aree boscate (art.11) aveva introdotto alcuni elementi di tutela e di controllo, specie per le prime, sui soggetti abilitati alla trasformazione e pertanto sulle destinazioni compatibili.
Il quadro che emerge dall'analisi risente naturalmente di quelle indicazioni e la diffusa doppia possibilità di residenzialità, una strettamente legata all'attività agricola e l'altra libera dai vincoli produttivi, corrisponde al recepimento delle indicazioni regionali.
Va osservato che è piuttosto diffuso l'uso del collegamento formale tra la residenza di nuova costruzione ed il terreno di nuova pertinenza con un vincolo di inedificabilità registrato e trascritto (a volte tale obbligo è presente anche per gli annessi rurali).
Questo elemento riveste una notevole importanza in quanto, collabora ad esercitare un effettivo controllo, anche quantitativo, sulle case sparse in zona agricola; tale prassi è stata definitivamente assunta dalla legge reg. 31/97.
Significativa, come destinazione compatibile nell'agricolo, risulta inoltre la presenza, accanto alla residenzialità, della destinazione commerciale; quest'ultima a volte è collegata con la necessità di strumenti urbanistici attuativi e a volte senza nessuna forma di approfondimento e controllo.
I casi riscontrati appartengono per lo più a Comuni di piccole e piccolissime dimensioni che hanno di recente aggiornato il proprio strumento urbanistico generale o le NTA e che appartengono ad ambiti territoriali su cui è forte la tendenza e l'aspettativa circa il turismo e il suo indotto.
Ricadute territoriali
Le analisi svolte attraverso i BUC e sulle NTA sono finalizzate alla formazione degli "Indirizzi per la pianificazione comunale"; tali Indirizzi rappresentano l'approccio programmatico prescelto per affrontare il sistema insediativo, da parte del PTCP, evitando esplicitamente ogni soluzione tendente a fornire un disegno territoriale più o meno sintetico.
E' questa la trasformazione più radicale nel processo di valutazione dei PRG: sia rispetto al periodo precedente al decentramento regionale, sia rispetto ai metodi di approvazione dei piani utilizzati in generale dalle Regioni.
Il nuovo metodo è tipico della "copianificazione" e rappresenta il contributo della Provincia alla pianificazione comunale, con lo scopo di qualificarla a priori piuttosto che correggerla a posteriori.
Le analisi inoltre avvalorano la tesi che si possa andare verso un nuovo modello che consenta di rinnovare la pianificazione locale senza ricorrere prevalentemente alla logica dei "tagli", (vale a dire dell'eliminazione delle previsioni non ancora attuate e giudicate inadeguate).
Scegliendo in alternativa di restare all'interno degli ambiti che già sono interessati dai processi di pianificazione in atto, applicando su queste aree una profonda revisione qualitativa di tutte le previsioni: in sostanza, riducendo l'edificazione ed aumentando la permeabilità dei suoli urbani.
Le scelte non possono più essere incentrate sul "dimensionamento" dei piani, cioè sulla ipotetica corretta previsione insediativa rispetto a parametri di riferimento, quali la crescita demografica o il fabbisogno di edilizia residenziale, (anche se certamente le quantità devono essere ragionevoli). Ciò che oggi conta di più è la qualità delle previsioni.
Da questo punto di vista la strategia generale degli "indirizzi" tende ad un duplice obiettivo: da un lato la riqualificazione, e cioè il miglioramento delle condizioni di efficienza e di accessibilità degli insediamenti, garantendo il soddisfacimento dei fabbisogni sociali ancora presenti (fabbisogni che peraltro già si stanno riducendo, sia in termini di abitazioni che in termini di servizi), e dall'altro la necessità di affrontare il recupero e il riuso del patrimonio edilizio, in generale degli insediamenti urbani ed, in particolare, di quelli storici.
Gli "Indirizzi per la pianificazione comunale" costituiscono un titolo specifico dei "Criteri, Indirizzi e Direttive generali del PTCP" di cui all'"Atlante della struttura del PTCP", ed a quelli si fa espresso riferimento per una dettagliata trattazione.
Di seguito vengono comunque descritti alcuni punti significativi:
Riconversione delle previsioni in atto
Il primo "indirizzo" deriva dal sovradimensionamento generalizzato che i PRG presentano e riguarda la
riconversione delle previsioni in atto.
In altre parole, il residuo sovradimensionato dei piani non dovrà necessariamente essere "tagliato", ma il processo di revisione dei PRG interesserà in prevalenza le aree già destinate alla trasformazione, senza uscire dai perimetri che l'espansione ha già definito e che la disciplina urbanistica ha, in qualche modo, sancito.
I "tagli" saranno invece necessari per le aree interessate dalle "invarianti" ambientali del PTCP, cioè dal sistema dei vincoli paesistici previsti dalla legge, atemporali e non indennizzabili, nonché per le aree di elevata tendenza al dissesto.
Come già detto, il processo di revisione dei PRG può essere portato avanti lavorando quasi interamente sulle aree che sono già interessate da previsioni di trasformazione in base ai piani vigenti, sia relative ai servizi, sia relative agli insediamenti.
I BUC dimostrano infatti che esiste un margine di manovra per rinnovare i piani, anche nel loro meccanismo attuativo, lavorando sui perimetri attuali, sulle aree già classificate dai PRG, naturalmente cambiando indici, quantità, destinazioni, parametri: riducendo in sostanza l'edificazione e aumentando il verde permeabile e quindi la qualità e la sostenibilità dell'insediamento.
E' necessario infine tenere presente che questo "indirizzo" dovrà essere applicato con rigore per le aree appartenenti all'ambito della concentrazione, mentre può essere considerato in modo più flessibile per le zone del policentrismo diffuso e della rarefazione.
Il dimensionamento residenziale
Il secondo "indirizzo" riguarda il nuovo dimensionamento dei piani regolatori.
E' chiara la necessità di un superamento del concetto di fabbisogno residenziale e dalla sua applicazione nella formazione dei PRG: esso era infatti un concetto indispensabile nella fase della espansione urbana, una fase ormai conclusa anche per le trasformazioni territoriali dell'Umbria dove, il patrimonio abitativo è, come già ricordato, quasi arrivato ad una media di due stanze per abitante (provincia di Perugia).
Sembra poi utile introdurre il parametro alloggio (oggetto di mercato)/famiglia (soggetto di consumo) che aiuta ad interpretare le trasformazioni sociali in atto; in una situazione di mercato che tende in prevalenza al "riposizionamento", cioè al passaggio da una vecchia abitazione ad una nuova di migliore qualità.
Le problematiche relative al dimensionamento residenziale vanno quindi affrontate evitando qualsiasi rapporto tra dimensionamento e fabbisogno e fornendo invece risposte al mercato in termini di domanda privata solvibile e di offerta pubblica presumibile, e giustificando le nuove quantità derivanti da tali parametri con le necessità indotte dalle più generali problematiche della riqualificazione urbana.
Il quadro precedentemente esposto evidenzia, inoltre, l'opportunità di superare l'esclusiva logica del PEEP, che non risponde più alle reali esigenze del mercato (la popolazione in effettivo stato di necessità abitativa, nelle stime nazionali, è appena superiore al 6%) ed utilizzare gli strumenti urbanistici di tipo integrato (PRU, PII) in cui l'edilizia pubblica potrebbe rappresentare una quota parte costante dei comparti di trasformazione, ad esempio dell'ordine del 15%.
Gli indirizzi del PTCP riguardano pertanto le soglie (in percentuale) di accrescimento del patrimonio edilizio, eventualmente indicando anche la quota di edilizia sociale, da realizzare in forma integrata, e commisurata al rapporto esistente tra famiglie e alloggi in proprietà, all'offerta di affitto, alla consistenza del patrimonio abitativo pubblico ed alla appartenenza degli insediamenti agli ambiti territoriali della "concentrazione", della "diffusione policentrica" e della "rarefazione"(§ I.4.4 e I.4.5.).
Il dimensionamento produttivo
Il PTCP suggerisce che il completamento delle previsioni inattuate sia subordinato alla verifica delle condizioni di operatività, di accessibilità e di presenza dei servizi essenziali.
Qualora siano necessarie nuove zone di espansione, si ritiene indispensabile che queste vengano attuate nel mantenimento dell'obiettivo di salvaguardia del sistema industriale in attività garantendone innanzitutto l'adeguamento tecnologico e le reali esigenze di ampliamento.
Ovviamente tutte le nuove previsioni devono essere localizzate in coerenza con l'accessibilità prevista dai piani per queste aree.
Gli standard urbanistici
Per quanto riguarda la dotazione di aree pubbliche, come già evidenziato dalla lettura dei BUC, non si riscontrano particolari carenze quantitative.
L'indirizzo è comunque di confermare, senza superarli, i minimi previsti dalla legge regionale.
Le analisi svolte sulle NTA hanno messo in evidenza come il vero problema sia il fatto che le prescrizioni della legge regionale vigente non prevedono il recupero degli standard regionali all'interno di ogni singola area di trasformazione; a questo proposito il PTCP ritiene invece necessario specificare che, per gli interventi di trasformazione più consistenti, gli standard regionali debbano essere recuperati totalmente e ceduti gratuitamente all'interno del perimetro di ogni piano attuativo.
L'elevata dotazione attuale e quindi la dimensione ridotta del fabbisogno arretrato facilita il ricorso a modalità di acquisizione di tipo compensativo e non di tipo espropriativo, operazione già possibile applicando le leggi vigenti.
Inoltre appare necessario prevedere una totale flessibilità normativa che consenta l'interscambiabilità per le varie destinazioni pubbliche senza obbligatoriamente dover ricorre alle varianti, anche con le procedure accelerate già garantite dalla legge 1/78.
Infine, per quanto riguarda il problema degli standard urbani (istruzione superiore, ospedali e parchi) le più precise indicazioni potranno risultare sulla base dei rispettivi programmi di settore sanitari e scolastici, già predisposti dalla Regione.
Impedire le saldature tra Comuni
La lettura dei recenti processi di espansione insediativa lungo i principali assi territoriali della Provincia, e specialmente nelle aree della concentrazione, mostra una pericolosa tendenza al verificarsi di saldature lineari tra gli insediamenti che va senz'altro frenata.
Tutto ciò con una duplice finalità: da una parte per salvaguardare l'identità fisica e morfologica dei tessuti urbani e dall'altra per consentire il mantenimento di quegli elementi naturali di collegamento tra diversi sistemi ambientali, indispensabili per la conservazione dell'ambiente fisico.
Introduzione dei nuovi parametri urbanistici-ecologici
Si ritiene utile l'introduzione di alcuni nuovi parametri come l'indice di permeabilità, il verde privato condominiale; oltre all'uso generalizzato dei parametri Ut (indice di utilizzazione territoriale) e Uf (indice di utilizzazione fondiaria) rispettivamente in mq/ha e in mq/mq, rispetto a quelli espressi in mc.
Il parametro della permeabilità dei suoli urbani (Ip) è stato fino ad oggi poco usato in urbanistica e non
certamente come parametro generalizzato di controllo.
Questo indicatore rappresenta invece un elemento decisivo di concreta integrazione tra urbanistica e ambiente che deve assicurare una qualità che i tessuti urbani, anche nei piccoli centri, devono necessariamente avere per poter garantire le migliori condizioni delle tre risorse fondamentali che compongono l'ambiente, il suolo, l'aria e l'acqua e soprattutto la loro "rigenerazione".
La permeabilità dei suoli urbani è un elemento che consente sia un processo di rigenerazione della falda, quindi un bilancio positivo del sistema idrogeologico del territorio, sia la rigenerazione della risorsa aria, attraverso l'incremento della vegetazione, sia una maggiore difesa del suolo.
Inoltre la permeabilità dei suoli urbani ha un forte rapporto con il sistema infrastrutturale: fognature e sistema di smaltimento delle acque piovane. La frequenza dei dissesti di carattere ambientale dovuti alle piogge è direttamente legata al processo di continua impermeabilizzazione del suolo e al sovraccarico delle fognature e dei depuratori dovuto alla impermeabilizzazione che convoglia in essi grandi quantità di acqua.
Il verde privato condominiale (Vc) riguarda le aree da sistemare a verde privato che risultano indispensabili per garantire la qualità ecologica dei nuovi insediamenti.
L'introduzione di questo nuovo parametro, sia per i nuovi insediamenti che per quelli già previsti, indica la possibilità di destinare una quota consistente della superficie territoriale a verde privato condominiale attrezzato anche con alberi ed arbusti, attrezzature sportive e ricreative.
Indirizzi per le Norme Tecniche di Attuazione
Da quanto è emerso dall'analisi delle NTA è possibile individuare i seguenti 3 elementi problematici che necessitano di semplificazione e risoluzione: il meccanismo attuativo troppo complicato, la definizione degli indici di edificabilità territoriale, il controllo delle destinazioni d'uso delle aree urbane ed extraurbane.
Per quanto riguarda gli aspetti più problematici relativi all'attuazione delle previsioni di piano, e cioè il troppo frequente ricorso a strumenti urbanistici particolareggiati e la eccessiva articolazione delle zone omogenee in sottozone, si ritiene indispensabile che i nuovi PRG siano definiti con una estrema semplificazione della zonizzazione. A questo proposito è auspicabile che il ricorso al "piano operativo", possa collaborare ad una effettiva soluzione del problema dell'attuazione delle previsioni di piano sia nella città consolidata che nelle zone di trasformazione.
Per quanto riguarda gli indici di edificabilità, gli indirizzi del PTCP, pur constatando, in generale nella Provincia l'utilizzo di indici piuttosto modesti, si muovono nella direzione di una sostanziale conferma delle tendenze in atto. Per i Comuni appartenenti all'area della concentrazione l'indice territoriale non dovrebbe comunque mai superare i 3.500 mq/ha nelle trasformazioni più intensive; mentre, quelli fondiari non dovranno superare il limite di 1 mq/mq.
Tali indici dovranno essere opportunamente ridotti sia per i Comuni del policentrismo diffuso, sia per quelli della rarefazione.
La necessità di dover garantire la permeabilità dei suoli in ogni operazione di trasformazione (e quindi una certa quota di superficie libera e non edificata) finalizzata alla sostenibilità ambientale delle trasformazioni urbanistiche, nonché il rispetto delle caratteristiche dei centri umbri che non consentono il ricorso a tipologie ad alta densità, dimostra che è possibile adeguarsi a questi parametri senza grandi difficoltà.
Infine, per quanto riguarda le destinazioni d'uso e gli usi compatibili, gli indirizzi del PTCP suggeriscono di generalizzare l'integrazione funzionale tra residenza e terziario nelle zone di trasformazione, almeno nelle aree della concentrazione, secondo le regole generali che assegnano alla residenza (comprese le attività ricettive e alberghiere) un minimo del 40% della superficie realizzabile e al terziario (comprese le attività commerciali al servizio della residenza e l'artigianato di servizio) un minimo del 25%.
Con questa soluzione originale e innovativa si tende a conferire grande flessibilità alle previsioni del piano adeguandole alle condizioni del mercato al momento dell'attuazione.
Nelle aree extraurbane, la finalità principale è quella di affrontare la problematica ambientale; ma dal punto di vista insediativo la gestione dell'agricoltura viene ribadita come fattore potenziale, con il preciso obiettivo di rendere la funzione produttiva elemento strettamente integrato alle esigenze ambientali.
In questo quadro tutto il patrimonio edilizio esistente deve essere considerato utilizzabile non soltanto per l'uso agricolo, ma anche per l'uso esclusivamente residenziale, ricettivo e turistico applicando seriamente le metodo- logie del restauro e del risanamento conservativo e, comunque, quella della ristrutturazione quando le precedenti non siano imposte dalle esigenze morfologiche.
Per contro, la realizzazione di nuove costruzioni sarà giustificata soltanto quando siano indispensabili all'uso produttivo, si tratti di residenze o di attrezzature e ciò, naturalmente, quando non esistono nel fondo agricolo preesistenze edilizie che si possano riutilizzare.
Per praticare questi indirizzi è possibile fin da ora individuare i nodi fondamentali su cui agire in sede di riformulazione delle norme tecniche di attuazione e cioè:
• prevedere una riduzione dell'indice di edificabilità per le nuove costruzioni residenziali e subordinare in modo generalizzato la possibilità di edificare in area extraurbana alla sussistenza del requisito di imprenditore agricolo a titolo principale ed alla presenza di piani o programmi aziendali che legano le esigenze abitative a quelle produttive dell'impresa agricola;
• generalizzare la prassi, già peraltro diffusa in molti comuni, di accompagnare il rilascio della concessione edilizia con il vincolo di inedificabilità assoluta sui terreni interessati;
• prevedere l'obbligo del vincolo di destinazione d'uso quale condizione per il rilascio di concessioni edilizie relative agli annessi agricoli.
Nuove modalità attuative
Il problema dell'attuazione è certamente uno dei problemi centrali per l'urbanistica italiana: troppo spesso si è verificato un divario eccessivo tra previsioni ed esiti dei piani.
Una situazione oggettiva, la cui causa fondamentale è da ricercarsi nella sostanziale non applicazione del meccanismo attuativo espropriativo della legge urbanistica generale 1150/1942 e nella mancanza di un moderno regime giuridico degli immobili, dopo che la Corte Costituzionale ha di fatto azzerato la riforma introdotta nel 1977 con la legge n.10.
Il riferimento ai valori di mercato dell'esproprio reintrodotto nel nostro ordinamento da quella sentenza e presente anche nella disciplina attuale (art. 5 bis della legge 359/1992) oggi impedisce una larga applicazione, diretta o indiretta, di questo strumento, anche perché nel frattempo, soprattutto nei centri maggiori, è cambiato l'oggetto principale del piano: alle aree esterne necessarie per l'espansione si sono sostituite quelle interne alla città, le aree della trasformazione, i cui valori immobiliari sono superiori a quelli delle aree agricole necessarie per un processo di crescita che ormai appartiene sempre di più al passato.
La soluzione sostenuta dall'Istituto Nazionale di Urbanistica è quella perequativa che garantisce il principio di uguaglianza tra i cittadini.
Il meccanismo perequativo caratterizza inoltre il PRG in senso maggiormente operativo, affrontando sia le problematiche relative agli insediamenti esistenti, sia quelle relative alle aree per nuovi insediamenti (aree esterne di crescita marginale, aree interne di trasformazione), sia, infine, quelle relative all'acquisizione delle aree per le necessità pubbliche.
In estrema sintesi, l'approccio perequativo che il PTCP suggerisce ai Comuni della Provincia, comporta due diversi meccanismi attuativi: uno riferito agli interventi estensivi negli insediamenti consolidati e l'altro relativo alle aree di nuovo insediamento:
• negli insediamenti consolidati (dove gli interventi saranno sostanzialmente solo quelli del recupero e del completamento) il regime immobiliare sarà quello attuale, governato da un mercato regolato; gli espropri, relativi alle aree strettamente indispensabili, saranno indennizzati con riferimento ai valori condizionanti delle sentenze in essere e delle ultime disposizioni di legge; valori che ormai risultano di fatto quelli di mercato;
• nelle aree di nuovo insediamento il PRG stabilirà indici di utilizzazione territoriale omogenei per tipologie di aree, relativi ai vari ambiti di trasformazione, la cui attuazione è subordinata ad unico strumento attuativo di iniziativa pubblica o privata o congiunta; gli indici prescelti saranno in generale più bassi di quelli usati tradizionalmente, perché relativi ad ambiti di dimensioni consistenti; lo strumento attuativo concentrerà inoltre le volumetrie risultanti su una parte minoritaria dell'area (ad esempio il 30%) e destinerà la parte rimanente in prevalenza ad uso pubblico, assicurandone la cessione al Comune attraverso modalità compensative.
In entrambi i casi l'esproprio non sarà più la "regola" dell'attuazione del piano, ma solo l'"eccezione", quando la cessione con modalità compensative non sarà possibile.
ALLEGATO
IMPIANTO NORMATIVO TIPO E DI AZZONAMENTO SINTETICO PER I PRG
La definizione di un modello di riferimento tipo per la redazione delle norme dei piani viene suggerita sulla base
di una duplice necessità:
- la prima relativa alla indispensabile revisione dell'impianto normativo dei piani urbanistici comunali, ancora nella sostanza incentrato sulle norme introdotte dalla LN 765/67 e sui relativi decreti applicativi, in modo tale da adeguarlo all'evoluzione culturale e disciplinare che l'urbanistica ha avuto negli ultimi anni;
- la seconda dalla constatazione della difficoltà da parte delle Amministrazioni Comunali nell'introdurre correttamente all'interno dei propri piani alcune importanti innovazioni legislative (142/90, 241/90).
La definizione dell'impianto normativo tipo risulta inoltre proposta in relazione all'opportunità di omogeneizzazione dei linguaggi di rappresentazione dei piani, attraverso la definizione di legende omogenee di riferimento.
La proposta di impianto tipo normativo si presenta quindi come un'indicazione "a priori" della struttura normativa che ogni Comune dovrà assumere nell'adeguamento del proprio strumento urbanistico, al fine di uniformare i contenuti e le rappresentazioni dei piani.
Si propone di semplificare e di alleggerire il più possibile la struttura delle norme: di conseguenza, non sono elencate tutte le possibili zone urbanistiche, di difficile definizione anche in rapporto ai differenti "stili di pianificazione", ma viene proposto un metodo per la redazione delle norme "per famiglie integrate" di zone urbanistiche.
La tradizionale divisione in zone territoriali omogenee sostanzialmente monofunzionali, introdotta con la LN 765/67, della quale si auspica il superamento, appare infatti inadeguata alla recente evoluzione della disciplina verso una più corretta polifunzionalità dei tessuti urbani, con la conseguente definizione di "tessuti omogenei" per caratteristiche storico-morfologiche, funzionali, ambientali, e l'articolazione dei relativi "usi del territorio".
L'impianto normativo tipo potrebbe essere articolato in tre soli livelli: Titoli Capi Articoli.
Ma, mentre i Titoli dovranno essere nella loro sostanza rispettati nella redazione della normativa dei piani, si propone che i Capi e gli Articoli abbiano un valore indicativo e di riferimento, una sorta di "manualistica" della normativa, una "guida" che le Amministrazioni potranno affinare e articolare, nel rispetto della metodologia espressa.
Il Titolo I "Disposizioni generali e attuazione del piano", si potrebbe articolare in cinque Capi (Generalità, Parametri urbanistici ed edilizi, Destinazioni d'uso del territorio, Modalità di intervento, Strumenti di attuazione).
Il Titolo II "Adeguamento del piano al PTCP- Piano Paesistico", si potrebbe articolare in cinque Capi (Criteri generali per l'adeguamento, Sistema geologico-geomorfologico, Sistema botanico- vegetazionale, Sistema storico, Sottosistemi territoriali).
Il Titolo III "Previsioni del piano per i tessuti urbani e urbanizzabili", si potrebbe articolare in tre Capi (Zone pubbliche e di interesse generale, Tessuti esistenti e di completamento, Aree di trasformazione).
Il Titolo IV "Previsioni del piano per i sistemi extraurbani)'', si potrebbe articolale in due Capi (Sistema ambientale, Sistema agricolo).
Il Titolo V "Norme finali e transitorie", si potrebbe articolare in due Capi (Norme finali, Norme transitorie).
Inoltre, come già proposto, appare opportuno richiedere alle Amministrazioni Comunali un elaborato da allegare alle carte di piano, definita "Azzonamento sintetico" di Prg (in scala 1:10.000), anche nel caso della redazione di Varianti parziali.
L' "Azzonamento sintetico" di Prg è l'elaborato che consente effettivamente di omogeneizzare "a posteriori" i contenuti dei piani, con una interpretazione di sintesi in grado di confrontarne le principali grandezze.
In questo modo sarà richiesta ai Comuni una precisa, dettagliata e rigorosa contabilità delle previsioni urbanistiche dei propri strumenti, che espliciti il bilancio delle aree destinate dal piano, sottolineando l'utilizzazione di nuove aree, il riuso di aree già edificate, la conferma di destinazioni in atto e che, sommando tutte le destinazioni, restituisca la superficie del territorio comunale.
Si tratta, in pratica della cartografia e della contabilità che andrà a comporre ed aggiornare progressivamente la carta del "mosaico dei PRG", particolarmente utile nella fase gestionale del PTC.
La legenda comune potrà essere la seguente (ogni voce dovrà inoltre essere opportunamente quantificata):
a) Insediamenti esistenti
- prevalentemente residenziali "colore rosso"
- prevalentemente industriali-artigianali "colore viola"
- prevalentemente terziari (direz., comm.) "colore giallo"
Insediamenti di previsione
- prevalentemente residenziali "righe rosse"
- prevalentemente industriali-artigianali "righe viola"
- prevalentemente terziari (direz., comm.) "righe gialle"
b) Servizi esistenti
- servizi e attrezzature di quartiere e urbane "colore azzurro"
- verde di quartiere e urbano (pubblico e sportivo) "colore verde"
- infrastrutture per la mobilità (viabilistiche, ferroviari portuali e areoportuali) "colore nero" (*)
Servizi di previsione
- servizi e attrezzature di quartiere e urbane "righe azzurre"
- verde di quartiere e urbano (pubblico e sportivo) "righe verdi"
- infrastrutture per la mobilità (viabilistiche, ferroviarie, portuali e areoportuali) "tratteggi neri"*
c) Zone extraurbane
- zone agricole "colore bianco"
- zone di pregio ambientale e zone vincolate "riga continua verde"
(*) Le infrastrutture viabilistiche saranno indicate con linea continua doppia (grande viabilità) e linea continua singola (viabilità primaria); le linee ferroviarie saranno indicate con linea continua e tratteggio obliquo mentre le attrezzature ferroviarie, portuali e aeroportuali con campitura a tratteggio obliquo.
La contabilità urbanistica (quantificazione). finalizzata alla creazione di una "Banca dati urbanistico - ambientali provinciale", dovrà essere articolata in base alla ripartizione sopra proposta.
I Comuni potranno ovviamente specificare ulteriormente le proprie scelte, restando comunque all'interno di tale ripartizione.
Di seguito si presenta una prima ipotesi delle due tabelle di contabilità urbanistica (allegate al documento), da proporre ai Comuni (St = Superficie territoriale; Sf = Superficie fondiaria; su = Superficie utile).
Tabella n ° 1 - Superficie urbanizzata (che comprende l'area urbanizzata e l'arca urbanizzabile, del Capoluogo e delle frazioni)
- quantificazione degli insediamenti esistenti e di progetto (St. Su, stanze):
negli insediamenti sono compresi la residenza, l'industria e 1'artigianato, il terziario;
- quantificazione dei servizi esistenti e di progetto (St):
servizi di quartiere, verde di quartiere, verde urbano, servizi urbani, mobilità, altre infrastrutture (impianti portuali, infrastrutture tecnologiche rilevanti dal punto di vista territoriale quali fognature, depuratori, acquedotti, elettrodotti, ecc.);
Tabella n ° 2 Sintesi comunale
- quantificazione (St. valori assoluti e valori percentuali) di sintesi, di insediamenti; servizi e zone extraurbane, aggregate per "urbano" (che comprende insediamenti e servizi) e "extraurbano" (che comprende corsi d'acqua, zone di tutela, zone agricole).
Il tematismo illustra il quadro delle attività produttive svolte all’esterno delle aree urbane della Provincia, essenzialmente legate alle attività agricole e per la maggior parte di tipo specialistico.
Nell’ambito del territorio non interessato dai fenomeni di urbanizzazione, sono state individuate la aree agricole boschive (superficie totale sul territorio provinciale kmq. 2.527,42) come risultano dalla Carta Forestale Regionale del 1992 e destinate alla tutela ed alla produzione boschiva; sono state inoltre descritte le aree a pascolo, i vigneti e gli uliveti.
Per quanto riguarda gli uliveti, è evidente la concentrazione e la continuità di questa attività colturale sulla costa collinare che si affaccia sulla Valle umbra Sud, dalle colline a nord di Bastia, attraverso il versante a Sud del Subasio, fino al versante dei monti della zona di Spoleto.
Tale coltivazione è estesa alla maggior parte della Provincia, in particolare, oltre all’area sopra ricordata, alle zone dei monti Martani, delle colline a Nord di Perugia e intorno al lago Trasimeno.
Sono inoltre riportati i frantoi oleari disseminati sull’intero territorio provinciale, e, con maggiore concentrazione, nella Valle Umbra e nei suoi centri.
Per quanto riguarda la produzione vitivinicola, sono state censite le aree con particolare vocazione, riprendendo le classificazioni di Denominazione di Origine Controllata (DOC) o Denominazione di Origine Controllata e Garantita (DOCG) ; tale produzione interessa, con diversificate ed interessati qualità, una estesa parte del territorio provinciale: in particolare, tutta la Valle del Tevere, l’area a sud del Trasimeno e la sua prima fascia collinare, le pendici dei Monti Martani.
Infine sono state individuate le aree vocate alla raccolta del tartufo, differenziandone gli ambiti in funzione delle tipologie di tartufi maggiormente raccolti: tartufo bianco, tartufo nero e tartufo estivo.
Si è ritenuto significativo, in questa ricognizione, tenendo conto dello stretto legame con la realtà agricola, riportare le località ove sono attive le aziende agrituristiche.
Ricadute territoriali
Diversamente da come viene considerato l’ambito extraurbano nella prassi urbanistica tradizionale, il PTCP vuole segnalare la presenza di elementi di rilevanza territoriale per lo sviluppo dei territori agricoli e confrontare tali presenze con i prevalenti usi attuali.
La conservazione delle caratteristiche ambientali e delle produzioni di qualità (oli, vini, tartufi, ecc.) va garantita quale ricchezza colturale che può avere forti ricadute in ambito economico e produttivo soprattutto nelle aree deboli e marginali.
Va inoltre evidenziato come il perseguimento di questo obiettivo incida positivamente nella conservazione dei caratteri fondativi del paesaggio.
Il sistema insediativo nella provincia si è storicamente caratterizzato attraverso varie tipologie di insediamenti con trame relazionali differenziate, la cui ossatura è stata, fino ad anni recentissimi, la viabilità antica, preromana e romana con alcune integrazioni sei-settecentesche, trasversali rispetto ai principali sistemi vallivi nord-sud, lungo le quali sono sorti e si sono sviluppati gli insediamenti più recenti. La marginalità di questi collegamenti ha favorito il riaffermarsi di un sistema insediativo fortemente articolato, diffuso e caratterizzato da elementi di complementarietà al proprio interno; la varietà delle situazioni geomorfologiche ha provveduto poi a ampliare il quadro delle tipologie insediative e delle culture a queste collegate.
Recentemente comunque, la struttura insediativa della provincia, come quella della regione Umbria, ha visto consolidarsi fenomeni di concentrazione sulla tradizionale rete policentrica. Tale fenomeno si presenta in modo contraddittorio: con i caratteri relativi a potenzialità di agglomerazione ancora non del tutto consolidate e con le caratteristiche originarie non del tutto perdute; con la simultanea presenza dei caratteri di partenza e di quelli di arrivo. In tutto ciò è venuto a scomparire il carattere del policentrismo diffuso quale elemento caratterizzante il territorio provinciale e, con esso, l’idea della città-regione.
Di questa situazione fortemente dinamica, il tematismo intende fornire un’istantanea, rappresentando il sistema degli insediamenti urbani e la loro armatura, vale a dire la distribuzione delle attrezzature urbane, dei servizi di interesse generale e dei luoghi della produzione.
Sono stati pertanto considerati i tematismi relativi all’istruzione secondaria, alle strutture culturali (teatri e musei), alla pubblica Amministrazione, alle strutture sanitarie ed inoltre alla rete infrastrutturale principale su cui si appoggiano la grande distribuzione commerciale, il sistema delle grandi aree industriali e la distribuzione sul territorio delle attrezzature turistico-ricettive, siano esse alberghiere o extra, come ad esempio quelle agrituristiche, fornendo un quadro complesso del sistema insediativo.
La distribuzione delle attrezzature urbane oltre a rispecchiare naturalmente la configurazione del territorio nei sistemi subregionali, fornisce di questi sistemi una immagine assai diversificata relativamente alla dotazione ed alla natura dei servizi, evidenziando una sperequazione in alcuni casi assai forte tra le diverse situazioni. Tale fenomeno è poi assai più forte allorché si trattano i temi tradizionalmente meno soggetti alla gestione pubblica del territorio, vale a dire i servizi del terziario, ed in particolare la grande distribuzione e le attività ricettive. Se infatti gli istituti di istruzione media superiore risultano presenti in 21 centri della provincia (nel 35 % dei comuni), 18 sono i comuni che dispongono di strutture ospedaliere, sia pure di diversa dimensione e capacità di prestazioni (30%) e 9 sono i comuni che hanno almeno un servizio di pubblica amministrazione o previdenziale con ruolo sovracomunale (15%), la grande distribuzione commerciale risulta sostanzialmente tutta localizzata nella fascia di massima concentrazione insediativa tra Magione e Bastia Umbra, lungo l’asse della S.S.75bis, in prossimità di Perugia. Si tratta di due sistemi localizzativi che in maniera emblematica rappresentano i due scenari in atto: da una parte il rafforzamento dei sistemi territoriali basati sull’assetto geomorfologico, sul policentrismo e sulla “tradizione” derivata da quell’assetto e caratteri, dall’altra l’esito dei fenomeni di trasformazione degli assetti insediativi ed il riconoscimento del ruolo portante, dal punto di vista commerciale e degli scambi in genere, delle aree della concentrazione, sostenuta da condizioni favorevoli di mobilità ed accessibilità.
Il quadro degli insediamenti produttivi presenta, anch’esso, una realtà articolata: la consolidata diffusione di strumenti urbanistici previsionali, siano essi PRG o Programmi di Fabbricazione, ha favorito, con il ricorso alla zonizzazione delle destinazioni d’uso e grazie ad una scarsa attitudine –specie nei Comuni di più piccole dimensioni- alla pianificazione attuativa, il nascere di zone artigianali ed industriali in maniera indiscriminatamente diffusa, di bassa qualità progettuale ed insediativa e, spesso, con una capacità di relazionarsi verso l’esterno inesistente e un’accessibilità piuttosto scadente; l’esito che ne consegue sono aree produttive parzialmente o affatto urbanizzate, per grande parte inattuate, che bloccano la sia pur debole offerta di investimento, impegnano il territorio con il disagio urbanistico creato ed il mercato immobiliare con un’aspettativa di trasformazione improbabile.
Parallelamente al diffondersi di tale modello insediativo produttivo i piani hanno calato su un sistema territoriale direttamente ereditato dalla tradizione agricola mezzadrile, si sono invece fortemente consolidati alcuni poli produttivi posti in posizione favorevole nei principali sistemi vallivi e lungo le principali direttrici viarie, tanto da saldarsi in sistemi pressoché continui di dimensioni regionali (Magione-Perugia-Bastia, Foligno, Spoleto) o configurare polarità di rilievo comunque intercomunale (Fossato di Vico-Gualdo Tadino, San Giustino-Citta’ di Castello, Deruta-Torgiano-Bettona) in vario modo collegate tra loro e con i primi.
Ancora, in posizione più esterna rispetto alla fascia della grande concentrazione, si riconoscono alcuni insediamenti di consistenza significativa e con forte ruolo locale (Marsciano e Todi nella Media Valle del Tevere, Piegaro e Paciano nell’area a sud del Tra-simeno).
Le attività ricettive
Il quadro delle attività ricettive alberghiere ed extralberghiere è stato desunto dalle pubblicazioni regionali che elencano annualmente l’offerta di ricettività e di servizi sull’intero territorio regionale.
Per quanto riguarda le attività agrituristiche sono stati esaminati i dati relativi al 1996 e quelli del 1998 per avere un quadro sulle tendenze di localizzazione di tali attività e degli investimenti che queste richiamano; questo quadro è stato inoltre verificato con i dati relativi al 2000.
Analogamente l’offerta di ricettività alberghiera o paralberghiera è stata analizzata in base ai dati regionali del 1998 e del 2000, considerando per ciascuna categoria il numero delle aziende ed i posti letto.
La localizzazione delle attività è riferita alle località (centri e nuclei), mentre per la classificazione si è fatto riferimento alla normativa regionale.
Sull’attività agrituristica, la cui diffusione è relativamente recente in Umbria, permane e si potenzia il forte trend di crescita che era stato già segnalato sul territorio provinciale. Nel 1998 risultavano 48 i Comuni -su 59- con al loro interno almeno una azienda agrituristica e dal ‘96 al ‘98 vi è stato un incremento di oltre il 27% per quanto riguarda le unità aziendali e del 31% per quanto riguarda i posti letto, che nel 1998 appunto assommavano a 3.481. Nel 2000 il numero dei Comuni che vantano almeno una struttura agrituristica è salito a 51, con un incremento ulteriore, rispetto al 1998, del 57% per le unità aziendali e del 65% per i posti letto offerti che oggi hanno raggiunto la cifra di 5.742.
26 Comuni hanno avuto, in questo ultimo biennio, una crescita superiore al 50%; a quelli che hanno confermato la loro capacità di crescita in termini di ricettività agrituristica, mantenendosi oltre quel valore di crescita già riscontrato nel periodo precedente (e che sono Bevagna, Città della Pieve, Gualdo Tadino, Massa Martana, Perugia, Piegaro, Torgiano, Valfabbrica), si sono aggiunti numerosi altri: alcuni nuovi al fenomeno, per lo più nelle zone più esterne, altri ancora che hanno avuto un’ulteriore spinta di accelerazione proprio dall’avvenuto consolidamento delle attività già impiantate ( ).
La crescita delle aziende, ma soprattutto dei posti letto è una costante che si riscontra sull’intero territorio provinciale, anche se poi viene confermata la presenza di aree particolarmente specializzate.
Infatti la distribuzione delle aziende agrituristiche non è omogenea sul territorio provinciale benché quest’ultimo presenti in modo diffuso condizioni e caratteristiche ambientali senz’altro favorevoli. Pur con l’incremento avutosi nel periodo 1998-2000, enfatizzato nelle tabelle dai valori percentuali, di fatto l’attività agrituristica è assente dalla Valnerina (nel ‘98 una sola azienda è segnalata a Norcia) mentre è fortemente diffusa nella Valle Umbra, nell’area del Trasimeno e si sta affermando ora nella zona dei Martani sia sulle pendici occidentali Massa Martana e Giano dell’Umbria- che settentrionali- Gualdo Cattaneo, Montefalco. Un’area di consolidata presenza è il sistema alto collinare tra Perugia e Gubbio.
Dal punto di vista della dimensione aziendale a cui l’attività agrituristica fa riferimento, il fenomeno assume forme diversificate ed in qualche modo contrastanti. In alcuni casi, quasi sempre in presenza di aziende assolutamente modeste per superficie disponibile (2-5 Ha) e nelle località interessate dai principali itinerari turistici o ad esse assai prossime, il carattere dell’ospitalità rurale rappresenta l’elemento dominante dell’azienda che si pone in tal modo in un ruolo di stretta interrelazione ed integrazione con la ricettività alberghiera tradizionale espletata soprattutto in ambito urbano o lungo le principali arterie viarie; così la struttura agrituristica si accosta ed intercetta i flussi turistici che esistono a prescindere da essa e svolge comunque una importante opera di manutenzione e rafforzamento della qualità ambientale circostante. In altri casi, con aziende che dispongono di notevoli estensioni poderali e che sono per lo più collocate in ambito agroforestale, l’attività ricettiva è una delle articolazioni della attività aziendale spesso indirizzate in produzioni sia di tipo industriale che tradizionali e pertanto l’offerta di servizi è più completa e spesso di qualità. In modo particolare questo secondo tipo di aziende è localizzato nella fascia centrale della provincia, a contatto con i sistemi montuosi, ma anche ben servita dalla viabilità statale: la parte a nord ed a est del Peglia con la Marscianese e la Pievaiola, la zona attorno al Monte Tezio ed al Monte Acuto ben collegata alla E 45, la fascia collinare attorno ai Martani ed a sud del Subasio, compresa tra la E 45 e la S.S.75. Si tratta per lo più di zone contigue alle aree della “concentrazione” nelle quali questo tipo di aziende agrituristiche, assai di più che quelle di piccolissime dimensioni, possono svolgere, ed in alcuni casi già svolgono, una azione di allentamento della concentrazione e di riequilibrio funzionale a carattere territoriale, e creano le condizioni per nuove centralità basate sulle potenzialità e le qualità del territorio, sia riferite alle risorse ambientali o storiche, che a quelle vegetazionali, faunistiche e comunque legate ai caratteri morfologici e paesaggistici, ma soprattutto sulle capacità imprenditoriali delle aziende.
Per quanto concerne le attività alberghiere, la prima osservazione che si impone è relativa alla loro scarsa diffusione sul territorio provinciale ed alla concentrazione di queste in particolari ambiti: si tratta di ambiti
legati soprattutto al turismo religioso (Assisi e Cascia), ma non solo, in quanto una notevole concentrazione si riscontra anche a Perugia rispecchiando in tal modo il ruolo del capoluogo regionale che oltre a essere da molto tempo un centro culturale di importanza internazionale (due università, eventi culturali di grande risonanza) ha concentrato su di sé negli ultimi tempi funzioni ed attività rare del terziario.
I centri con la maggiore capacità ricettiva sono Assisi (3.611 posti letto), Perugia (3.351) e Spoleto (1.111), che nel loro insieme rappresentano il 45% dell’offerta complessiva Provinciale (17.971); Perugia presenta una tipologia di alberghi diversa rispetto a quella più diffusa nella provincia per quanto riguarda la dimensione (una media di oltre 70 posti letto per struttura ricettiva in Perugia, una media di 44 posti letto per struttura ricettiva ad Assisi). Undici sono i comuni con oltre 10 esercizi alberghieri (19%): oltre ai tre centri sopra ricordati, si tratta di Cascia, Gubbio, Norcia, Città di Castello, Passignano sul Trasimeno, Foligno, Bastia, Magione, ed in essi si concentra il 77% dell’offerta complessiva provinciale.
Ad eccezione di Bevagna, Castel Ritaldi, Cerreto di Spoleto, Monte Santa Maria Tiberina, Paciano, Poggiodomo, Scheggino, Vallo di Nera e Valtopina, i capoluoghi di Comune dispongono tutti di almeno un esercizio alberghiero, ma solo 15 ( il 21%) hanno un albergo in più di due località all’interno del proprio territorio e solo 7 (il 14%) in più di quattro.
Anche se con un peso specifico non rilevante dal punto di vista quantitativo, la presenza e la crescita di “Country houses” o di “Residenze d’epoca” conferma la tendenza ad una specializzazione delle strutture nelle zone interessate dalle più diffuse forme di informazione turistica e dove l’attività agrituristica ha già raggiunto un buon livello di consolidamento (la Valle Spoletana tra Perugia, Montefalco, Trevi e Spoleto, Gubbio, la Media Valle del Tevere con Marsciano e Todi, Deruta, Corciano).
Il dato dell’offerta complessiva di ricettività fornisce un’immagine della provincia in cui la presenza di aziende e strutture ricettive investe la quasi totalità del territorio senza però essere ancora adeguata alle sue effettive potenzialità di attrazione turistica culturale ed ambientale. Un ulteriore sviluppo dell’attività agrituristica e la sua diffusione nelle zone di maggiore marginalità insediativa potrà ridurre questo deficit ed al tempo stesso rafforzare l’opera di presidio e tutela del territorio e delle sue risorse.
Ricadute operative
L’esame dell’armatura urbana sul territorio provinciale offre la opportunità di verificare la condizione del rapporto tra insediamenti e territorio circostante per quanto riguarda le attrezzature ed i servizi e di individuare i nessi delle loro interazioni.
Tale esame ha evidenziato il forte processo di concentrazione fondato in primo luogo sul sistema infrastrutturale vallivo che, oltre ad essere quello storicamente consolidato, ha di recente stimolato la formazione di politiche insediative sia produttive che terziarie basate sull’accessibilità e, in secondo luogo, sul ruolo sempre più forte che la città di Perugia ha assunto nei confronti dell’intero assetto della Regione.
Una concentrazione che in alcuni ambiti particolari, quali la fascia più strettamente connessa alla città di Perugia, ha raggiunto livelli di guardia tali da causare situazioni difficilmente governabili soprattutto per quanto riguarda l’accessibilità e la sicurezza (vedi elaborato I.1.2.), mentre in altri, dove i livelli raggiunti sono ancora modesti, costituisce un fattore di efficace vitalità.
Se le attività manifatturiere ed il loro indotto, insieme a quelle della grande distribuzione, tendono necessariamente a concentrarsi seguendo un percorso analogo a quello della residenzialità, vi sono attività e servizi che mostrano una tendenza del tutto diversa e suggeriscono immagini di diffusione collegate a forme nuove di sviluppo. Le attività ricettive, che rappresentano una vera risorsa per il territorio della provincia, rilevano un trend in espansione e, specie per il settore agrituristico, interessano ambiti assai vari del territorio provinciale e soprattutto quelli non toccati dai fenomeni della concentrazione e dalla specializzazione di altri settori. La diffusione è quindi la chiave provinciale della ricettività, come è dimostrato dai dati, e le attività ricettive insieme all’indotto del turismo possono costituire uno dei sistemi portanti la struttura economica umbra e la conferma o l’innalzamento del livello qualitativo degli insediamenti in questa provincia.
Il trend delle attività agrituristiche è ora decisamente positivo, ma ancora le potenzialità del territorio sono in larga parte inespresse: intere aree della provincia, pur avendo a disposizione un patrimonio edilizio storico di prima qualità, che fa sistema con un patrimonio naturalistico eccezionale, risultano attualmente prive di qualsiasi struttura di ricettività diffusa ed al tempo stesso presentano una capacità di ospitalità alberghiera di tipo tradizionale, che con difficoltà riesce a stare in linea con le prestazioni standard oggi richieste. Una integrazione tra strutture ricettive tradizionali nei centri principali e strutture agrituristiche nelle aree prevalentemente agricole, con un livello di servizi avanzato, può costituire un supporto significativo per politiche di sviluppo che coinvolgono le aree del policentrismo e, soprattutto della delle attività ricettive nel territorio diffuso è anche sostenuto dalla importante rete di infrastrutturazione viaria storica e può inoltre avvalersi del sistema di attrezzature culturali, soprattutto storiche, che caratterizzano il sistema insediativo provinciale consentendone per altro un più generalizzato e permanente utilizzo.
La valorizzazione del patrimonio storico passa innanzitutto per la conoscenza e la conservazione e quindi il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale di Perugia ha, in primo luogo, sviluppato un’azione di raccolta dati al fine di formare un quadro del patrimonio storico architettonico di rilevanza territoriale contenente indicazioni relative allo stato di conservazione, all’uso attuale, al rischio urbanistico, da mettere a disposizione dei Comuni. Questo quadro caratterizza la natura di quel territorio, ma assume anche un valore strategico in quanto afferma che su questi caratteri identitari sarà possibile costruire uno sviluppo; si afferma quindi che la pianificazione urbanistica dei comuni dovrà rendere conto di questi elementi di pregio sul territorio e soprattutto delle relazioni che tra essi si realizzano (patrimonio edilizio, viabilità, paesaggio).
Il nodo successivo è quello della compatibilità tra la forma dello sviluppo previsto e la conservazione dei caratteri identitari, in una parola è quello della sostenibilità.
In tutte le aree marginali, caratterizzate da una forte rarefazione insediativa e demografica, questo risulta essere un passaggio obbligato rispetto all’obbiettivo di avviare processi di sviluppo. Lo sviluppo possibile, è quello fondato sulle qualità e le risorse locali, che, nel caso dell’Umbria sono notevoli e collegate al patrimonio storico ambientale. La conservazione del sistema è essenziale per il processo di sviluppo e tale azione di conservazione non può che essere agganciata al processo di sviluppo stesso.
Da qui deriva l’importanza attribuita al turismo rurale quale settore produttivo in grado di portare ricchezza diffusa nelle zone più marginali e che, basando il proprio esistere sull’uso delle risorse ambientali e paesaggistiche lì disponibili, ha nella compatibilità delle proprie attività la condizione del proprio sviluppo. Conservazione e valorizzazione in tal modo cessano di essere termini antitetici ed appare chiara anche la possibilità di una coincidenza fisica tra chi usa il territorio e chi ne fa la manutenzione, garantendone l’uso futuro; si ricrea in tal modo una situazione di rapporto integrato, da sistema, tra fruizione e cura, analogo per certi aspetti a quello che ha portato alla formazione di questo paesaggio di qualità.
Il tema della manutenzione del territorio extraurbano costituisce, infine, uno dei nodi fondamentali del rapporto conservazione-sviluppo del patrimonio storico diffuso e quindi anche del nesso tra turismo rurale e territorio. Anche alla luce delle recenti disposizioni legislative che rendono sempre più polivalenti le figure professionali su cui si appoggia l’attività agrituristica, una tutela del patrimonio impostata sul rigido atteggiamento vincolistico sembra sempre più inefficace: il vincolo urbanistico non funziona nei confronti di azioni che mutano gli atteggiamenti e le prospettive di un settore.
Pur non incidendo direttamente sull’aspetto fisico del territorio, questi cambiamenti di approccio rappresentano comunque significative ipoteche sulla possibilità di controllo delle trasformazioni da parte della normativa urbanistica tradizionale. E’ per tale motivo che la pianificazione territoriale provinciale di Perugia tende ad introdurre nei suoi indirizzi contenuti sempre più di relazione (un Piano fatto di regole e azioni) che legano l’attività dell’impresa (e quindi la produzione di un profitto) alla conservazione delle qualità ambientali e materiali su cui il profitto dell’impresa è in gran parte costruito.
L’attività agrituristica (o del turismo rurale) tende sempre più ad essere la forma di maggiore integrazione tra attività economica e risorse ambientali; questa integrazione probabilmente dovrà formalizzarsi in un “contratto” tra il Pubblico, che tutela quelle risorse e che, come tali, appartengono direttamente all’intera comunità e l’Impresa, che dovrà garantire nel complesso delle sue attività il mantenimento, se non il rafforzamento, delle qualità ambientali su cui costruisce la propria azione.
Il Preliminare di PTCP, nell’affrontare il tema del sistema insediativo, individuava sulla base della morfologia del territorio provinciale e dell’assetto infrastrutturale esistente, quattro differenti ambiti insediativi:
- gli assi vallivi della Valle del Tevere, da Sansepolcro a Todi e della Valle Umbra, da Perugia a Spoleto;
- l’asse della S.S. Flaminia, che da Foligno a Spoleto si sovrappone al precedente e, come quello, fortemente supportato dal sistema infrastrutturale;
- l’anello del Trasimeno;
- le aree alto-collinari e montane che si interpongono agli assi insediativi fondamentali e che rappresentano le aree interne come la Valnerina o il sistema dei Monti Martani, o, ancora, le zone marginali più piccole, ma sempre caratterizzate da una bassa accessibilità e da contenuta densità insediativa.
Le caratteristiche dimensionali e le posizioni relative fra questi sistemi, oltre ad altri fattori, hanno consentito che su questo territorio così articolato morfologicamente prendesse forma una trama insediativa identificabile in una struttura policentrica che poteva distribuire in modo diffuso sul territorio stesso funzioni ed attività.
Con gli approfondimenti condotti nella stesura definitiva del PTCP, oltre alla parte fortemente descrittiva dell’assetto territoriale della provincia contenuta nella carta dell’armatura urbana, sono state condotte valutazioni sintetiche sul ruolo territoriale dei centri urbani cercando di individuare, per ciascuno di essi, il peso che esprime nel sistema delle relazioni territoriali o nei sottosistemi locali e, in particolare, la capacità di attrazione e l’ambito di servizio, rilevabili attraverso la concentrazione e la qualità delle funzioni.
Queste valutazioni sintetiche dei ruoli urbani si riferiscono a 4 temi che sono stati assunti come particolarmente significativi per la comprensione dell’attuale assetto del territorio provinciale e che sono: cultura, servizi alla persona, attività produttive e turismo; in riferimento a ciascuno di questi temi sono stati scelti quegli indicatori in base ai quali potesse emergere maniera certa ed efficace il ruolo specifico dei vari centri in rapporto al territorio esaminato ed infine ne sono stimati fissati i pesi relativi, rispetto al totale provinciale.
E’ stato così possibile classificare la capacità di offerta e prestazione di servizi attribuendo ai centri principali, per ciascun tema, vari ruoli a seconda dell’influenza di essi sul territorio circostante e precisamente: per la cultura: centralità a livello nazionale e sovranazionale, centralità a livello regionale o subregionale, centralità locale; per i servizi alla persona: centralità con riferimento alla rete regionale, centralità con riferimento alle reti locali; per il turismo: presenza nei grandi circuiti internazionali, presenza nei circuiti turistici specialistici (turismo religioso, d’arte, gastronomico, ecc.); per le attività produttive: centri di interesse regionale, centri di interesse locale (intercomunale).
La valutazione sintetica del ruolo dei centri è stata riferita, per la definizione dei pesi delle funzioni e dei servizi prestati, il seguente quadro:
Dall’analisi dei dati è emerso immediatamente che mentre alcune funzioni risultano fortemente diffuse sul territorio (turismo ed attività produttive), altre, quali le funzioni connesse alle attività culturali ed ai servizi alla persona, sono polarizzate in alcuni centri e principalmente in Perugia, ove il ruolo di capoluogo di regione risulta drasticamente enfatizzato.
La rete del policentrismo sembra avere ancora una buona tenuta in tutto il territorio provinciale, ad eccezione delle fasce di grande concentrazione lungo i principali sistemi vallivi ed i collegamenti viari, ove, nell’ambito di un forte addensamento insediativo continuo, si stanno strutturando alcune polarità che tendono a smantellare i precedenti sistemi reticolari. Nella fascia compresa tra Magione e Spoleto (ove si concentra il 54% della popolazione provinciale, il 37% degli insediamenti produttivi, il 72% della grande distribuzione per gli esercizi con superficie di vendita inferiore a 5000 mq. ed il 100% per quelli con superficie superiore), si avverte la tendenza relativa al consolidarsi di “strade mercato” che concentrano in pochi chilometri (Magione-Perugia) la totalità quella grande distribuzione commerciale, da una parte con la specializzazione di alcuni centri di maggiori dimensioni che prima erano soltanto piccoli borghi rurali, dall’altra con la creazione di polarità più forti in corrispondenza dei centri di maggior peso demografico ed insediativo (Foligno e Spoleto oltre che Perugia).
Il processo di concentrazione, seppur caratterizzante l’intera fascia, presenta un diverso grado di consolidamento e quindi anche diversi livelli di problematicità; la già ricordata “centralità” funzionale e gerarchica del capoluogo di Regione è di fatto il principale fuoco del fenomeno ed il luogo della sua più avanzata manifestazione.
Qui la concentrazione insediativa, intesa soprattutto come attività terziarie (commerciali e servizi amministrativi), è stata per molti anni ricercata e favorita anche tramite politiche viarie non molto attente ai problemi della qualità urbana, e la condizione oggi raggiunta, per quanto riguarda questo specifico aspetto, richiederebbe un cambiamento radicale delle politiche settoriali e la definizione di nuovi indirizzi di assetto.
In questo ambito infatti l’esigenza primaria è quella di raccordare il processo di concentrazione con il miglioramento dell’accessibilità dei luoghi della concentrazione stessa: fondamentale in questo caso è pertanto lo sviluppo di nuove modalità di accesso, la creazione di una maglia distributiva che possa facilitare i percorsi e promuovere politiche di riconversione insediativa.
Se la situazione del nodo di Perugia, nella sua più vasta accezione, è, per questo aspetto, esemplare, ponendo l’esigenza di una azione di contenimento delle conseguenze negative di una concentrazione come quella che ne ha caratterizzato gli ultimi anni, per il resto della fascia esaminata il problema si pone in termini del tutto diversi. Il problema è quello di seguire il processo in corso allo scopo di ottimizzarne i risultati, controllando la qualità degli insediamenti e la conservazione-valorizzazione dei caratteri identificativi del territorio.
La infrastrutturazione del territorio, così come peraltro prevista dal Piano Provinciale, infatti può ben sostenere la conferma e lo sviluppo delle localizzazioni insediative, soprattutto produttive o terziarie specializzate a carattere territoriale lungo il sistema vallivo tra Perugia e Spoleto; la qualità ambientale diffusa in questi ambiti e la prossimità di aree di grande valore storico o naturalistico, inoltre, può favorire un approccio differenziato e plurimo a questi territori e l’integrazione tra i diversi usi, se tale caratterizzazione verrà appunto opportunamente salvaguardata e utilizzata.
Ricadute territoriali
La caratteristica della “continuità urbana” in questa fascia, che coinvolge i territori di almeno nove Comuni tra Magione e Spoleto, richiede uno stretto rapporto tra le varie Amministrazioni sia nella fase della gestione che in quella della pianificazione territoriale e richiede inoltre la presenza di un coordinamento a scala sovracomunale.
La copianificazione tra Provincia e Comuni in questo ambito territoriale (la fascia della concentrazione insediativa) è quindi un nodo fondamentale degli indirizzi del PTCP: tale copianificazione dovrà esprimersi attraverso la condivisione di programmi settoriali e piani specifici soprattutto rivolti alle problematiche della mobilità, dei servizi territoriali e della programmazione produttiva.
All’esterno dell’area della concentrazione, il territorio provinciale appare segnato da una rete di centri che riproducono, sia pure con diversa intensità e forza, il sistema del policentrismo diffuso con una gerarchia di centri articolata che descrive i nodi della maglia minuta.
Di questo sistema può essere facilmente individuata la strutturazione in sottosistemi corrispondenti ad ambiti territoriali definiti che ne definiscono i caratteri salienti: gli ambiti vallivi del Tevere a nord ed a sud di Perugia, diversi per la caratterizzazione insediativa e soprattutto agricolo-produttiva; l’ambito vallivo della Flaminia, che tramite lo stretto fondovalle fortemente urbanizzato lega le zone appenniniche e preappenniniche alla Valle Umbra ed a Foligno; l’ambito altocollinare e montano dei Martani e gli ambiti della Valnerina e del Trasimeno, questi ultimi fortemente caratterizzati da emergenze storico artistiche e naturalistiche eccezionali e da un policentrismo a volte (nella Valnerina) rarefatto per l’esilità delle relazioni.
E’ proprio della funzione di indirizzo e coordinamento della Provincia sviluppare, assieme alle varie amministrazioni locali, forme collaborative nella definizione delle linee e degli obbiettivi strategici di politica territoriale e promuovere azioni di copianificazione per il raggiungimento di tali obbiettivi; per ciascuno di questi ambiti pertanto questo ruolo della Provincia dovrà essere attivato.
Il tema della protezione civile e, specificamente, della previsione, prevenzione ed organizzazione dell’emergenza, interessa il PTCP sia in quanto strumento di verifica della coerenza fra le varie iniziative settoriali della Provincia ed in particolare nel raccordo tra le competenze specifiche in materia di protezione civile (previsione e prevenzione) affidata alla Provincia dalla legge 225/92, e quelle relative ai controlli ed al monitoraggio in campo prevalentemente ambientale (leggi Ronchi, Galli ecc.), idrogeologico e sismico (legge 64/74) o insediativo (legge Bassanini, L.R.31/98, ecc.) e sia per la funzione di coordinamento ed indirizzo per la pianificazione urbanistica comunale che il Piano esprime e per le ricadute che essa, o le politiche settoriali che con essa interferiscono, producono sul territorio.
E’ da considerare che la protezione civile è un insieme di attività svolte in maniera coordinata da tutte le componenti istituzionali, dalla comunità scientifica, dal volontariato e dai cittadini stessi al fine di tutelate l’integrità della vita, dei beni, degli insediamenti e dell’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità, naturali e non. Va considerato ancora che le norme vigenti attribuiscono la predisposizione dei programmi di previsione e prevenzione ai vari livelli istituzionali, con differenti scale di dettaglio, che, sulla base della conoscenza dei rischi del territorio, potranno determinare le priorità e le gradualità temporali di attuazione degli interventi per la riduzione o eliminazione del rischio stesso (prevenzione), sia attraverso interventi diretti, sia attraverso la pianificazione territoriale ed urbanistica.
Oltre i programmi di protezione civile è necessario predisporre i piani di emergenza comunali e provinciale da attuarsi nel caso si verifichi l’evento calamitoso. E’ stato pertanto redatto un elaborato grafico che presenta il quadro attuale dello stato conoscitivo ed organizzativo del sistema della protezione civile nella provincia, mettendo insieme gli elementi più significativi degli strumenti ufficiali inerenti la pianificazione dell’emergenza:
i contenuti del Piano Provinciale di emergenza, elaborato dalla Prefettura con la suddivisione del territorio in zone e con la designazione dei Comuni capozona, che sono quelli in grado di fornire una dotazione essenziale di servizi di interesse generale e pubblico ed, ancora, con la individuazione di una rete viaria, di valore strutturale, che si potrebbe chiamare “dell’emergenza”, sempre definita dal Piano della Prefettura, in grado di consentire il rapido collegamento tra il Comune capozona ed i vari centri abitati, l’immediata ricognizione dei danni, la prestazione dei soccorsi;
i dati fondamentali dei piani di protezione civile dei Comuni (di quelli che hanno assolto a questo compito) con la indicazione delle località in cui sono previste aree di soccorso per tende e container, le loro caratteristiche funzionali ed il loro stato di urbanizzazione.
In ambedue i casi si tratta di Piani già fortemente datati in quanto risalgono, per la stragrande maggioranza, agli anni ‘92-’93 e soprattutto essi sono Piani caratterizzati da una forte eterogeneità per quanto concerne sia i criteri localizzativi che le tipologie dei siti indi-viduati o realizzati.
Questi elementi sono stati legati con le strutture ospedaliere, con i distaccamenti dei Vigili del Fuoco, con le aviosuperfici e le diffuse aree per il volo ultraleggero. Tutto ciò è stato poi appoggiato sul sistema della viabilità principale, di sostegno alla “viabilità del-l’emergenza” e sulla rete ferroviaria.
L’elaborato inoltre riporta una prima indicazione circa le tipologie di rischio attivo che interessano gli ambiti comunali e, per alcune di esse, la localizzazione delle aree interessate. Ciò è stato fatto mettendo insieme le indicazioni, spesso sommarie, contenute nei piani di protezione civile dei Comuni ed i dati elaborati autonomamente dall’Ufficio di Piano sui temi della sensibilità al rischio idrogeologico, alla vulnerabilità degli acquiferi, nonché sui temi delle industrie a rischio e degli incendi boschivi
Sul tema del rischio da frana viene segnalato, a fianco delle località da consolidare, tutelate e disciplinate dalla legge 64/74 art.2, l’esteso campionario di località su cui è documentata un’attività di frana che rischia di coinvolgere centri abitati ed aree che per loro natura presentano una alta propensione al dissesto;
sul rischio da esondazione, gli elementi segnalati sono i dati statistici sui fenomeni esondativi degli ultimi 100 anni aggiornati con la classificazione dei siti sulla base del numero di eventi registrati (dati progetto AVI, CNR-IRPI) e l’inserimento delle aree a massimo rischio di esondazione (derivate dal PST dell’Autorità di Bacino del fiume Tevere) ed a pericolosità idraulica molto elevata (individuate dall’Autorità di Bacino del fiume Arno);
sul rischio dighe sono stati mappati gli invasi artificiali per i quali sono in corso di predisposizione i piani di emergenza. Da segnalare inoltre che le dighe di Montedoglio e di Cerventosa nella Provincia di Arezzo hanno comunque effetti anche nel nostro territorio (Comuni di Città di Castello, San Giustino, Umbertide, Citerna);
sul rischio industriale, si fa riferimento al censimento e mappatura delle industrie soggette a notifica e dichiarazione (D.P.R. 17/5/88);
sul rischio di incendio, il Piano fornisce una mappa delle aree boscate arricchita dai dati relativi alla densità di casi di incendio negli ultimi anni.
Il tema del rischio sismico viene sviluppato prendendo in considerazione quanto indicato nell’Ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri n° 2788 del 12 giugno 1998 circa l’individuazione dei Comuni ad elevato rischio sismico.
Premesso che lo studio che ha portato a tale individuazione ha riguardato esclusivamente il patrimonio abitativo, per il quale era disponibile una base dati estesa a tutta la Nazione e costituita dal censimento ISTAT del 1991, si precisa che il rischio sismico viene espresso con un indice sintetico (indice di rischio) che tiene in considerazione le perdite relative alla popolazione coinvolta in crolli (pc) e quelle relative al patrimonio danneggiato (pd), assegnando comunque un maggior peso alla vita umana.
Considerato che tale indice ha un valore medio nazionale pari a 0.0455, è stato verificato in che misura i Comuni della Provincia di Perugia si collocano rispetto a tale valore medio nazionale ed anche allo stesso valore medio regionale umbro, che è superiore a quello nazionale risultando pari a 0.1566.
La tabella allegata illustra la distribuzione dei Comuni della Provincia di Perugia secondo i seguenti criteri:
comuni con indice di rischio inferiore al valore medio nazionale (Ir < 0.0455);
comuni con indice di rischio compreso tra valore medio nazionale e valore medio regionale (0.0455 < Ir < 0.1566);
comuni con indice di rischio superiore al valore medio regionale (Ir > 0.1566);
comuni con valori di picco dell’indice di rischio (Ir >0.5).
Da questo risultato si può desumere che, rispetto ad una omogenea classificazione sismica ai sensi della L. 2/ 2/1974 n° 64 (tranne i Comuni di Todi e Città della Pieve che non sono classificati sismici), il territorio della Provincia di Perugia e più in generale della Regione Umbria, presenta una situazione marcatamente differenziata e ad elevato rischio sismico.
In particolare ben 43 Comuni su 59 della Provincia, per una percentuale pari a circa il 70%, mostrano un valore dell’indice di rischio superiore al valore medio nazionale.
Inoltre il Comuni di Todi, non classificato, mostra un significativo valore dell’indice di rischio in quanto superiore al valore medio nazionale, mentre il Comune di Città della Pieve, anch’esso non classificato, è paragonabile ai Comuni limitrofi, comunque classificati.
Il PTCP inoltre, per quanto riguarda gli indirizzi normativi, ha recepito i livelli di pericolosità di base definiti dal PUT, inserendo i due livelli di approfondimento degli studi di microzonazione sismica e prevedendo l’obbligo per i PRG di definire a scala comunale il rischio sismico (§ scheda A.1.3)
A parte, infine, viene sviluppato il tematismo delle aree di accoglienza allestite in occasione dei terremoti del maggio e del settembre 1997. Il tematismo viene presentato al duplice scopo di segnalare la esistenza di una realtà con la quale la pianificazione territoriale comunale dovrà d’ora in poi fare i conti e di sviluppare una riflessione sul confronto tra la dimensione di un evento calamitoso e quella della risposta astratta ad una richiesta di legge.
Una prima considerazione infatti dovrebbe essere fatta cominciando a valutare se gli insediamenti provvisori non debbano essere differenziati fra le esigenze del breve e del lungo termine: perché ai tempi dell’emergenza si dovrebbe sistematicamente rispondere con tende e roulottes approntate d’urgenza; mentre ai tempi della ricostruzione, si dovrà necessariamente rispondere con i prefabbricati. Già questa suddivisione permetterebbe alla Protezione Civile una migliore programmazione degli alloggiamenti provvisori necessari.
Va forse inoltre fatta una distinzione, alla luce dell’esperienza umbra, tra i prefabbricati, come quelli già utilizzati, che possono sembrare validi per gli insediamenti provvisori presso i centri abitati, e quelli per le aree più marginali e difficili, per le quali è necessaria una più specifica progettazione ed una più sistematica manutenzione. Infine sarà forse utile ripensare al trasporto degli alloggiamenti provvisori: senza rinunciare a priori alla ferrovia, che potrebbe consentire un trasporto di massa, per il quale però si dovranno attrezzare adeguati concentramenti dai quali partire per la distribuzione capillare.
Il dimensionamento delle aree per insediamenti provvisori di breve termine dovrebbe allora essere assai più ampio di quello per il lungo termine; scontando nel breve periodo il rientro nei propri alloggi delle famiglie la cui abitazione non è stata lesionata, ma anche una politica di incentivi finanziati per l’utilizzo in affitto di alloggi precedentemente non occupati. Allora appare lecito riutilizzare per il breve periodo aree pubbliche normalmente adibite ad altra destinazione (campi sportivi, parchi pubblici ecc.), anche perché in esse saranno impiegate strutture leggere, poco impattanti, come tende o roulottes.
Al contrario, per il lungo periodo della ricostruzione (2 o 3 anni), occorre apprestare aree che non abbiano altra destinazione permanente; magari da utilizzare normalmente per le feste collettive, per gli spettacoli viaggianti, per le fiere paesane e così via. E tali aree dovranno essere dotate di tutte le infrastrutture che le rendano immediatamente agibili: fogne, acqua, cabine elettriche, recapiti telefonici e del gas. A tale destinazione speciale dovranno essere mantenute in futuro dai piani urbanistici le aree per insediamenti provvisori apprestate questa volta per il lungo periodo, finanziandone adeguatamente la manutenzione; naturalmente con l’augurio che nei prossimi decenni debbano ospitare soltanto il Circo Togni o la festa dell’Unità.
E’ facile riscontrare come il quadro della “pianificazione dell’emergenza” non rappresenta una situazione esemplarmente avanzata, ne descrive assetti di grande efficienza: il livello della pianificazione è assolutamente elementare anche nella pianificazione comunale dove non è possibile riconoscere una linea unitaria e coerente nella formazione dei piani stessi e dove gran parte delle aree individuate come necessarie alla gestione di una situazione di emergenza sono impianti sportivi o aree verdi (il cui uso per l’emergenza non sempre corrisponde ad un uso pertinente e compatibile).
Al tempo stesso si può facilmente osservare che anche la definizione ed individuazione dei rischi è ancora ad un livello sostanzialmente elementare; questo sembra essere l’attuale stato dell’arte per quanto riguarda il tema della previsione e prevenzione.
Ricadute territoriali
L’esperienza del terremoto del 1997 è risultata emblematica per il rapporto tra emergenza, prevenzione e programmazione territoriale ed urbanistica. Essa ha evidenziato infatti alcuni nodi che risultano fondamentali per l’efficacia delle azioni nella nostra provincia:
lo sviluppo e la gestione delle conoscenze, per le quali è apparsa la necessità che le istituzioni della ricerca e le autorità regionali e nazionali, gestiscano le conoscenze in corso di acquisizione, utilizzando anche sperimentalmente le innovazioni allo studio per gli interventi della ricostruzione.
l’efficacia dei sistemi antisismici nella loro applicazione ai beni culturali, a tutta la gamma di architetture di valore storico, così densamente presenti in Italia e per i quali occorre da una parte sperimentare le elaborazioni da tempo sviluppate dal Ministero dei Beni Culturali e dall’altra affidare a questa sperimentazione un ruolo paradigmatico da generalizzare a tutte le situazioni analoghe.
l’attività di indagine sulle condizioni di rischio geo-ambientale da sviluppare in termini di micro-zonazione sismica per quanto riguarda la attività di ricostruzione, come è stata portata avanti in questi ultimi mesi, dovrà essere affiancata a quella che persegue una conoscenza del rischio non limitata agli ambiti urbani vulnerati, ma estesa all’intero territorio e che sia finalizzata alla pianificazione urbanistica.
Non è possibile affrontare la ricostruzione in assenza di una programmazione territoriale della politica antisismica. È indispensabile inoltre coordinare questa politica, e quella della protezione civile, con la pianificazione territoriale, in particolare a livello provinciale e comunale.
Ciò spinge a suggerire altri tre ordini di problemi, che potranno invece essere affrontati direttamente con il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale e con gli indirizzi che questo può proporre per i Piani Regolatori Comunali.
Si fa qui riferimento, per un compiuto sviluppo delle problematiche suggerite, ad una fase matura del PTCP, in cui il processo di copianificazione con i Comuni abbia raggiunto livelli elevati sia per quanto riguarda il coordinamento dei rapporti interistituzionali che quello delle elaborazioni scientifico-disciplinari; ma la loro presentazione già in questa fase di prima elaborazione del Piano provinciale ha una sua efficacia andando ad individuare le linee da perseguire fin dai primi prossimi sviluppi del processo di piano e, in questo caso, a stimolare la funzione di coordinamento, non solo verso i Comuni, ma anche interno alle azioni settoriali della Provincia.
In primo luogo il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, come momento di raccordo tra l’attività di Previsione e Prevenzione della Regione, che si muove sulla base di un Piano Regionale (in corso di formazione) e l’attività di pianificazione comunale, può essere il luogo di una azione di raccordo e verifica dei servizi pubblici essenziali in vista di un terremoto, o di altri eventi calamitosi che evocano operazioni di protezione civile, certificando in modo sistematico i dati da raccogliere sulla capacità di ospedali, scuole, municipi, caserme e così via, non solo di resistere, per esempio, alle sollecitazioni sismiche, ma anche di fronteggiare le situazioni sociali eccezionali provocate dai terremoti. Le informazioni da censire a livello comunale, offriranno un quadro complessivo, già alla scala provinciale, in grado di misurare l’entità economica e organizzativa dei problemi: ed alla scala provinciale sarà più facile dimensionare i finanziamenti necessari per gli interventi, ma anche programmare le indispensabili priorità operative, partecipando così in modo attivo alla formazione e gestione del Piano Regionale.
La proposta di una verifica territoriale dell’armatura dei servizi pubblici di fronte al rischio sismico, suggerisce al limite l’idea che a scala comunale sia fatta la ricognizione di tutti gli edifici già adeguati alla normativa edilizia antisismica, affrontando in tal modo l’analisi di tutti i tessuti edificati; anche per ricavarne a scala provinciale una mappatura delle zone edificate a maggiore o minore densità di rischio. Ciò sarà anche assai utile per affrontare la successiva verifica delle accessibilità.
Il livello provinciale sembra, inoltre, la sede ideale per affrontare in modo organico ed efficiente il tema della mobilità in caso di eventi sismici; suggerendo inevitabilmente un coordinamento fra Province contermini, sotto la responsabilità regionale. Cominciando a censire l’adeguamento antisismico relativo a ponti e viadotti; ma analizzando anche sistematicamente i punti nevralgici, strettoie naturali e attraversamenti di abitati, tutto ciò insomma che possa ostruire il traffico in caso di sisma.
Ne deriverà una selezione dei tracciati viari da utilizzare dopo un terremoto, con il preciso quadro delle alternative prefigurate, quando i percorsi abituali non risultassero agibili e, forse, in questo modo la stessa “viabilità dell’emergenza” come sopra definita, potrà fornire garanzie ed efficacia di maggiore livello. Appare assai chiara a questo punto la stretta necessità di coordinare i piani regolatori comunali con i piani della protezione civile. Perché, appunto, per garantire l’agibilità di precisi percorsi viari, le scelte urbanistiche dovranno evitare di sovraccaricarli di insediamenti; e in qualche caso la necessità di vie d’accesso alternative in caso di sisma, potrà essere la considerazione determinante per la indicazione di un by-pass o di una variante viaria in sede urbanistica.
Il tema prevalente delle infrastrutture per la mobilità, suggerisce di usare parallelamente la pianificazione provinciale come sede per la raccolta delle informazioni e dei programmi per tutte le infrastrutture tecnologiche: rete elettrica, idrica, telefonica, del gas e così via allo scopo principale di programmare gli interventi, cominciando a individuarne le priorità e chiedendo, almeno per gli insediamenti provvisori realizzati dopo gli eventi sismici, di superare di comune accordo le decrepite legislazioni differenziate che oggi regolano la posa delle reti.
Indirizzi normativi
Al livello di conoscenze oggi effettivamente disponibile, il tipo di regole che può seguire l’impostazione del Piano è di tipo prudenziale, di definizione di ambiti di azione e di livelli di autolimitazione che solo più dettagliati studi, fatti da precisi soggetti competenti e secondo criteri e tempi definiti, potranno modificare.
Le indicazioni relative ai rischi attivi presenti su ciascun comune, riportate sulla Carta, tendono a definire la geografia degli ambiti soggetti a maggior rischio ed a suggerire, sulla base dei livelli conoscitivi oggi disponibili, ragionevoli indirizzi.
Sul tema del rischio da frana oltre a proporre per gli abitati segnalati l’applicazione della procedura autorizzativa analoga a quella delle aree soggette all’art.2 della L.64/74, per tutte queste situazioni il PTCP indica la necessità di una elevata attenzione, che porti ad escludere la nuova espansione o una trasformazione edilizia che comunque possa aggravare le precarie condizioni esistenti e che preveda una disciplina delle destinazioni urbanistiche e d’uso che abbia come ragione di base il recupero di queste aree nel sistema ambientale sia esso antropico che più prettamente naturale.(§ scheda A.1.3.)
Sul rischio idrogeologico ed in particolare sulla tutela della risorsa idrica, il PTCP provvede a segnalare le situazioni di rischio dovute alla prossimità di attività di sfruttamento del territorio svolte in modo non sempre compatibile, elencando le tipologie ed individuando, sia pure ad una scala d’area vasta, le localizzazioni.(§ scheda A.1.3.)
Su queste aree l’esigenza è quella di organizzare una forte prevenzione tenendo sotto controllo, ed in alcuni casi ponendo anche limiti fisici, le attività che più risultano direttamente o indirettamente a rischio (attività estrattive, raccolta di rifiuti o centri di trasformazione o recupero di materiali ferrosi, produzioni agricole ad alta concentrazione di fertilizzanti, ecc.). Il tema dei prelievi idrici, che è in questo caso fondamentale il PTCP lo affronta in modo ancora incompleto dovendo superare un grosso deficit conoscitivo soprattutto per quanto riguarda l’aspetto dei prelievi privati che sembra costituire uno dei nodi essenziali della tutela delle acque nella Regione Umbria.
Sul rischio di incendio il Piano fornisce ai Comuni una mappa delle aree boscate arricchita dai dati relativi alla densità di casi di incendio negli ultimi anni: in questo caso si tratta di un primo approccio con il problema del raccordo tra pianificazione urbanistica e protezione civile.
Raccordo che dovrà comportare l’assunzione, da parte del PRG, di tutti i contenuti territoriali, tematici e di metodo, della protezione civile e lo sviluppo, da parte di quest’ultima, di tecniche e metodologie organizzative per il più efficace utilizzo delle risorse in situazioni di emergenza.
Come sopra ricordato, la recente esperienza delle crisi sismiche del 1997-98 ha posto in evidenza il problema delle aree per insediamenti di soccorso. Rispetto a tale esperienza appare chiara la inadeguatezza della normativa urbanistica che definisce uno standard di mq/ab. più o meno differenziato e distribuito; è apparsa altresì chiara l’esigenza di distinguere, nel caso dell’evento sismico, tra la fase immediata dell’emergenza (di breve periodo e con grandissimi numeri) e quella successiva della ricostruzione (assai più impegnativa per i tempi, ma con una graduale riduzione delle persone direttamente coinvolte).
Queste due diverse situazioni richiedono luoghi di soccorso con caratteristiche assai diverse: aree di grande capacità e in grado di sostenere ed accogliere strutture di estrema leggerezza e di rapidissima messa in opera le prime, aree più strutturate ed in grado di ospitare per tempi non brevi i cittadini colpiti consentendo a questi la ripresa delle normali attività nei tempi della ricostruzione. Queste diverse esigenze devono essere contemplate nei programmi comunali ed i PRG dovranno affrontare la previsione, adeguatamente calibrata sulle reali esigenze della popolazione e sui tempi dell’emergenza, delle aree destinate agli insediamenti provvisori di soccorso e disciplinarne le modalità di realizzazione e della loro permanente manutenzione ed efficienza, regolandone in termini di NTA le compatibilità per le destinazioni d’uso e prevedendo anche integrazioni tra pubblico e privato nei programmi per la loro effettiva realizzazione.
Solo così, pur senza colmare immediatamente il ritardo ancor oggi forte nei confronti delle tematiche connesse alla previsione e prevenzione dai gravi rischi sarà possibile segnare quella netta inversione di tendenza che porta sia a dichiarare la centralità della pianificazione rispetto al complesso delle attività che connota una società civile, sia a rendere esplicita la non impossibile coerenza tra piano ed emergenza, tra la razionalità di un processo di pianificazione e la molteplicità e la variabilità dei possibili scenari in cui quel processo può avvenire.
Lo storico isolamento dell’Umbria e della provincia di Perugia in particolare è stato, come più volte ricordato, uno dei fattori principali della conservazione di una qualità ambientale non comune nel Paese, ma al tempo stesso la causa fondamentale di una sostanziale debolezza del tessuto imprenditoriale ai vari livelli che nel tempo produce un impoverimento delle condizioni di sviluppo e trasformazione del territorio, ad una potenziale fragilità del tessuto insediativo, economico e sociale. Il divario rispetto alle situazioni più avanzate dei sistemi territoriali contermini, si è poi fortemente accentuato nel momento in cui i processi di trasformazione ed innovazione sono diventati più rapidi. Le differenze all’interno del territorio provinciale sono oramai sensibili da un lato con una accentuazione dei caratteri di marginalità di quelle aree che storicamente hanno inferiori opportunità di relazioni e collegamento e dall’altro il consolidarsi di quel fenomeno della concentrazione nelle aree più forti dal punto di vista della dotazioni di infrastrutture e di occasioni di lavoro e del conseguente aumento dell’esodo della popolazione dalle aree extraurbane, già avviato con la crisi finale della mezzadria.
L’obbiettivo generale del PTCP è quello di trasformare il ritardo maturato in una risorsa per lo sviluppo del territorio provinciale identificando le condizioni strutturali e definendo gi indirizzi di pianificazione che a partire dalla ricerca di un rapporto equilibrato tra conservazione e sviluppo, consenta alle amministrazioni locali, di colmare ognuno per la sua parte questo ritardo, senza cancellarne gli effetti positivi che ne sono derivati.
Questo obbiettivo si articola necessariamente in una serie di traguardi che devono essere rapportati al periodo di validità del Piano e pertanto verificabili attraverso il processo di attuazione e gestione del PTCP.
Il Piano d’area vasta della Provincia è un piano di coordinamento, strutturale, che intende fondarsi sul principio della sussidiarietà; il suo ruolo, ma si potrebbe dire la sua forza, sta nel fornire indirizzi e suggerimenti alla pianificazione comunale su aspetti di interesse per l’area vasta, sollecitando momenti di copianificazione con gli altri comuni e con gli enti titolari della scala territoriale. Il PTCP pertanto identifica gli elementi della struttura territoriale provinciale e stabilisce le regole fondamentali per lo sviluppo.
La matrice della struttura provinciale per quanto concerne il sistema insediativo è sostanzialmente costituita dalla infrastrutturazione viaria, dalla rete dei servizi di mobilità collettiva e dall’organizzazione dei trasporti, dalla maglia connettiva delle città e degli insediamenti con le gerarchie ed i ruoli territoriali che questi esprimono.
Il tema della infrastrutturazione viaria e dell’organizzazione della mobilità è assunto dal PTCP in modo prioritario: il modello funzionale è quello storico di una grande connettività tra le varie parti del territorio provinciale, assai articolato e morfologicamente diviso, ma con una rete di centri e relazioni che ne ha per lungo tempo costituito la dimensione policentrica più o meno sviluppata, su cui si è sovrapposto, seguendo alcune linee di forza, un sistema con più elevata capacità di relazioni con l’esterno e con un inserimento efficace e diretto nella rete nazionale (§ I.1.3). La proposta del PTCP delinea un assetto viario regionale che distribuisce i traffici di attraversamento su un sistema anziché concentrarli su un percorso, proponendo azioni a tutto campo per ridurre le situazioni critiche: selezionando interventi sulla viabilità di livello superiore così come interventi sulla viabilità locali copianificati con i comuni interessati; privilegiando l’adeguamento della rete esistente piuttosto che costose ed impattanti nuove strade; verificando l’utilità e l’efficacia delle soluzioni proposte, nonché la praticabilità economica e la sostenibilità rispetto ad altri tracciati alternativi. E’ in tale senso che viene individuata la “viabilità di alleggerimento della concentrazione insediativa” per la quale viene previsto un adeguamento al fine di distribuire i flussi di traffico che oggi gravitano nelle arterie più pesantemente interessate (E 45, S.S.75 e S.S. 75bis relativamente al nodo di Perugia).
Questo modello di azione pragmatico è forse ancora più chiaramente espresso per il tema della mobilità; l’ipotesi di riassetto modale (§ I.2.2) tende a attribuire un ruolo determinante per il servizio regionale al trasporto su ferro, attraverso un incremento di competitività, soprattutto nelle fasce di maggiore concentrazione insediativa, cercando di attrarre una significativa parte (il 20%) degli spostamenti che oggi utilizzano l’auto privata e che oggi è assai forte anche nelle ore di punta, potenziando inoltre quelle linee del trasporto collettivo locale su gomma che risultano essere competitive con il trasporto individuale. Viene inoltre indicato, come elemento importante per il funzionamento del sistema l’ottimizzazione dell’uso della rete ferroviaria, sovrapponendo vari livelli di utilizzo coordinato e prevedendo la diminuzione e la velocizzazione nelle rotture di carico. Se per il conseguimento di questi obbiettivi è primario il ruolo della Regione e della Provincia in quanto titolari di competenze specifiche, non di meno dovrà essere significativo il ruolo che gli Enti locali assumeranno in questa direzione: la definizione di politiche insediative che favoriscano l’utilizzo di mezzi collettivi di trasporto, la previsione di parcheggi di scambio e la regolamentazione della sosta nelle zone a più densa integrazione delle funzioni residenziali e non.
Il PTCP definisce un modello funzionale del trasporto ferroviario di rilevanza per l’aspetto provinciale che mette a sistema l’insieme delle linee esistenti e riconosce poi alle singole tratte gli specifici interessi complementari: nazionali (quali i collegamenti con le linee di forza del sistema nazionale o internazionale), o locali (come quelli funzionali urbani per i servizi “metropolitani” cadenzati e per quelli innovativi). Il sistema individuato è costituito, pertanto, da una sorta di metropolitana regionale formata da radiali che connette i sistemi insediativi della concentrazione e del policentrismo; intorno al suo nodo centrale, ove si raggiunge la massima concentrazione insediativa, il sistema regionale si integra con il sistema locale dell’area urbana di Perugia, formando un corridoio intermodale del trasporto pubblico su sede fissa. L’integrazione di questo servizio con le linee forti del trasporto collettivo su gomma trasforma il sistema radiale in un sistema reticolare e gli conferisce, qualora adeguatamente sorretto da opportune politiche gestionali, la capacità di recuperare significative quote di spostamenti individuali al trasporto collettivo, riducendo gli elementi di ostacolo alla accessibilità dei centri, gli effetti negativi sulla qualità urbana, oltre che un consistente apporto alle varie forme di inquinamento dell’aria e del suolo.
Sulla scorta dell’analisi dei sistemi insediativi (§ I.4.4.) e del rango dei centri nella struttura territoriale (§ I.4.5.), la matrice infrastrutturale-insediativa del PTCP aggiorna la originaria caratterizzazione del territorio provinciale in aree della concentrazione, del policentrismo diffuso, della rarefazione in una più articolata lettura che: per la concentrazione circoscrive le zone effettivamente interessate dal processo e distingue due livelli, segnalandone le principali problematiche strutturali di assetto e indicando alcuni indirizzi di sviluppo; per il policentrismo definisce due tipologie in ragione delle differenti forme relative al suo potenziale sviluppo sul territorio e, per la rarefazione, individua gli ambiti con autonoma identità e quelli che nella marginalità hanno vissuto la propria storia e consolidato la propria immagine.
A livello di struttura provinciale, gli ambiti insediativi risultano così articolati:
Ambiti della concentrazione controllata
Ambiti a forte densità residenziale e caratterizzati da addensamenti artigianali, industriali, commerciali e direzionali, che esprimono una ulteriore capacità di attrazione tale da aggravare il livello critico oramai raggiunto dal sistema infrastrutturale e per i quali sono necessari interventi di riorganizzazione modale, la definizione di nuovi assetti viabilistici, la promozione di processi di rilocalizzazione insediativa.
Ambiti della concentrazione confermata
Ambiti in cui il processo di concentrazione avviato presenta ancora capacità residue in rapporto alle infrastrutturazioni presenti ed agli standard disponibili e che pertanto possono utilizzare tali capacità elevando contemporaneamente la qualità dei servizi. Al tempo stesso in questi ambiti deve essere garantita la discontinuità fra gli insediamenti ed il mantenimento delle quote di naturalità presenti al loro interno, evitando così saldature lineari lungo le principali infrastrutture stradali e ferroviarie.
Alta Valle del Tevere
Sistema insediativo policentrico a sviluppo lineare strutturato prevalentemente su attività di trasformazione industriali ed agricole ed in stretta connessione con aree a prevalente naturalità. La connessione con i sistemi forti a nord (alto Tevere toscano) e a sud (area della concentrazione confermata del perugino) ha sviluppato polarità differenziate che iniziano a evidenziare le problematiche tipiche delle aree della concentrazione confermata.
Eugubino Gualdese e Valtopina
Sistema insediativo policentrico a sviluppo lineare caratterizzato da insediamenti produttivi prevalentemente artigianali e terziari e da potenzialità residue di tipo turistico legate alle risorse ambientali, da rafforzare in relazione ai poli all’interno del sistema ambientale alto collinare e montano.
Media Valle del Tevere
Sistema insediativo policentrico diffuso con forte connotazione agricola ed agrozootecnica con elevate potenzialità non totalmente espresse di tipo turistico culturale in cui risultano critiche le compatibilità tra il sistema insediativo e quello produttivo agricolo con particolare riferimento alla risorsa acqua ed alla risorsa suolo.
Valle Umbra
Sistema insediativo policentrico connotato da insediamenti di modeste dimensioni e da strutture agricoloproduttive di valle e di collina fortemente influenzate dall’attrazione della fascia della concentrazione insediativa che pone in condizione di rischio la conservazione e la valorizzazione dell’assetto territoriale e paesaggistico prodotto nel tempo dalle bonifiche agricole.
Trasimeno
Sistema insediativo policentrico diffuso e sostanzialmente privo di polarità emergenti, strutturato sull’assetto agricolo tradizionale e sulle valenze paesistico ambientali connesse alle coltivazioni agricole specializzate tradizionali. L’intero sistema presenta capacità significative per il settore turistico-ambientale ancora inespresse sebbene favorite dall’inserimento nel sistema della viabilità nazionale e regionale e situazioni problematiche relativamente alla gestione ecologica del territorio in ordine alla compatibilità tra i sistemi funzionali insediati.
Valnerina
Sistema insediativo debole e marginale segnato dall’abbandono delle attività agricole tradizionali e dalla riduzione costante della popolazione residente nei centri, ma caratterizzato da un tessuto edilizio tipico di un’area del policentrismo che costituisce un patrimonio di valore eccezionale e che, spingendosi fino a quote inusuali, costituisce una vera trama strutturale per il territorio.
Monti Martani
Sistema insediativo debole e marginale segnato dall’abbandono delle attività agricole tradizionali e dalla riduzione della popolazione residente nei centri in cui la forte naturalità lega gli insediamenti di alta collina e montagna, ma evidenzia situazioni ad alta criticità per i problemi ambientali legati ad attività estrattive diffuse.
Il PTCP e gli indirizzi per la copianificazione
I comuni della provincia di Perugia nella storia recente sono stati oggetto, nonché hanno sperimentato varie forme di aggregazione tematiche o territoriali: all’ormai quasi trentennale esperienza delle Comunità Montane, su cui tuttora sono impostate importanti competenze e funzioni, si sono aggiunti i distretti scolastici, quelli sanitari, l’organizzazione delle attività a sostegno del turismo, la gestione dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, e più in generale la tutela delle acque, del suolo, dell’aria, che attraverso diversi provvedimenti regionali viene strutturata su una organizzazione territoriale che vede i comuni chiamati a collaborare ed a decidere per ambiti subregionali.
Alle aggregazioni articolate per ambiti amministrativo territoriali e/o gestionali si sono poi recentemente aggiunte quelle collegate ai temi della qualità del territorio e della capacità di questa di essere elemento unificante e perno dello sviluppo di aree vaste: la costituzione del Parco Nazionale dei Sibillini e delle cinque aree naturali protette regionali (Parco del Monte Cucco, Parco del Monte Subasio, Parco del Trasimeno, Parco di Colfiorito, Parco Fluviale del Tevere) rappresentano infatti una importante opportunità per lo sviluppo di programmi ed azioni concertati.
La necessità del coordinamento e della cooperazione assume poi un carattere di necessità primaria laddove le Amministrazioni locali presentano dimensioni tali da non poter affrontare i più comuni problemi della gestione del territorio (efficienza degli uffici tecnici, programmazione urbanistica, servizi primari). E già diffusa la tendenza, sostanzialmente spontanea –anche se oggi sostenuta dal processo di riforma istituzionale avviatosi con la 142/90 e con i successivi decreti Bassanini- a mettere in comune la professionalità di alcune figure tecniche fra vari Enti, ma raramente questa operazione è espressamente diretta a coordinare le attività delle Istituzioni, anche se oggettivamente potrebbe esserne la precondizione essenziale.
Sembra pertanto opportuno sostenere e stimolare questa tendenza al coordinamento ed alla integrazione anche formale individuando i caratteri comuni degli assetti urbanistici e le problematiche a scala territoriale che dai primi emergono, segnalando inoltre quelle realtà che, o per la dimensione del territorio o per processi concreti di copianificazione o di cooperazione in corso, richiedono sistematicamente atti di integrazione.
La particolare configurazione morfologica, con i suoi forti caratteri territoriali, ha profondamente influito sullo sviluppo delle relazioni tra le singole parti ed ha facilitato la formazione di sistemi insediativi reticolari, con alcune gerarchie forti e articolate che hanno dato origine al sistema policentrico.
Questo sistema è in buona parte tuttora visibile, anche se fortemente messo in discussione da un processo di concentrazione insediativa che interessa le valli centrali della provincia ed in particolare la dorsale Perugia- Foligno, in quanto i recenti processi di trasformazione non hanno alterato l’assetto storico, come invece è riscontrabile in altre aree del Paese.
D’altra parte questa mancata trasformazione va vista come un elemento positivo in quanto la ricchezza del territorio umbro ed in particolare quello della provincia di Perugia, è da attribuire prevalentemente al portato della sua particolare storia di territorio marginale ed in parte isolato, ove con lentezza e soprattutto con accumulazione progressiva, si è venuto a formare un non comune patrimonio storico ambientale, senza alcun processo di sottrazione.
Riconoscendo un modello territoriale da tempo consolidato, è possibile anche oggi individuare una serie di subsistemi regionali strutturalmente ordinati e con un livello di autonomia locale: i due sistemi vallivi longitudinali supportati dai maggiori assi viari di collegamento con il sistema nazionale; il collegamento di questi tramite la Valle Assisana ed il Perugino; i due sistemi chiusi del Trasimeno e della Valnerina; le due aree alto collinari e montane caratterizzate dal sistema dei Monti Martani, al centro, e dell’Eugubino, a nordest.
Si tratta in alcuni casi di sistemi forti quali il sistema organizzato sulla centrale umbra (S.S.75 e 75bis), sistemi polari lineari come quello lungo la SS.Flaminia o ancora più diffusi come quelli lungo la E45 a nord ed a sud di Perugia, sistemi caratterizzati da una forte presenza di insediamenti storici di piccole dimensioni, ma fortemente reticolari (Trasimeno), o ambiti in cui il ricco patrimonio insediativo sviluppatosi nei secoli passati è oggi a disposizione di una popolazione non residente e temporanea (Valnerina e area dei Monti Martani, aree di scarsa densità insediativa, ma di forte valore ambientale, in cui è ancora visibile l’aspetto insediativo rurale, testimonianza di colonizzazioni prossime al limite.
All’interno di questi sistemi, che nella loro caratterizzazione ritrovano la propria individualità ed affermano specifiche problematiche oltre che opportunità di sviluppo, sono riscontrabili ambiti territoriali che, per la loro particolare configurazione, dimensione e posizione strategica, giocano un ruolo speciale nel sistema delle relazioni territoriali. Avendo a riferimento le unità amministrative quali elementi base per le politiche di pianificazione urbanistica, è possibile individuare quei comuni che per la loro dimensione, ma soprattutto per il loro peso o rango (Perugia, Foligno, Spoleto) svolgono un ruolo centrale di polo territoriale all’interno dei sistemi elementari ed altri che, sia pure a scala minore e soprattutto per la posizione geografica occupata, a cavallo di ambiti morfologici-relazionali diversi, svolgono una analoga funzione (Umbertide, Gubbio Marsciano e Todi) costituendo i punti di passaggio tra sistemi territoriali diversi all’interno della provincia o tra questa e le province limitrofe (Gubbio Marsciano e Todi).
Anche alcuni comuni di piccole dimensioni, infine, assumono il ruolo di mettere in relazione i vari sistemi ed in quanto tali, necessariamente fanno riferimento in modo non univoco alle situazioni confinanti (Campello sul Clitunno, Valfabbrica, ecc).
Se questi Comuni hanno di fatto l’esigenza di rivolgersi a sistemi diversi per verificare la congruità delle proprie scelte di politica territoriale e quindi per definire un proprio ruolo o una propria posizione all’interno del sistema provinciale, altri comuni si trovano nella condizione di dover trovare un rapporto ben più forte con i comuni limitrofi ed altri ancora, attraverso un maggior coordinamento con i comuni limitrofi cui sono legati da comuni esperienze di pianificazione ambientale, potranno da questa condizione trarre vantaggi non trascurabili in direzione della crescita di qualità del loro territorio; i piccoli e i piccolissimi Comuni sono fortemente legati a queste possibilità di sviluppo e soprattutto quelli interni alle aree naturali protette.
Sulla base di queste considerazioni il PTCP ha delineato una proposta di sistema della copianificazione o del raccordo o coordinamento provinciale, nei confronti del quale la Provincia solleciterà la verifica di ogni pianificazione locale ai caratteri ed alle dinamiche del contesto di riferimento ed organizzerà l’attuazione e la gestione del piano.
Il quadro rappresentato è quello di aree connotate da caratteri unitari in grado di fornire una forte identità alle quali si vanno ad aggiungere quelle dei Comuni di raccordo (città principali) o quelle dei comuni di frontiera (i piccoli comuni a cavallo di ambiti diversi).
I sette sistemi territoriali individuati costituiscono la base essenziale e gli ambiti del coordinamento della pianificazione urbanistica da parte della Provincia; essi tendenzialmente rappresentano i campi della copianificazione sui temi indicati dal PTCP (Ambiente e tutela paesaggistica, ma anche sviluppo delle risorse specifiche dei luoghi).
I Comuni di raccordo rappresentano i nodi fondamentali del sistema provinciale e come tali devono essere coinvolti in tutti gli atti della pianificazione strutturale relativi al loro intorno. Gli ambiti di pianificazione strutturale unitaria sono quegli ambiti in cui la pianificazione urbanistica strutturale comunale dovrà essere elaborata in maniera univoca, coordinata e condivisa.
Nel definire un’ipotesi di organizzazione si è fatto in primo luogo riferimento a situazioni formalmente definite, in base a leggi o atti ufficiali e solo in alcuni casi, comunque fortemente caratterizzati, a valutazioni di tipo interpretativo.
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- I.1.1 Quadro degli interventi in atto o programmati sulla rete stradale della Provincia di Perugia.pdf
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- I.4.1 Andamento dei redditi delle persone fisiche per classi di reddito per comune - Indice medio del reddito sul comune, 1993.p
- I.4.1 Attivita' produttive - Numero agglomerati per comune - Classi di utilizzo - Superfici totali - Tipologia delle attivita'.p
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- I.4.1 Distribuzione dei contribuenti per classi di reddito nei comuni della fascia della concentrazione - Provincia di Perugia.p
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- I.4.1 Variazione percentuale della popolazione residente nei comuni della Provincia di Perugia ai censimenti 1961-1971-1981-1981
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- I.4.5 Quadro degli indicatori,dei parametri, dei dati utilizzati e delle fonti per la valutazione del rango dei centri.pdf
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