Atlante del sistema ambientale e paesaggistico
Argomenti
A.1.1. Carta geologica e carta delle frane e della propensione ai dissesti
A.1.2. Episodi di esondazione e complessi idrogeologici con indicazioni sulla vulnerabilità
A.1.3. Sensibilità al rischio geomorfologico e sismico
A.1.4.Sensibilità al rischio di inquinamento delle acque sotterranee e vulnerabilità degli acquiferi
A.2.1. Ambiti delle risorse naturalistico-ambientali e faunistiche
A.3.1. Le emergenze storico-architettoniche
A.3.2. Aree e siti archeologici
A.3.3. La viabilità storica
A.3.4. Coni visuali e l'immagine dell'Umbria
A.4.1. Unità ambientali ed uso del suolo
A.4.2. Sistemi Paesaggistici ed unità di Paesaggio
A.4.3. Caratterizzazione delle unità di paesaggio per ambiti comunali
A.5.1. Aree soggette a vincoli sovraordinati
A.6.1. Struttura delle reti idropotabili pubbliche
A.6.2 Struttura del collettamento fognario e della depurazione dei reflui
A.6.3. Localizzazioni produttive inquinanti
A.6.4. Quadro della raccolta e trattamento dei rifiuti solidi urbani
A.7.1. Ambiti della tutela paesaggistica. Indirizzi normativi per i sistemi paesaggistici
A.7.2. Sintesi della matrice paesistico-ambientale
Allegati - A.1.1. Carta geologica e carta delle frane e della propensione ai dissesti
Allegati - A.1.2. Episodi di esondazione e complessi idrogeologici con indicazioni sulla vulnerabilità
Allegati - A.1.3. Sensibilità al rischio geomorfologico e sismico
Allegati - A.1.4.Sensibilità al rischio di inquinamento delle acque sotterranee e vulnerabilità degli acquiferi
Allegati - A.2.1. Ambiti delle risorse naturalistico-ambientali e faunistiche
Allegati - A.3.1. Le emergenze storico-architettoniche
Allegati - A.3.2. Aree e siti archeologici
Allegati - A.3.3. La viabilità storica
Allegati - A.3.4. Coni visuali e l'immagine dell'Umbria
Allegati - A.4.1. Unità ambientali ed uso del suolo
Allegati - A.4.2. Sistemi paesaggistici ed unità di paesaggio
Allegati - A.4.3. Caratterizzazione delle unità di paesaggio per ambiti comunali
Allegati - A.5.1. Aree soggette a vincoli sovraordinati
Allegati - A.6.1. Struttura delle reti idropotabili pubbliche
Allegati - A.6.2 Struttura del collettamento fognario e della depurazione dei reflui
Allegati - A.6.3. Localizzazioni produttive inquinanti
Allegati - A.6.4. Quadro della raccolta e trattamento dei rifiuti solidi urbani
A.7.1. Ambiti della tutela paesaggistica. Indirizzi normativi per i sistemi paesaggistici
A.7.2. Sintesi della matrice paesistico-ambientale
Il tema del rischio geomorfologico ed idrogeologico è stato affrontato attraverso una sintesi dei seguenti documenti cartografici, riguardanti le frane e i dissesti, attualmente disponibili:
la Carta Derivata della Propensione al Dissesto allegata al precedente PUT della Regione Umbria (1982);
la Carta delle Frane e dei Dissesti del nuovo PUT (L.R. 27/2000) che in larga parte deriva dalla carta inventario dei movimenti franosi della Regione Umbria ed aree limitrofe (CNR - Guzzetti & Cardinali, 1989);
l'archivio del Progetto AVI (Censimento delle Aree Italiane Vulnerate da Calamità Idrogeologiche - CNR-GNDCI);
le aree in frana riportate nel Piano Stralcio dell'Autorità di Bacino del Tevere;
l'Atlante Regionale "Studio dei Centri Abitati Instabili in Umbria" (Progetto SCAI, Regione dell'Umbria - CNR).
I vari documenti di partenza sono realizzati secondo approcci nettamente differenti tra loro: la Carta Derivata della Propensione al Dissesto fornisce infatti indicazioni sulle aree potenzialmente instabili della regione ma non confronta la potenziale instabilità con la reale distribuzione delle frane; gli altri documenti forniscono invece un vero e proprio inventario delle frane e danno un quadro generale sulla reale distribuzione dei movimenti franosi.
Entrambi i tipi di informazione sulla stessa carta sono stati riportati sulla carta A.1.1.2. In questo modo l’elaborato permette un confronto tra la franosità “reale” e la franosità “potenziale” e consente una verifica diretta della validità del metodo utilizzato per definire la propensione al dissesto
La Carta Derivata della Propensione al Dissesto consente una prima valutazione della tendenza all'instabilità del territorio studiato. Viene riportata una zonazione della propensione al dissesto distinguendo quattro classi di instabilità sulla base della litologia affiorante e della pendenza del terreno (Sabatini, 1982):
Classe I - Aree ad elevata propensione al dissesto.
Aree interessate da movimenti franosi in atto e aree di affioramento delle argille scagliose.
Classe II - Aree a medio alta propensione al dissesto.
Aree di affioramento delle formazioni della Marnoso Arenacea, Bisciaro, Scaglia Cinerea con pendenze > 40%;
aree dei depositi argillosi, sabbiosi, conglomeratici Plio-Pleistocenici in facies fluvio-lacustre o marina, alluvioni recenti, detriti di falda con pendenze > 30%;
zone a pendio subverticale di affioramenti litoidi (travertini, vulcaniti e calcari Mesozoici);
zone interessate da accentuate erosioni superficiali.
Classe III - Aree a medio bassa propensione al dissesto.
Aree di affioramento delle formazioni della Marnoso Arenacea, Bisciaro, Scaglia Cinerea con pendenze comprese fra il 10% ed il 40%;
aree dei depositi argillosi, sabbiosi, conglomeratici Plio-Pleistocenici in facies fluvio-lacustre o marina, alluvioni recenti, detriti di falda con pendenze comprese fra il 10% ed il 30%;
Classe IV - Aree a propensione al dissesto bassa o nulla.
Aree a pendenza <10%;
Affioramenti di calcari Mesozoici, tavertini e vulcaniti.
La Carta delle Frane del PUT integrata con i dati dell'Autorità di Bacino del Tevere, l'archivio del Progetto AVI e i dati del progetto SCAI forniscono informazioni di tipo diverso e permettono di avere una visione globale sia della distribuzione, sia della tipologia dei fenomeni franosi nell'area umbra, rappresentando un utile supporto sia per studi regionali di carattere morfologico-evolutivo, sia per l'impostazione di ricerche di dettaglio, puntuali od areali. In particolare i dati contenuti nella carta possono essere utilizzati per studi statistici sulla distribuzione degli eventi franosi, per la determinazione oggettiva, a piccola scala, del grado di suscettibilità a franare e per la valutazione del rischio di frana.
Dal confronto tra i due tipi di informazione si nota che:
1. le aree con la massima concentrazione di frane coincidono grossomodo con le aree ad alta propensione al dissesto (Classe I) (anche se non tutti i corpi di frana riportati nella carta inventario ricadono all' interno delle aree appartenenti alla Classe I);
2. alcuni settori delle aree a medio-alta (Classe II) e medio-bassa (Classe III) propensione al dissesto presentano una stessa densità di fenomeni franosi, indicando che, almeno localmente, la distinzione tra le due classi è imprecisa e rispecchia solo parzialmente la realta geologica;
3. le aree potenzialmente stabili (Classe IV) presentano una bassissima concentrazione di dissesti e frane.
4. la carta della propensione al dissesto non tiene conto di tutti quei fattori "non geologici" (intervento dell'uomo) che possono aver accellerato, ed in certi casi possono aver giocato un ruolo determinante, nello sviluppo di movimenti franosi.
In conclusione c'è una buona convergenza tra la propensione al dissesto e la franosità reale per quanto riguarda i casi estremi (aree fortemente instabili ed aree stabili), mentre la distinzione tra le aree a medio-alta (Classe II) e medio-bassa (Classe III) propensione al dissesto appare talvolta arbitraria.
E' necessario infine sottolineare sia l'elaborato A.1.1.2 del PTCP che le carte di partenza rappresentano studi a carattere generale, classificativo e/o statistico, che non devono essere utilizzate per valutare la stabilità di un singolo sito, per il quale devono essere effettuati studi geologici e geotecnici accurati.
Parte delle informazioni contenute nell'elaborato A.1.1.2 sono state riportate nella carta di sintesi A.1.3 Sensibilità al Rischio Geomorfologico e Sismico.
Sono riportate con specifica simbologia le località della Provincia di Perugia dove, negli ultimi 80 anni, si sono verificati episodi di esondazione. La sintesi delle informazioni disponibili per l’area di studio si riferisce al periodo compreso tra il 1914 ed il 1991 ed è tratta dal censimento AVI.
Nel periodo considerato sono stati 73 gli eventi meteo-pluviometrici che hanno dato origine a 316 fenomeni di esondazione vulnerando 103 località della provincia di Perugia.
La vulnerabilità all’inquinamento degli acquiferi presenti sul territorio provinciale dipende sia dalle caratteristiche fisiche dei sistemi (vulnerabilità intrinseca), che dalla pressione antropica che viene esercitata su di essi. Il grado di vulnerabilità intrinseca dei corpi idrici sotterranei viene espresso in una scala relativa di valori che vanno da molto basso a molto elevato.
Aree alluvionali
Nella provincia di Perugia sono stati eseguiti studi di dettaglio su gran parte acquiferi alluvionali: la Valle Umbra Nord (Martini & Marchetti, 1990), la Valle Umbra Sud (Marchetti & Martini, 1991); l’Alta Valle del Tevere (Marchetti, 1995) e la Conca Eugubina (Marchetti et al., 1998): praticamente tutte le maggiori aree alluvionali della provincia di Perugia, ad eccezione della Media Valle del Tevere, sono coperte da studi di questo tipo.
Da tali studi risulta che in tutte le aree di pianura esiste una concomitanza spiccata fra distribuzione degli acquiferi più produttivi ed aree caratterizzate da massima vulnerabilità intrinseca, fatto che richiede una attenta considerazione in fase di programmazione dei piani di gestione territoriale e di approvvigionamento idrico.
Un caso particolare è costituito dall’acquifero artesiano di Cannara dove, pur essendo presente una situazione di bassa vulnerabilità intrinseca, esistono problemi connessi al sovrasfruttamento dell’acquifero stesso,
che hanno portato ad un abbassamento notevole della quota piezometrica negli ultimi quindici anni. All’abbassamento della quota piezometrica dell’acquifero è corrisposto un aumento del numero di perforazioni private ed un approfondimento di molti pozzi già esistenti.
Gran parte dei pozzi privati sono stati realizzati senza alcuna opera di separazione tra la falda in pressione e le piccole falde superficiali inquinate; tale situazione può costituire una potenziale fonte di inquinamento dell’acquifero in pressione qualora la quota piezometrica di quest’ultimo dovesse ulteriormente abbassarsi.
Acquiferi carbonatici
Nelle aree di affioramento dei calcari mesozoici il grado di vulnerabilità è molto variabile in funzione della profondità della falda e del tipo di fratturazione della roccia.
Queste aree ospitano acquiferi di importanza regionale e costituiscono importanti aree di ricarica anche per alcuni acquiferi alluvionali (ad esempio le strutture carbonatiche dell’Umbria nord-occidentale alimentano in parte gli acquiferi della Valle Umbra con una aliquota pari a 2.5-3.5 m3/s; Boni et al., 1991; Frondini, 1995).
Anche se non esistono allo stato attuale studi di dettaglio sugli acquiferi carbonatici gli autori concordano nell’attribuire a questi sistemi un grado di vulnerabilità alto.
Altre aree
Le aree collinari dove affiorano i terreni del ciclo fluvio-lacustre-deltizio plio-pleistocenico e la formazione Marnoso-Arenacea, sono generalmente caratterizzate da valori della vulnerabilità relativa bassi o molto bassi.
Il tema del rischio territoriale viene sintetizzato nell'elaborato A.1.3 dove viene riportato un quadro aggiornato della franosità e dei dissesti del territorio provinciale derivato dall'elaborato A.1.1.2, unitamente alla classificazione macrosismica introdotta dal PUT (Carta n° 51), e riferita alla “pericolosità sismica di base”.
Il territorio provinciale viene quindi classificato sulla base della massima accelerazione orizzontale di picco (PGA) secondo tre livelli definiti dai valori di soglia di 0.12(g) e 0.20(g). Ad ogni territorio comunale viene attribuito il valore relativo al capoluogo.
Livello 1 PGA=o>0,20(g) sismicità elevata
Livello 2a 0.12(g)<PGA<0.20(g) sismicità media
Livello 2b PGA<0.12(g) sismicità bassa
Si nota una zona a bassa sismicità comprendente solo quattro comuni ad W-SW del Lago Trasimeno. La zona sismica occupa invece gran parte del territorio provinciale da NW a SE e raggiunge i livelli più elevati, attestandosi sempre su valori di PGA>20(g), in un’ampia zona orientale comprendente la Valnerina, lo Spoletino, la Valle Umbra e parte della Valle del Tevere
Ricadute territoriali ed indirizzi normativi
1) Rischio Geomorfologico ed Idrogeologico
La legge 64/74, stabilisce che in tutti i comuni della Repubblica le costruzioni, sia pubbliche che private, debbono essere realizzate in osservanza di norme tecniche fissate da successivi decreti del Ministro dei Lavori Pubblici. Come disposto dall’art.1 di tale legge, i criteri generali e le norme tecniche riguardanti le indagini sui terreni e sulle rocce, la stabilità dei pendii naturali e delle scarpate, la progettazione, la costruzione e il collaudo delle opere di sostegno delle terre e delle opere di fondazione sono stati fissati dal D.M. 21.01.81 e dal successivo D.M. 11.03.1988.
Tali norme riguardano in particolare:
- a) le indagini geotecniche;
- b) le opere di fondazione;
- c) le opere di sostegno;
- d) i manufatti di materiali sciolti;
- e) le gallerie ed i manufatti sotterranei;
- f) la stabilità dei pendii naturali e dei fronti di scavo;
- g) la fattibilità di opere su grandi aree;
- h) discariche e colmate;
- i) emungimenti da falde idriche;
- l) consolidamento dei terreni;
- m) drenaggi e filtri
- n) ancoraggi.
Il D.M. 11.03.1988 prevede che tutte le scelte di progetto, i calcoli e le verifiche siano sempre basate sulla caratterizzazione geotecnica del sottosuolo ottenuta per mezzo di rilievi, indagini e prove. I calcoli di progetto devono comprendere le verifiche di stabilità e le valutazioni del margine di sicurezza, sia nelle fasi transitorie di costruzione e sia nella fase definitiva, per l’insieme manufatto-terreno.
In presenza di azioni indotte da sismi, si adotteranno i criteri di valutazione del carico limite e del relativo coefficiente di sicurezza prescritti dalle norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche (D.M. 19.06.1984).
I risultati delle indagini, degli studi e dei calcoli devono essere esposti in una relazione geotecnica, parte integrante degli atti progettuali. Il D.M. 11.03.1988 prevede inoltre, per molte situazioni (punti d), e), f), g), h), i), l), n) del precedente elenco), uno studio geologico, con relativa relazione, da affiancare alla relazione geotecnica. Questo tipo di studio è previsto per tutti i problemi relativi alla stabilità dei pendii .
Per quanto riguarda in modo specifico i problemi di stabilità dei versanti lo stesso decreto definisce gli accertamenti di carattere generale, le indagini specifiche e i calcoli di stabilità da effettuare sia sui pendii naturali che sui fronti di scavo.
Facendo riferimento alla normativa sopra richiamata, si propongono i seguenti indirizzi per la pianificazione comunale:
Qualsiasi scelta di trasformazione urbanistica del territorio non può prescindere dalla individuazione dei rischi geologici, geomorfologici ed idrogeologici.
Nei PRG dovranno essere individuati tutti i dissesti significativi presenti nel territorio comunale, indicando per ognuno la tipologia, le caratteristiche geometriche e lo stato di attività.
Nei Comuni soggetti a vincolo idrogeologico (R.D. 3267/ 23) ed in tutti i comuni nel cui territorio ricadono centri abitati da consolidare (L.64/74), aree in frana indicate nella carta A.1.3. del PTCP, aree ad elevata propensione al dissesto (PTCP), deve essere previsto, durante la fase di formazione del PRG, uno studio geologico comprendente: una carta geologica e una carta geomorfologica realizzate ad una scala adeguata integrate da accertamenti di carattere generale (come per esempio: la raccolta di notizie storiche riguardanti l’evoluzione del pendio ed eventuali danni sulle strutture esistenti, la raccolta di dati sulle precipitazioni meteoriche e sui caratteri idrologici della zona, su sismi e su precedenti interventi di consolidamento).
Lo studio dovrà verificare, ad una scala di maggior dettaglio, le indicazioni del PTCP ed individuare le aree instabili che dovranno essere perimetrate dettagliatamente sulla carta geomorfologica, individuando per ogni fenomeno franoso:
-tipologia;
-stato di attività;
-nicchia di distacco;
-direzione di movimento;
-zona di accumulo.
Nelle aree instabili individuate dalla cartografia di cui sopra, non sono possibili espansioni edilizie fintanto che non si è provveduto alla stabilizzazione dei versanti, alla bonifica ed al consolidamento dei dissesti. Se tali aree instabili sono comprese tra quelle indicate dal Piano Stralcio dell’Autorità di Bacino non è possibile alcuna espansione edilizia.
Qualsiasi intervento di trasformazione edilizia e urbanistica in aree considerate instabili deve essere preceduto da uno studio di approfondimento idrogeologico e geotecnico al fine di stabilire la compatibilità geologica ed economica dell’intervento. L’approfondimento dovrà tenere conto dello studio geologico di base di cui sopra ed inoltre:
-ricostruire la superficie piezometrica della prima falda acquifera e misurare le caratteristiche idrogeologiche dell’acquifero e della zona insatura;
-definire le caratteristiche fisico-meccaniche dei terreni;
-riconoscere eventuali superfici di scorrimento e definirne la forma attraverso indagini dirette e indirette (indagini geofisiche);
-valutare la velocità di scorrimento di eventuali movimenti franosi in atto;
-verificare la stabilità dei versanti attraverso programmi di calcolo che tengano conto delle caratteristiche fisico-meccaniche del terreno, dell’assetto strutturale, della posizione e della forma delle superfici discorrimento reali e/o potenziali.
Per i pendii ricadenti in zona sismica, la verifica di stabilità deve essere eseguita tenendo conto delle possibili azioni sismiche; -individuare gli interventi di bonifica necessari per consentire le trasformazioni edilizie e/o urbanistiche e definirne i criteri di progetto.
Per quanto riguarda le trasformazioni edilizie ed urbanistiche nelle aree già vincolate ai sensi della legge 64/ 74 ci si atterrà alle disposizioni previste dalla normativa regionale e comunque il rilascio dell’atto autorizzativo dei lavori, qualora previsti in area interessata dall’art.2 della L. 64/74, dovrà essere preceduto dal rilascio della autorizzazione specifica prevista dalla stessa legge.
2) Rischio sismico
Individuati i livelli di pericolosità di base definiti dal PUT e riportati nella carta A.1.3 del PTCP, il rischio sismico dovrà essere definito a scala comunale, nella parte strutturale del P.R.G. mediante:
lo studio della pericolosità sismica locale;
lo studio della vulnerabilità del patrimonio edilizio;
lo studio dell’assetto urbanistico-territoriale in funzione della pericolosità di base e locale.
Nell’ambito della valutazione degli effetti di sito e della pericolosità sismica locale assume una importanza fondamentale la microzonazione sismica. In accordo col l’art. 50 della L.R. 27/2000 (Piano Urbanistico Territoriale) vengono definiti due livelli di approfondimento degli studi di microzonazione sismica:
a) livello 1
b) livello 2
I comuni con il massimo livello di pericolosità di base (livello 1), eseguono, ai soli fini della zonizzazione urbanistica, studi di microzonazione sismica a supporto degli strumenti urbanistici generali corredati da indagini specifiche finalizzate a valutare la compatibilità delle destinazioni d’uso residenziali del tipo A, B, C, produttive del tipo D e servizi generali del tipo F, di cui al D.M. 2 aprile 1968, con gli effetti sismici locali e studi di microzonazione sismica di dettaglio per i piani attuativi, sulla base dei criteri stabiliti dalla Delibera della Giunta della Regione dell’Umbria 226 del 4/04/2001.
I comuni i cui territori sono sottoposti a studi di livello 2 eseguono, ai soli fini della zonizzazione urbanistica, studi di microzonazione sismica a supporto degli strumenti urbanistici generali corredati da indagini specifiche sulle aree destinate ad ospitare opere di interesse pubblico o di importanza strategica, sulla base dei criteri stabiliti dalla Delibera della Giunta della Regione dell’Umbria 226 del 4/04/2001.
A.1.4.Sensibilità al rischio di inquinamento delle acque sotterranee e vulnerabilità degli acquiferi
Le informazioni sul rischio di inquinamento delle acque sotterranee e sulla vulnerabilità intrinseca degli acquiferi sono distribuite in modo non uniforme sul territorio provinciale. Le carte di vulnerabilità degli acquiferi all'inquinamento realizzate dalla Regione e dal CNR riguardano infatti solo gli acquiferi della Conca Eugubina, Alta Valle del Tevere, Valle Umbra Nord e Valle Umbra Sud. Non esistono ancora dati sulle aree di affioramento dei calcari mesozoici e sull'importante acquifero alluvionale della Media Valle del Tevere. E' stato pertanto necessario riportare in carta le informazioni distinguendo i due diversi livelli di approfondimento:
1) aree classificate. Per queste aree, che comprendono la Conca Eugubina, l'Alta Valle del Tevere e la Valle Umbra e che includono gli ambiti definiti nel PUT come aree a vulnerabilità accertata, viene riportate la classificazione derivante dalla legenda unificata del Programma Speciale VAZAR (Vulnerabilità degli acquiferi in Zone d'Alto Rischio) che identifica sei gradi di vulnerabilità intrinseca:
molto elevata: falda libera in materiali alluvionali con campo pozzi deprimente la piezometria al di sotto dei corsi d'acqua; falda libera in materiali da grossolani a medi senza alcuna protezione in superficie e con spessore dell'insaturo non superiore ai 5 m dal piano campagna;
elevata: falda libera in materiali da grossolani a medi senza alcuna protezione in superficie e con spessore dell'insaturo compreso tra i 5 ed i 10 m dal piano campagna;
alta: rete acquifera in calcari fessurati; falda libera in materiali da grossolani a medi senza alcuna protezione in superficie e con spessore dell'insaturo superiore ai 10 m dal piano campagna;
media: travertini; vulcaniti; falda libera in depositi lacustri senza alcuna protezione; falda in pressione coperta in superficie da una copertura poco permeabile; falda libera in materiali alluvionali protetta in superficie da una copertura poco permeabile e con spessore dell'insaturo entro 10 m dal piano campagna;
bassa: Marnoso Arenacea; falda libera in materiali alluvionali protetta in superficie da una copertura poco permeabile e con spessore dell'insaturo superiore ai 10 m;
molto bassa: depositi fluvio-lacustri prevalentemente argilosi;
2) aree non classificate. Per queste aree è stata fatta una semplice distinzione fra i litotipi principali, come nell' elaborato A.1.2.2, integrata con alcune indicazioni sulla vulnerabilità. Ad ogni formazione o gruppo di formazioni è stata associato un range di vulnerabilità derivato dalla letteratura in materia secondo il seguente schema:
Detriti vulnerabilità variabile, generalmente elevata
Alluvioni vulnerabilità generalmente da alta a molto elevata
Travertini vulnerabilità media
Depositi Fluviolacustri vulnerabilità da media a molto bassa
Flysch vulnerabilità da media a molto bassa
Scisti a fucoidi vulnerabilità bassa
Calcari vulnerabilità media o alta
Oltre alle caratteristiche intrinseche di vulnerabilità sulla carta sono stati riportati anche alcuni dei principali fattori di rischio di natura antropica: rispetto alle legende tipiche delle carte di vulnerabilità alcuni elementi sono stati accorpati tra loro ed altri (in particolare le reti) non sono stati riportati per rendere la carta più leggibile trattandosi di una elaborazione in scala 1:100.000 (mentre le carte di vulnerabilità del progetto VAZAR sono realizzate alla scala 1:25.000). Gli elementi non riportati in questa carta sono tuttavia presenti in altre tavole ed è quindi possibile in ogni momento il confronto tra il sistema geologico-ambientale e gli altri elementi. In particolare si suggerisce un confronto a livello comunale tra gli aspetti geo-ambientali ed il sistema delle reti (fognature, acquedotti, metanodotti, strade, ferrovie).
Nello stesso elaborato sono riportati i punti del reticolo di monitoraggio qualitativo e quantitativo attivato dalla Regione e dall'ARPA nell'ambito del Progetto PRISMAS, classificati in base al loro stato ambientale come previsto dal D.Lgs 152/99. I pozzi individuati sono rappresentativi delle diverse condizioni idrogeologiche delle falde e dei rapporti con le acque superficiali, essi vengono controllati con misure periodiche trimestrali, sia qualitative che quantitative. L’attività del Progetto Prismas trova riferimento nell’art 43 del DLgs 152/99 e nel relativo Allegato 1: le Regioni sono incaricate di elaborare programmi per la conoscenza e verifica dello stato quantitativo e qualitativo delle acque sotterranee (e superficiali), in conformità alle indicazioni dell’Allegato 1. Ai punti 1.2 e 2.2 dell’Allegato vengono specificate le definizioni di corpo idrico significativo e di stato di qualità (quantitativo e chimico) con 5 classi di stato ambientale: elevato, buono, sufficiente, scadente e naturale particolare. Il monitoraggio e la classificazione dello stato ambientale dei singoli punti di captazione è la base che verrà utilizzata per l'individuazione delle aree vulnerabili da nitrati (art. 19 D.Lgs 152/99) e da prodotti fitosanitari (art. 20 D.Lgs 152/99) per la definizione degli obiettivi di qualità previsti dagli articoli 4, 5 e 6 dello stesso decreto.
Ricadute territoriali ed indirizzi normativi
I principi generali riguardanti la tutela e l'uso delle risorse idriche vengono chiaramente definiti con la legge 36/94, disposizioni in materia di risorse idriche che all'art.1 recita:
1. Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorchè non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà.
2. Qualsiasi uso delle acque è effettuato salvaguardando le aspettative e i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale.
Questi principi generali trovano piena applicazione nel recente D.Lgs 11 Maggio 1999, n. 152 “Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento dai nitrati provenienti da fonti agricole” . Il Decreto costituisce il testo di riferimento per quanto riguarda la disciplina generale per la tutela delle acque superficiali, marine e sotterranee, perseguendo i seguenti obiettivi:
a) prevenire e ridurre l'inquinamento e attuare il risanamento dei corpi idrici inquinati;
b) conseguire il miglioramento dello stato delle acque ed adeguate protezioni di quelle destinate a particolari usi;
c) perseguire usi sostenibili e durevoli delle risorse idriche con priorità per quelle potabili;
d) mantenere la capacità naturale di autodepurazione dei corpi idrici nonché la capacità di sostenere comunità animali e vegetali ampie e ben diversificate.
Per quanto riguarda la tutela delle risorse idriche dall'inquinamento ed in particolare la qualità delle acque sotterranee è necessario tener conto inoltre delle seguenti normative:
la legge 319/76 che impone dei valori limite agli scarichi per le sostanze inquinanti senza tuttavia prendere in considerazione il tipo di corpo ricettore degli scarichi medesimi e gli usi ai quali è adibito;
il DPR 515/82 che regolamenta la qualità delle acque destinate alla produzione di acque potabili;
il DPR 236/88 Attuazione della direttiva CEE 80/778 sulla "qualità delle acque destinate al consumo umano".
In quest'ultimo decreto vengono introdotte misure finalizzate a garantire la difesa delle acque sotterranee tramite l'istituzione di "aree di salvaguardia delle risorse idriche" (art.4). Gli art. 5 e 6 individuano una "zona di tutela assoluta" (10 m) ed una "zona di rispetto" (almeno 200 m) inerenti le sorgenti e i punti di captazione, mentre l'art.7 definisce una "zona di protezione con riferimento alle aree di ricarica delle falde, alla situazione locale di vulnerabilità e rischio della risorsa". Il decreto inoltre definisce i "requisiti di qualità delle acque" destinate al consumo umano (allegato I) specificando i parametri chimico-fisici e microbiologici da considerare, stabilendone i valori limite e i valori guida, e definisce i metodi, le frequenze e i procedimenti operativi per le analisi delle delle acque sotterranee (allegati 2 e 3). La disciplina delle aree di salvaguardia definita dal DPR 236/88 viene ripresa ed integrata nell'art.21 del D.Lgs 152/99 che al comma 1 indica nelle Regioni i soggetti preposti all'individuazione delle aree di salvaguardia, al comma 4 specifica le dimensioni e la disciplina della zona di tutela assoluta, ai comma 5 e 6 definisce la disciplina della zona di rispetto e al comma 7 indica in 200 m di raggio l'estensione minima della zona di rispetto.
Nell'ambito di questa disciplina giuridica assume un ruolo fondamentale la legislazione regionale anche perché con il D.P.R. 616/77 le Regioni avevano ricevuto e hanno ancora oggi la delega delle funzioni concernenti "la ricerca, l'estrazione e l'utilizzazione delle acque sotterranee".
La Regione dell'Umbria con la legge regionale 9/79 "Norme integrative e di attuazione della legge 10 Maggio 1976, n.319, relative allo smaltimento dei rifiuti liquidi sul suolo e nel sottosuolo e alla salvaguardia e tutela delle acque sotterranee dagli inquinamenti" individua come prioritaria la necessità di assicurare la tutela delle risorse idriche destinate ad uso potabile. L'articolo 10 stabilisce che è la Regione ad individuare "le aree nelle quali sarà vietata, o comunque regolamentata secondo le norme vigenti, la costituzione e la gestione di insediamenti produttivi, la costruzione e l'utilizzazione di opere destinate al prelievo di acque superficiali e profonde, lo smaltimento sul suolo di rifiuti liquidi e solidi, l'impiego dei fertilizzanti ed infine l'uso dei pesticidi e di tutti gli altri presidi sanitari di cui al primo comma dell'art.6 della legge 283/1962".
Nei successivi articoli 11, 12 e 13 vengono inoltre definite le competenze di Giunta Regionale, Consiglio provinciale di sanità e Comuni per quanto riguarda il rilascio delle autorizzazioni e i controlli necessari per la costruzione di pozzi ed altre opere di captazione delle acque sotterranee.
Nel 1983 con la L.R. 52/1983 "Approvazione del Piano Urbanistico Territoriale" le acque sotterranee hanno, nelle norme di attuazione, un articolo loro dedicato (art. 8) che prevede che "nelle aree ove sono presenti risorse idriche di interesse generale indicate nella Tav.II (PUT) e in quelle che verranno individuate con apposita delibera della Giunta Regionale a seguito di ulteriori studi o di richieste dei comuni interessati, è vietata la realizzazione di ogni opera di escavazione e perforazione, di installazione di impianti, manufatti, ed attrezzature per l'esercizio di qualsiasi attività, che possano recare pregiudizio per le risorse acquifere, nonchè lo smaltimento di rifiuti liquidi e solidi e l'uso di pesticidi ai sensi dell'art. 10 della L.R. 9/1979". Lo stesso articolo stabilisce inoltre che entro un anno dall'entrata in vigore del PUT, la Giunta Regionale deve definire su cartografia in scala 1:25.000 le aree da tutelare ed estende i divieti anche alle aree di tutela delle acque minerali. Lo stesso articolo fa salva però la possibilità per i soggetti pubblici o privati di realizzare pozzi ed effettuare attingimenti sulla base di autorizzazioni e concessioni perdendo così molto della sua efficacia. Inoltre il concetto del "recare pregiudizio", pur se comprensibile in linea generale, appare di difficile applicazione sul piano tecnico-scientifico.
L'art. 8 della legge 52/1983 viene successivamente sostituito con l'art.18 della L.R. 26/1989 che tuttavia non presenta novità rilevanti per quanto riguarda la tutela delle acque sotterranee: anche in questo caso non vengono individuati criteri oggettivi per stabilire se una determinata attività può recare pregiudizio alle risorse idriche. Forse anche per questa mancanza di criteri oggettivi non è ancora stata realizzata una cartografia regionale definitiva con l'indicazione delle "aree di interesse generale" da tutelare.
Con l'approvazione del nuovo Piano Urbanistico Territoriale (L.R. 27/2000) viene stabilito che il PTCP, tenuto conto della normativa vigente e della pianificazione regionale, definisce e disciplina gli ambiti con acquiferi di rilevante interesse regionale in cui sono ricompresi quelli a vulnerabilità accertata. Tali ambiti sono rappresentati nella carta 45 del PUT ed il loro aggiornamento spetta alla Giunta regionale secondo quanto disposto dal D.Lgs 152/99 e tenendo conto del piano di risanamento delle acque.
Con la fine degli anni ottanta la Regione dell'Umbria ha cominciato a realizzare le carte di vulnerabilità all'inquinamento di alcuni dei più importanti acquiferi della regione nell'ambito del programma speciale VAZAR (Vulnerabilità Aquiferi Zone Alto Rischio) intrapreso dalla linea 4 del Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi idrogeologiche (GNDCI) del CNR. Attualmente tutti gli acquiferi alluvionali della Provincia di Perugia, con l'eccezione della media Valle del Tevere, sono stati studiati e per ognuno è stata realizzata la relativa carta di vulnerabilità. Tali carte sono state fino ad oggi utilizzate solo come strumento conoscitivo mentre hanno la potenzialità per poter essere utilizzate anche come strumento di pianificazione territoriale.
Facendo riferimento alla normativa sopra richiamata si specifica il ruolo del PTCP in merito alla tutela delle acque sotterranee ed suoi rapporti con Regione, Provincia e ARPA:
Il PTCP acquisisce dalla Regione la classificazione dei corpi idrici sotterranei secondo quanto stabilito dal D.Leg 152/99 e illustrato ai punti 1.2 e 2.2 dell’Allegato 1 allo stesso decreto. Tale classificazione indica lo stato ambientale dei corpi idrici sotterranei sulla base dei risultati del monitoraggio periodico effettuato dall’ARPA distinguendo 5 classi di qualità: stato ambientale elevato, buono, sufficiente, scadente e naturale particolare.
Il PTCP acquisisce l’indicazione dei corpi idrici significativi per i quali la Regione ha stabilito gli obiettivi di qualità ambientale e di qualità per specifica destinazione d’uso (art.4 D.Lgs 152/99).
Il PTCP recepisce le proposte di intervento di Regione e ARPA finalizzate al perseguimento degli obiettivi di qualità ambientale di cui sopra.
Il PTCP acquisisce l'indicazione delle aree vulnerabili da nitrati (art.19 D.Lgs 152/99) e prodotti fitosanitari (art.20 D.Lgs 152/99) indicate dalla Regione, sentita l’Autorità di Bacino, sulla base dei risultai del monitoraggio qualitativo e quantitativo dei corpi idrici sotterranei condotto dall’ARPA.
Il PTCP recepisce le proposte di intervento per la riduzione dell’impatto dovuto alle attività agricole, in particolare nei settori strategici per l’approvvigionamento idrico e nelle zone in cui tali interventi hanno una ricaduta diretta sulla programmazione urbanistica.
Il PTCP promuove studi di settore, di concerto con l’Agenzia Regionale di Protezione Ambientale dell’Umbria (ARPA), Regione e Provincia, finalizzati a:
definire le aree di tutela sulla base dei criteri generali stabiliti dalla Regione e individuare le zone di riserva (come definite dal D.Lgs.152/1999 e successive modificazioni);
realizzare un catasto e un censimento dei punti di captazione;
Si propongono infine i seguenti indirizzi per la pianificazione comunale.
Le "carte della vulnerabilità degli acquiferi all'inquinamento", i cui elementi principali sono riportati anche nel P.T.C.P., rappresentano uno strumento di pianificazione territoriale: ogni strumento di piano deve dare conto di come ha valutato le proprie proposte di intervento rispetto alle diverse indicazioni fornite dalle carte.
La scelta delle aree da sottoporre a tutela e tutte le decisioni sul consentire, disincentivare e/o regolamentare determinate attività e insediamenti, devono tener conto delle seguenti indicazioni associate ai diversi gradi di vulnerabilità degli acquiferi.
Aree alluvionali indicate dalle carte GNDCI-CNR e dal PTCP come "zone caratterizzate da vulnerabilità all'inquinamento degli acquiferi elevata o estremamente elevata; zone di rispetto dei punti di captazione (art.6 DPR 236/88). In accordo con il DPR 236/88, con la L.R. 9/79, con l'art.8 della L.R. 52/83, con l'art. 18 della L.R. 26/89, con l'art.47 della L.R. 27/2000 e con il D.Lgs 152/99, in queste aree deve essere vietata ogni opera di escavazione, perforazione, installazione di impianti, manufatti e attrezzature per l'esercizio di qualsiasi attività che possa recare pregiudizio alle risorse acquifere nonchè lo smaltimento di rifiuti solidi e liquidi, la dispersione di liquami zootecnici, l'uso di nutrienti e pesticidi ai sensi dell' art. 10 della L.R. 9/79 e ogni attività indicata all'art. 21, comma 5, del D.Lgs 152/99. Sono da proibire inoltre gli scarichi in acque superficiali o deve essere garantito che, in tutte le condizioni di portata dei corsi d'acqua, siano rispettate le condizioni di qualità indicate in Tab A3 del DPR 515/82: qualora tali condizioni non vengano rispettate si dovranno adottare interventi di depurazione ed attenuazione degli scarichi.
Aree alluvionali generalmente caratterizzate da vulnerabilità all'inquinamento degli acquiferi da media ad alta; rete acquifera in formazioni litoidi fessurate con vulnerabilità all'inquinamento degli acquiferi da media ad alta. Devono mettersi in essere revisioni delle normali pratiche agronomiche al fine di prevenire la dispersione di fitofarmaci e nutrienti nell'acquifero soggiacente: applicazione del codice di buona pratica agricola (Dir. CEE 91/676). Forte limitazione di smaltimento dei liquami zootecnici. Non si possono effettuare scarichi di sostanze inquinanti in acque superficiali o deve essere comunque garantito che nelle zone in cui il corso d'acqua interagisce con le falde idriche vengano rispettate le condizioni di qualità indicate in Tab A3 del DPR 515/82.
Depositi generalmente caratterizzati da vulnerabilità all'inquinamento degli acquiferi bassa o molto bassa. Non è previsto nessun vincolo per le attività insediate o da insediare fatte salve le verifiche puntuali. Non è prevista nessuna limitazione d'uso per il suolo salvo che per il controllo del ruscellamento superficiale verso aree a vulnerabilità più elevata, nel quale caso le acque superficiali devono rispettare le condizioni di qualità indicate in Tab A3 del DPR 515/82.
Nel progetto di nuove opere per la captazione di acqua per scopi idropotabili devono essere inserite barriere fisiche in corrispondenza della "zona di rispetto" di 200 m prevista dal DPR 236/88 e dal D.Lgs 152/99. Tali barriere potranno essere realizzate attraverso la piantagione con alberi ad alto fusto o destinando le aree comprese nella "zona di rispetto" ad usi che comportano un basso rischio di inquinamento come agricoltura biologica, giardini botanici, parchi giochi.
Nel progetto di opere di emungimento si deve accertare che queste siano compatibili con le caratteristiche dell'acquifero e che eventuali conseguenti cedimenti della superficie del suolo siano compatibili con la stabilità e la funzionalità dei manufatti presenti nella zona interessata dall'emungimento (D.M. 11.03.1988)". In fase di realizzazione devono inoltre essere rispettati i seguenti criteri costruttivi:
Inserimento nell'intercapedine tra parete di scavo e rivestimento di un elemento filtrante (dreno) al fine di:
aumentare la permeabilità in prossimità della colonna pozzo;
rendere solidale la colonna pozzo con il terreno circostante così da evitare franamenti interni del pozzo;
formare un ulteriore filtro (prefiltro) al contorno di quelli della colonna.
Tamponamento con materiale impermeabile o cementazione della parte alta dell'intercapedine per isolare la colonna dai terreni più superficiali.
Disposizione del tubaggio definitivo in modo che siano presenti parti drenanti l'acquifero (filtri) in corrispondenza dei livelli produttivi e parti cieche in corrispondenza dei terreni insaturi o di quelli che si vogliono escludere dalla captazione.
Nel caso di acquiferi artesiani e di falde multistrato si devono prevedere sistemi di separazione delle falde.
In attesa di una definizione legislativa regionale, l’utilizzo dele acque azotate provenienti da impianti di trattamento dei reflui zootecnici ai fini della fertirrigazione, dovrà avvenire in modo da evitare danni ambientali e nel rispetto della salute dell’uomo e delle altre attività che sul territorio sono consentite e/o previste dagli strumenti di pianificazione e programmazione.
Il territorio della provincia di Perugia, seppure prevalentemente caratterizzato da un ambiente rurale di accentuata antropizzazione, conserva un considerevole patrimonio naturalistico non solo localizzato nelle zone ad alta quota delle aree calcaree sud orientali e centrali, dove limitato è stato nella storia l’intervento antropico, ma anche in ambiti interessati da grandi interventi di trasformazione, in cui esso è visibile o come prezioso residuo di una situazione antecedente agli interventi stessi o come risultato di una rinaturalizzazione delle aree già trasformate.
Se, indubbiamente, le aree più solidamente caratterizzate da un dominio naturale costituiscono una importante riserva per la qualità del territorio umbro, non di meno il patrimonio più minuto e frammentario, all’interno delle aree a forte trasformazione antropica, rappresenta un valore di primaria importanza per le possibilità di interazioni, dirette e quotidiane, con gli ambiti insediativi urbani; inoltre, il valore aggiunto derivato dalla prossimità dei due ambiti e, quindi, dalla facilità per l’ambito urbano di potersi avvalere delle opportunità offerte dal mondo naturale, si basa sulla conservazione di un equilibrio tra i due mondi assai delicato e sensibile e che va necessariamente tutelato per la salvaguardia della sua benefica funzione. L’attenzione del PTCP è pertanto rivolta all’intero sistema naturale ambientale, ma essa è anche articolata, riconoscendo in questo complesso sistema diversi livelli di valorizzazione e di tutela.
Negli ultimi anni l’attenzione alle tematiche dell’ambiente naturale si è fatta sempre più forte e molto è stato anche detto sul rapporto tra ambiente naturale e ambiente antropizzato anche là dove , come in Umbria , la quasi totalità dell’ambiente anche rurale o boscato, risulta essere di origine antropica. La stessa Regione dell’Umbria ha sviluppato significative azioni in merito:
il paesaggio agrario, inteso come risultato di un’azione secolare dell’uomo sulla natura al fine di raccordarne i cicli con i propri bisogni, è stato assunto come elemento identificativo della Regione stessa nel PUT approvato con Lr.27/2000;
ai biotopi già tutelati dalla legge 431/85 o in base ad altre leggi precedenti, la Regione ha aggiunto, un elenco di siti di interesse naturalistico individuati secondo le direttive comunitarie e del Ministero dell’Ambiente, recepiti dal PTCP;
con la delibera GR.4271 del 22.07.98, ha fornito un elenco di aree di rilevante interesse naturalistico e le relative schede, studiate con programmi comunitari e, già da tempo, ha ampliato le aree naturali protette istituendo cinque parchi di interesse regionale che vanno ad aggiungersi al Parco nazionale dei Monti Sibillini portando la superficie a parco della Provincia a circa 500 Kmq. (poco meno dell’8% del territorio provinciale).
con il PUT, approvato con Lr.27/2000, ha individuato le aree ad elevata diversità floristico-vegetazionale e le emergenze geologiche
Sono state infine indirizzate le particolari competenze settoriali della Regione e della Provincia in materia di caccia e pesca per una valorizzazione di questo patrimonio e ciò sia nelle forme tradizionali con la definizione di ambiti che, per la tutela delle loro qualità attuali, escludono qualsiasi attività venatoria, ma anche in forma attiva, utilizzando la costituzione di zone di ripopolamento e cattura per la crescita qualitativa di aree che potranno avere un ruolo di supporto, se non di espansione, del sistema della tutela ambientale .
I dati su cui il PTCP ha potuto quindi sviluppare le proprie riflessioni riguardano sostanzialmente il portato dell’attività regionale circa la istituzione dei parchi, la definizione dei siti di interesse naturalistico, l’individuazione delle zone di elevata diversità floristico vegetazionale e del dibattito svoltosi negli ultimi due anni intorno al Piano Provinciale Faunistico-Venatorio. Oltre a ciò, il PTCP ha rappresentato l’occasione per fare il punto sul monitoraggio effettuato riguardo alla presenza di animali (mammiferi ed uccelli) sul territorio provinciale ed, in particolare, riguardo a quelli inclusi nelle liste rosse per la rilevanza del loro interesse. Si tratta di una attività che la Provincia di Perugia, tramite l’Ufficio Gestione e Sviluppo della Fauna, sta svolgendo da tempo e che dovrà trovare una sua sistematicità ed il coordinamento con gli altri momenti di programmazione della Provincia per l’importanza che tale conoscenza riveste sia in rapporto alle specifiche problematiche settoriali e sia per le ricadute conoscitive e di indirizzo che potrà avere sul piano della pianificazione territoriale.
Le aree di rilevanza naturalistica o faunistica sono complessivamente 65:
5 parchi regionali, 12 oasi di protezione, 40 zone ripopolamento e cattura, 2 valichi, 6 aree segnalate come proposte di oasi per complessivi 889 Kmq (711+178 del parco nazionale dei Sibillini) corrispondenti al 14 % della superficie provinciale, di cui 662 Kmq (484+178 del parco nazionale dei Sibillini), corrispondenti 10,4% della superficie provinciale, sono già attualmente in regime di tutela.
Insieme a queste sono recepiti i biotopi di interesse comunitario, regionale e le zone di protezione speciale (bioitaly), le aree a elevata diversità floristico vegetazionale, che sovente ricomprendono le aree sopra descritte, ed i geotopi.
Il materiale raccolto è stato in parte informatizzato direttamente dall’Ufficio di Piano, ed in parte fornito dal Siter regionale che ha messo a disposizione i dati della cartografia del PUT.
Tutti gli areali prodotti dall’Ufficio di Piano sono stati definiti alla scala 1:25.000, su base IGM.
Per 30 siti di interesse naturalistico e faunistico (Parchi regionali, oasi di protezione, proposte di oasi, alcune zone di ripopolamento e cattura) per le quali l’azione di monitoraggio ha verificato la presenza di un interesse conservazionistico, sono state predisposte schede descrittive delle aree e delle presenze faunistiche rilevate.Il quadro che è stato costruito restituisce una prima immagine del tema, precisando l’estensione e la localizzazione delle aree di interesse naturalistico e faunistico della provincia con valore conservazionistico; esso consente di fare delle prime considerazioni sul peso, sul significato e sul ruolo di questo patrimonio, anche in rapporto alla pianificazione urbanistica comunale.
Si tratta ancora di un quadro che non permette l’analisi diacronica delle singole situazioni, mancando una serie storica di lettura delle presenze e del loro contesto. Da ciò la capacità di suggerire indirizzi e criteri di gestione è limitata; ma, questo quadro, oltre ad evidenziare come necessario uno sviluppo, che dovrà pur avvenire in questa direzione, dell’elaborazione del PTCP come piano di coordinamento e raccordo, mette in evidenza come i processi di riqualificazione ambientale, anche naturali, possono partire anche da situazioni di grave degrado o da profonde trasformazioni imposte dell’attività dell’uomo, come si vede per la zona di ripopolamento e cattura di Pietrafitta, un’area che presenta ora elementi significativi di pregio e che ha origine da un’area sfruttata per attività minerarie connesse alla centrale termoelettrica, o per l’oasi di Ornari, un’area suburbana di Perugia, in cui ambienti di accentuata naturalità, impiantati e sviluppati su siti in precedenza oggetto di usi del suolo intensivi e portatori di degrado, convivono con insediamenti caratterizzati da forte urbanizzazione.
Le ricadute territoriali
Il nuovo PUT della Regione Umbria impegna il PTCP nella definizione di corridoi faunistico-ecologici che consentano una reale biopermeabilità ed una continuità tra le varie aree ad alto valore ambientale-naturale sia attraverso la individuazione sul territorio di tali corridoi e sia attraverso una adeguata normativa di indirizzo. Tali compiti sono assegnati al Piano Provinciale anche in materia di protezione delle zone ad elevata diversità floristico-vegetazionale e per quelle di particolare interesse naturalistico-ambientale e, per i suoi aspetti legislativi salienti, sono descritti dal P.U.T. nei seguenti articoli della L.R. 27/2000:
Artt. 9 e10 - Corridoi Ecologici ed Aree Critiche di Adiacenza;
Art. 12 - Zone di elevata diversità floristico-vegetazionale;
Art. 13 - Siti di interesse naturalistico;
Art. 14 - Aree di particolare interesse naturalistico ambientale;
Art. 15 – Aree boscate;
Art. 16 - Aree di particolare interesse geologico e singolarità geologiche.
In funzione degli elementi conoscitivi messi a disposizione dal P.U.T., ed assieme a quelli propri della Provincia di Perugia, si è proceduto ad una sovrapposizione incrociata dei molteplici tematismi illustrati nelle singole cartografie di settore, e questo al fine di individuare correttamente tutti gli ambiti di tutela e/o di valore, necessitanti di un'adeguata protezione e controllata fruizione.
La base di lavoro è stata la carta n° 9 del P.U.T. relativa alle "Aree di particolare interesse naturalistico ambientale", sul quale tematismo, in virtù dell’art.14 del PUT, il PTCP è tenuto ad individuare gli ambiti che richiedono una "particolare tutela" (ambiti di valore primario) ed a dettare le loro "modalità di utilizzo in rapporto alla esigenza primaria della tutela" e, quindi, a redigere un'apposita normativa.
Alle perimetrazioni territoriali del suddetto tematismo del P.U.T. di cui alla nostra attenzione principale, sono state sovrapposti, singolarmente, sia i tematismi degli articoli della L.R.27/2000 sopra elencati, sia gli elementi conoscitivi prodotti dalla Provincia (Oasi, Aree di interesse faunistico segnalate, ecc.). Il risultato finale di questo incrocio è stato quello di poter individuare correttamente tutti gli ambiti meritevoli di una "particolare tutela" ricadenti all'interno delle "Aree di particolare interesse naturalistico ambientale", come espressamente specificato all'Art. 14 della L.R. 27/2000. Per prima cosa è stata incrociata la carta n° 9 del P.U.T., con i tematismi propri della carta n° 8 relativa agli ambiti Bioitaly (S.I.C., Z.P.S., S.I.R.), in modo da delimitare subito questi ambiti di primaria importanza.
Il lavoro di sovrapposizione e di delimitazione degli ambiti è stata poi effettuata anche per le Oasi faunistiche, per le Aree di interesse faunistico segnalate (si veda quanto riportato nella prima stesura del P.T.C.P.), per le aree di particolare interesse geologico e le singolarità geologiche ed anche per le aree individuate dalla Regione quali "Zone di elevata diversità floristico-vegetazionale". In tutte queste sovrapposizioni si è rilevata la non perfetta coincidenza dei singoli tematismi con i contenuti della carta delle "Aree di particolare interesse naturalistico ambientale". Infine, alle "Aree di particolare interesse naturalistico ambientale" è stata sovrapposto il tema dell' "Uso del suolo", integrato con i contenuti dell'utilissima "Carta geobotanica" regionale, soprattutto per una sincrona individuazione delle varie tipologie qualitative delle coperture boscate e non.
Questa prima lettura ha consentito di evidenziare, all’interno delle "Aree di particolare interesse naturalistico ambientale", tutti gli ambiti di primaria importanza distinguendoli dagli altri ambiti (urbano, industriale, agricolo, ecc.), sui quali applicare un diverso grado di tutela.
Tale metodo di confronto ed aggregazione è stato poi esteso a tutti gli ambiti pregio considerati (Bioitaly, Geotopi, Aree ad elevata diversità Floristico-Vegetazionale, ecc), non ricompresi all’interno delle "Aree di particolare interesse naturalistico ambientale" al fine di giungere ad una normativa unificata per categorie di interesse naturalistico e di renderne più semplice l’applicazione nella pianificazione comunale.
Indirizzi normativi
Obbiettivo prioritario della fase di avvio dell’azione di coordinamento del PTCP è quello di affermare il rapporto biunivoco che lega le politiche settoriali ambientali alla gestione delle trasformazioni territoriali e quindi di operare affinchè le singole problematiche contribuiscano, per le loro specifiche connessioni, a definire gli strumenti e le regole per raggiungere i riferimenti assunti.
I piani regolatori, con l’assumere al proprio interno le tematiche dell’ambiente naturale, quindi, riconoscono nel patrimonio naturale ambientale una risorsa da tutelare in quanto capace di fornire valore aggiunto al proprio sistema insediativo ed utilizzabile sia come elemento attivo per la sua rigenerazione e sia come patrimonio da mettere a disposizione di coloro che non ne dispongono. Le politiche di tutela ambientale, ed in questo caso faunistica o vegetazionale, trovano nei PRG un importante veicolo per la diffusione delle proprie scelte ed insieme un momento di controllo dei risultati raggiunti, nonchè una nuova ed efficace occasione per sperimentare la propria compatibilità con i processi di trasformazione territoriale in atto.
In questo quadro é stato possibile individuare alcune regole su cui impostare l’attività di pianificazione comunale e di controllo delle trasformazioni.
Il territorio analizzato è stato classificato rispetto a quattro classi e due sottoclassi in funzione delle condizioni d’uso, delle qualità e potenzialità espresse:
Classe 1 (Aree urbane consolidate o interessate da processi di urbanizzazione in atto). Essa racchiude quelle aree che, in relazione ai fini della tutela propria delle "Aree di particolare interesse naturalistico ambientale", sono da definirsi come necessitanti di una tutela di tipo "basso", corrispondendo, in primo luogo, agli attuali insediamenti abitativi ed industriali, così come risultano dall'ultimo aggiornamento delle cartografie provinciali di settore. A queste si è ritenuto opportuno e necessario affiancare anche le varie "aree di espansione urbanistico/industriale attualmente previste dai vari comuni nei loro PRG, questo, però, dopo aver verificato che tali previsioni comunali non risultavano essere in contrasto con valori naturalistico-ambientali presenti sul territorio, sia sulla base dei contenuti del P.U.T., sia in base ai contenuti della prima stesura del P.T.C.P. A queste fanno eccezione le "aree verdi urbane" che, specificatamente normate dai vari PRG, godono già di un'adeguata tutela da parte degli stessi Enti comunali
Se tali aree, da una parte, rappresentano situazioni di perdita assoluta dell’interesse naturalistico ambientale che viene riconosciuto al loro contesto, dall’altra costituiscono anche il luogo di possibili azioni di disturbo nei confronti del contesto stesso, influenzandolo in forme dirette o indirette anche in maniera significativa (concentrazione di emissioni, ridotta permeabilità del suolo, concentrazione del carico antropico e della mobilità ai propri margini). Va d’altra parte considerata la opportunità rappresentata dalla collocazione di un insediamento urbano all’interno di un’area di pregio naturalistico ambientale: opportunità che potrebbe essere utilizzata per poter migliorare la qualità urbana dell’insediamento stesso massimizzando l’apporto della componente naturalistico ambientale.
Su tali aree pertanto i PRG disciplinano l’attività edilizia ed il controllo delle trasformazioni valorizzando gli elementi di naturalità rilevabili al loro interno, promuovendo la costruzione di reti ecologiche urbane in relazione attiva con quelle territoriali, individuando le compatibilità, i criteri di azione ed i presidi per mitigare l’impatto negativo che alcune attività possono avere sulle aree limitrofe e per favorire l’incremento della qualità ambientale all’interno.
In particolare i PRG, nella definizione delle reti ecologiche urbane e nel disciplinare le aree verdi pertinenziali, comprese quelle di cui al comma 3 dell'art.28 dei Criteri Indirizzi ecc., verificano la presenza all’interno delle aree urbane, o in contatto con queste, di parti della rete di interesse naturalistico (biotopi, aree faunistiche, boschi, ecc.) e ne sostengono la conservazione ed il potenziamento, come dato prevalente sulla crescita edilizia, ponendolo anche in relazione con le reti ecologiche urbane.
Classe 2 (Aree dell’agricoltura intensiva: seminativi, vigneti, oliveti, aree rimboschite con vegetazione alloctona). L’attenzione della pianificazione su queste aree deve essere efficacemente indirizzata verso la componente faunistica (soprattutto di quella ornitica) che abita più o meno costantemente o, comunque, frequenta con vario grado di regolarità questi ambienti.
Raccoglie le aree interessate dalle attività produttive di agricoltura intensiva.
In queste aree le potenzialità produttive, riconosciute dalla classificazione di particolare interesse agricolo o dalla presenza di oliveti specializzati o di vigneti, ovvero dalla riconosciuta vocazione a produzioni particolari e di pregio, sono sostenute e sviluppate evitando situazioni di contrasto con la eventuale presenza di aree di interesse faunistico, quali le zone di ripopolamento e cattura ed i valichi faunistici, non ricomprese nella presente classificazione. Laddove si verifica questa compresenza i PRG prevedono limitazioni alle attività produttive intensive ovvero l’utilizzo di presidi per la eliminazione dell’impatto.
Sulle aree ricomprese in questa classe e diverse da quelle descritte al capoverso precedente, I PRG prevedono destinazioni d’uso produttivo e sostengono lo sviluppo di tecniche di produzione biologica in modo da incentivare la compatibilità tra le attività produttive ed il valore naturalistico ambientale riconosciuto.
L’attività edilizia è disciplinata dai PRG in conformità alla normativa di cui all’art. 34 della Lr.31/97 e successive modificazioni.
I PRG infine tutelano tutte le forme storiche di sistemazione del suolo agricolo collegate alla policoltura quali elementi di supporto alla biodiversità ed alla qualità ambientale e dettano la relativa disciplina per le scarpate, i ciglioni, i terrazzamenti, ecc.
Classe 3 (-Sistema reticolare principale di riferimento per la zoocenosi: boschi, corsi d’acqua, bacini lacustri e loro fasce di rispetto, ambiti naturali e seminaturali diversi dai boschi (rupi, aree nude, pascoli secondari e, se presenti, pascoli primari; aree cespugliate). Raccoglie tutte quelle porzioni di territorio aventi forti connotati di "naturalità" e, quindi, meritevoli di una maggiore tutela ed inoltre, tramite il sistema idrografico e l’insieme delle aree boscate, costituisce la attuale rete ecologico-faunistica territoriale e consente alla zoocenosi, la mobilità e la riproduzione.
. Il PTCP assegna a queste aree un valore strutturale a livello territoriale in quanto segmenti o zone di particolare valore nell’ambito delle reti ecologiche e faunistiche.
La nuova espansione urbana è, di norma, incompatibile con il valore naturalistico di queste aree. I PRG verificano la opportunità della riconferma di eventuali aree residue a tale scopo destinate o la necessità di nuove previsione dimostrandone l’impraticabilità di soluzioni alternative e comunque prevedendo soluzioni compensative finalizzate alla ricostruzione della continuità dei punti critici di passaggio e al potenziamento della qualità ambientale.
I PRG disciplinano la infrastrutturazione di tali aree al fine di garantire un alto grado di biopermeabilità che dovrà essere comparabile a quella esistente al momento dell’avvio dei lavori; in particolare, per le grandi infrastrutturazioni viarie, dovrà essere garantita la possibilità di attraversamenti adeguati sia per dimensioni che per frequenza. Analogamente i PRG, secondo le indicazioni del punto b), comma 1 , art. 27 delle Norme del PTCP, provvederanno a disciplinare la realizzazione di recinzione degli spazi aperti extraurbani privilegiando la realizzazioni di siepi con arbusti e piante autoctone rispetto all’utilizzo di reti metalliche o altri materiali che impediscono la biopermeabilità.
I PRG infine procedono, sulla base delle conoscenze disponibili al momento della formazione del piano, alla individuazione di quelle aree boscate su cui, per il valore delle specie presenti o per la particolare tipologia del bosco o per programmi di qualificazione forestale in atto, si rende opportuna una protezione tale da escludere interventi non finalizzati direttamente alla tutela del bene o alla attuazione di quei programmi. La Provincia collabora con i Comuni nelle operazioni di approfondimento conoscitivo e procede, copianificando con i Comuni stessi, alla articolazione a scala di dettaglio (1:10.000) delle aree e delle relative norme.
Classe 4) -Aree di elevato ed elevatissimo valore naturalistico ed ambientale. Racchiude le porzioni di territorio naturalisticamente più pregiate, sia da un punto di vista floristico-vegetazionale, sia da un punto di vista faunistico, di elevato valore geologico, o naturalistico-ambientale nel senso più ampio del termine. All'interno di quest'ampia categoria è stato ritenuto opportuno, ai fini dell’applicazione della disciplina, individuare due sottoclassi.
Sottoclasse 4a (Aree di elevato interesse naturalistico: aree faunistiche segnalate, aree ad elevata diversità floristico vegetazionale, geotopi estesi, esclusa la Gola del Bottaccione che, per il suo carattere di unicità, viene inserita nella successiva sottoclasse). Raccoglie le aree caratterizzate da un elevato valore naturalistico riferito sia alla zoocenosi sia alla fitocenosi oltre che alla presenza di condizioni di particolarità geologiche o idrogeologiche, spesso compresenti.
In tali aree i PRG dovranno subordinare qualsiasi tipo di previsione urbanistica al prevalente interesse conservazionistico del patrimonio biocenotico presente; tale interesse risulta incompatibile con previsioni o conferme di aree per nuove espansioni edilizie, ovvero di previsioni o conferme di aree di completamento qualora in contrasto con gli obbiettivi di tutela di cui al 2° comma dell’art.12 del PUT.
Qualsiasi intervento che prevede crescita edilizia, anche in riferimento all’art.31 della L.457/78 e comprese le opere di infrastrutturazione e quelle pubbliche, è subordinato all’accertamento dell’assenza delle condizioni di divieto descritte al 3° comma dell’art.12 del PUT e comunque sottoposto ad una verifica di compatibilità ambientale.
Nelle aree boscate comprese in questa sottoclasse, la disciplina dei PRG dovrà tendere alla qualificazione ed al potenziamento del patrimonio vegetale sostenendo la trasformazione dei cedui in fustaie o in cedui composti .
Sulle aree comprese in questa sottoclasse in quanto interessate esclusivamente da geotopi estesi, i PRG potranno articolare e disciplinare le proprie previsioni insediative nel rispetto degli indirizzi normativi riportati negli elaborati A.1.3 ed A.1.4. del PTCP e previa la definizione in termini fondiari delle singolarità geologiche indicate dal censimento di cui all’art.16 del PUT e riportate dal PTCP.
Sottoclasse 4b (Aree di elevatissimo interesse naturalistico: siti di interesse naturalistico (Bioitaly), oasi faunistiche, singolarità geologiche e Gola del Bottaccione, per il suo carattere di unicità).
Raccoglie le aree caratterizzate da un elevatissimo valore naturalistico riferito sia alle componenti abiotiche, sia alle componenti biotiche (zoocenosi e fitocenosi) e, quindi, anche all’insieme ambientale rappresentato dalla somma delle due componenti stesse, ma considera come prevalenti e quindi meritevoli della massima tutela, anche le aree caratterizzate solo dalla preponderante presenza dei soli fattori abiotici (particolarità geologiche, idrogeologiche, ecc.) riconosciute e tutelate da specifiche procedure di controllo e da azioni di valorizzazione.
Tali aree sono incompatibili con la nuova edificazione a qualsiasi scopo destinata in quanto portatrice di processi riduttivi del valore naturalistico attuale, accertato su base scientifica.
I PRG, in sede di formazione della parte strutturale, verificano la reale consistenza del patrimonio edilizio esistente all’interno di questa sottoclasse, indicano i criteri di mitigazione per gli eventuali interventi di trasformazione e/o ampliamento eventualmente ammessi e ne stabiliscono le destinazioni compatibili con il prevalente interesse di tutela delle qualità naturalistiche dell’area, in tutte le loro componenti abiotiche, biotiche ed ambientali d’insieme.
In tali aree, di norma, i PRG escludono la realizzazione di infrastrutture stradali, tecnologiche o di opere pubbliche non finalizzate alla manutenzione o al potenziamento della qualità naturalistica presente; la possibilità di deroga a detta norma è subordinata alla programmazione regionale ed è soggetta a Valutazione di Impatto Ambientale nei termini della Lr 11/97.
La normativa di cui alle sottoclassi 4a e 4b si applica rispettivamente anche alle aree ad elevata diversità floristico vegetazionale di cui all’art.12 del PUT ed ai Siti di interesse naturalistico di cui all’art. 13 del PUT non ricompresi all’interno delle aree di particolare interesse naturalistico ambientale di cui all’art. 14 del PUT
Sul tema della biopermeabilità, anche in relazione alle zone di discontinuità tra le insulae indicate dal PUT, oltre agli indirizzi di carattere generale sopra riportati, il PTCP ha svolto un approfondimento al fine di fornire alla pianificazione comunale interessata un quadro delle situazioni risultanti significative, fin dalla scala territoriale, ai fini del superamento della discontinuità. Sono stati pertanto individuati e segnalati sia i brani del tessuto vegetazionale che più si avvicinano agli elementi di discontinuità e che possono costituire, già da ora o in conseguenza di opportune azioni da sviluppare, fattori di continuità (sia pure parziale), sia quei fattori di continuità già presenti rappresentati da manufatti ed opere d’arte che interrompono la discontinuità soprattutto nel caso delle grandi infrastrutturazioni (gallerie e ponti, ferroviari e stradali).
E’ opinione condivisa che il patrimonio storico architettonico diffuso costituisca una risorsa da difendere e da valorizzare; non è invece consolidata la consapevolezza che il valore di questo patrimonio sia legato ad un equilibrio che rende possibile la contemporanea presenza dell’oggetto storico ed il contesto attuale e che la rottura di esso porti necessariamente alla perdita del patrimonio. Il valore, in termini di spendibilità, di questo patrimonio è quindi solo in parte assoluto, ma è sostanzialmente relazionale. La tutela e la valorizzazione debbono essere pertanto necessariamente contestualizzati: i concetti di compatibilità dell’uso e di sostenibilità del processo di trasformazione diventano centrali.
Oggi, laddove la spinta espansiva è ridotta ed il mercato edilizio è più guidato da spinte di rilocalizzazione insediativa e di riorganizzazione della struttura sociale, piuttosto che da primari fabbisogni, il recupero del patrimonio storico con il suo valore relazionale può rappresentare un obiettivo realistico se perseguito in coerenza con l’insieme delle politiche insediative.
Per questo motivo non è condivisibile una gestione dei centri storici separata dalla strumentazione urbanistica generale, come non è condivisibile una loro pianificazione che ne trascuri la specificità. Il PTCP affida a questo tema un importante ruolo, in quanto individua in esso la possibilità di innescare un percorso virtuoso di tutela e valorizzazione del patrimonio edilizio e del paesaggio storici e di consolidamento dei sistemi territoriali che hanno caratterizzato, ed in parte caratterizzano, tuttora la regione ed il territorio provinciale.
Con il PTCP è stato allestito un consistente repertorio di emergenze storico-architettoniche della provincia di Perugia; si tratta di un lavoro sostanzialmente compendiario ottenuto attraverso la raccolta dei dati di ricerche effettuate nel corso degli ultimi 15 anni in occasione di esperienze di programmazione e pianificazione territoriale elaborate a livello comprensoriale, ma non solo. Si tratta di una raccolta che interessa tipologie edilizie di primaria importanza sia per la storia del territorio e del paesaggio che per la loro attuale immagine. Tale raccolta è costituita da elementi di variegata complessità: dai centri storici delle città ai minuscoli nuclei storici che, isolati, punteggiano le campagne umbre; dai complessi religiosi che hanno costituito la prima forma e la base dell’organizzazione sociale del territorio, alle chiese che ne hanno segnato la storia e tracciato la rete delle relazioni fisiche, dagli insediamenti rurali produttivi e residenziali che testimoniano concretamente il secolare radicamento e la capillare diffusione della mezzadria e rappresentano i nodi periferici del rapporto gerarchico città-campagna, nonché gli elementi terminali della rete infrastrutturale resa efficace con ponti ed altre opere, protetti con fortificazioni e posti di controllo.
Le tipologie indagate sono quindi quelle che con maggiore immediatezza contribuiscono a strutturare in modo sintetico la natura e il processo di trasformazione storica del territorio e, nel contempo, ne rappresentano la ricchezza. La selezione delle tipologie è stata operata con riferi-mento alla scala territoriale provinciale. Questi elementi relazionati al sistema viario storico diffuso (recepito dal PTCP sulla scorta di una impegnativa elaborazione della viabilità storica -§ A.3.3.), costituiscono una rete che permette di leggere ed interpretare le vicende del territorio prefigurando, con il riconoscimento di tale sistema di relazioni, nuove condizioni di tutela e riuso dei beni interessati.
Ricadute territoriali ed operative.
La finalità del repertorio delle emergenze storico-architettoniche consiste nella sistematizzazione delle conoscenze fin qui acquisite al fine di orientare su questi temi la pianificazione comunale ed in particolare quella dei comuni di piccole dimensioni e con limitate risorse tecniche e finanziarie.
Vengono pertanto messi a punto gli elementi per definire ulteriormente alla scala comunale la dimensione e la qualità del patrimonio, oltre che le potenzialità d’uso riconoscendone un valore comunque identificativo nella definizione degli assetti insediativi e paesaggistici di quel Comune.
Il PTCP definisce una scheda che dovrà essere completata in fase di formazione dei PRG e che per ogni tipologia di bene è articolata in una serie di descrizioni che, oltre a fornire le coordinate storiche e funzionali dell’oggetto, descrivono anche il contesto in cui esso si trova, ne indicano le condizioni manutentive, l’attuale uso nonché lo stato di diritto che il PRG attribuisce al bene ecc. e sia come stato di diritto, vale a dire l’attesa di conservazione/trasformazione che il PRG in vigore attribuisce allo stesso. Con questa particolare lettura viene evidenziata l’eventuale condizione di rischio riferita ad una non opportuna destinazione urbanistica. Va inoltre senz’altro evidenziato come la necessità di una continua attività di implementazione ed aggiornamento del repertorio non sia una mera dichiarazione d’intenti, ma una realtà concreta e già in atto. Il ruolo di raccordo e coordinamento tra le attività dei Comuni e delle Comunità Montane esercitato dal Piano Provinciale consente di sviluppare programmi concordati su temi di comune interesse per realizzare approfondimenti tematici, o verifiche qualitative e per sperimentare forme di coordinamento e copianificazione. A tale proposito, va ricordato il recepimento degli approfondimenti per le aree delle Comunità Montane dell’Alto Tevere e dell’Eugubino Gualdese, nell’ambito di progetti propedeutici al Patto Territoriale per l’Appennino Centrale, finanziati con l’obiettivo comunitario 5b. Va infine ricordata l’avvenuta verifica della congruità del repertorio del PTCP con gli elenchi di emergenze storico-architettoniche collegate ai siti benedettini descritti dal PUT alla tav.28.
Indirizzi normativi
Il PTCP ha voluto raccogliere nell’unica categoria “ centri e nuclei storici” l’insieme degli insediamenti il cui tessuto urbano è caratterizzato da forme tipiche dell’agglomerato antico e ne conserva significativi manufatti. Tale semplificazione, che non nasconde l’evidente diversità tra il centro storico di una città moderna e l’aggregato rurale oggi abbandonato o semi abitato, vuole in primo luogo evidenziare la attuale centralità del tema degli insediamenti storici e dell’intero patrimonio edilizio-urbanistico storico negli indirizzi del PTCP: il problema del recupero, cui si è dato un grande spazio in questi ultimi anni soprattutto in rapporto alle politiche di edilizia sociale pubblica, diviene nel PTCP un tema a scala territoriale nel quale sono coinvolte, oltre alle problematiche dell’espansione insediativa, le questioni del rafforzamento degli assetti insediativi nelle zone a bassa densità e forte rarefazione, quelle della valorizzazione, in senso anche produttivo, del ricco patrimonio ambientale di cui quello edilizio-urbanistico è parte significativa. I centri ed i nuclei storici vengono così riconosciuti come elementi strutturali del territorio provinciale capaci di fornire una risposta al nuovo fabbisogno insediativo che potrà prendere corpo a seguito delle politiche di incentivazione urbanistica, tributaria e fiscale innescate. Ciò presuppone un’attenzione che non può prescindere dall’assegnare ai centri e nuclei storici, siano essi attualmente in area urbana o in area extraurbana, la classificazione di zona omogenea A ai sensi del DM.2 aprile 1968. La disciplina di tali zone dovrà essere elaborata pertanto contestualmente alla formazione del PRG ed in coerenza con le scelte individuate per le altre zone omogenee; tale classificazione potrà garantire infatti, oltre ad una attenta qualità della progettazione sia ai fini manutentivi che a quelli trasformativi, anche la gamma delle destinazioni d’uso compatibili che sono la condizione di vita per un tessuto urbano.
La serie delle altre emergenze raccolte nel repertorio rappresenta situazioni singolari, sia pure di diversa complessità, che caratterizzano in modo assoluto il territorio in cui sono collocate: esse costituiscono una chiave interpretativa di quell’ambito territoriale e, insieme alla viabilità storica da cui sono messe in rete, rappresentano i nodi del sistema paesaggistico storico che, in quanto tale, va tutelato in sede di PRG; al di là di possibili riusi funzionali di queste strutture (che, direttamente rapportati alle tipologie -§ A.7.1.-, alle dimensioni ed agli usi originari, quando compatibili, vanno senz’altro consentiti) quindi, sarà necessario individuare in sede di PRG un ambito di rispetto che esalti sia la nodalità che la rete.
Il processo di redazione del PTCP e la collaborazione che con esso si è sviluppata tra la Soprintendenza Archeologica dell’Umbria e la Provincia di Perugia, ha costituito l’occasione per aggiornare una raccolta di documentazione già elaborata nel 1985 dalla Soprintendenza stessa e di sistematizzare i dati collegandoli alla base cartografica informatizzata del Piano, e rendendoli di fatto utilizzabili ai fini della pianificazione e della tutela.
Le informazioni sintetiche hanno dato luogo ad una classificazione fondata sul tipo di conoscenza fornita da esse rispetto alla definizione territoriale del bene trattato; esse hanno così formato un database relazionale collegato ad una duplice copertura GIS con cui sono state distinte le “aree” archeologiche dai “siti” ed ambedue le categorie sono state strutturate all’interno della classificazione sopra richiamata; si tratta di un gruppo di 1369 unità articolate in sette classi e rapportati ad una cartografia al 25.000.
Il PTCP individua e trasferisce ai Comuni gli elementi orientativi e i criteri valutativi per una ordinata pianificazione e gestione delle trasformazioni territoriali nelle aree ad alto valore archeologico.
L’obiettivo prioritario del PTCP di pianificazione di tali beni è rapportato all’azione della Soprintendenza Archeologica il cui fine è la tutela dei beni di competenza per garantirne la conservazione, lo sviluppo della ricerca scientifica, ed infine la valorizzazione.
I beni archeologici sono stati intesi, fin dalla legge del 1939, come oggetto definito, sostanzialmente unico e per di più tale solo quando il suo interesse fosse “particolarmente importante”. La finalità primaria della conservazione, assieme alle difficili condizioni di emergenza in cui sovente si trova a svolgersi l’azione di tutela, ha portato spesso a circoscrivere ancora di più il bene identificandolo come “cosa” ed a vedere l’oggetto da tutelare in forma del tutto separata dai processi di trasformazione territoriale che attorno ad esso vengono messi in atto.
Con la legge 431/85 si è fatto un significativo passo avanti riconoscendo i beni archeologici come un sistema di aree, valorizzando così la relazione inscindibile tra il bene ed il contesto.
Il tema archeologico richiede un supporto tecnico scientifico di elevato grado di specializzazione già nella fase di primo approccio sul territorio. Va rilevato, infatti, che quel livello di presidio sociale esercitato da vari soggetti in modo informale e spontaneo sul patrimonio storico artistico, difficilmente si può esprimere nell’ambito della tutela archeologica in assenza di una diffusa e approfondita campagna conoscitiva.
E’ su questa peculiarità che sorgono situazioni di conflitto tra Enti o privati che operano sul territorio e la Soprintendenza Archeologica che ha il compito istituzionale della tutela dei beni ritenuti a rischio: da qui la diffusa opinione del “rischio archeologico” come fattore imprevedibile che può bloccare in qualsiasi momento un processo di trasformazione territoriale; un “rischio” letto come soggettivo, o incidente per l’impresa, o per il processo di sviluppo innescato, piuttosto che danno oggettivo per la conservazione di un elemento del patrimonio culturale e storico.
Su queste considerazioni è cresciuta la convinzione che una efficace azione di tutela delle testimonianze archeologiche è possibile non tanto con interventi a valle, ma soprattutto operando in fase preventiva, nel momento in cui si definiscono gli assetti territoriali ed in stretto contatto con gli enti che tali trasformazioni governano.
Le ricadute territoriali
Nel Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale il tema archeologico rivendica due azioni, diverse, ma complementari:
- salvaguardare il bene archeologico per garantire il processo conoscitivo ed interpretativo della storia del territorio;
- assegnare al bene archeologico un ruolo di fattore di sviluppo complessivo del territorio, togliendolo dalla condizione di ostacolo ad un processo comunque positivo.
Se la prima azione parte dall’aver posto il bene archeologico in un sistema interdisciplinare (storia del territorio) che quindi ne amplifica il valore svincolando il reperto dalla sua effettiva e singolare importanza, la seconda azione può attuarsi solamente impostando in termini innovativi il problema del rischio archeologico: vale a dire, togliendolo dalla mera dimensione del controllo edilizio (che pur sempre dovrà rimanere, ma in forma ridimensionata al controllo dell’eventuale eccezionalità) e portandolo a quella urbanistica della indagine preventiva rispetto alla pianificazione attuativa ed, ancor più avanti, a quella territoriale della pianificazione d’area vasta, con la definizione di alcune regole procedurali per la formazione dei PRG.
Il lavoro impostato con la Soprintendenza, a partire dai contenuti sopra indicati, fornisce un quadro di conoscenze approfondito e da aggiornare costantemente insieme a elementi di indirizzo normativo specifici per la pianificazione comunale (piani strutturali) e, nei casi in cui ciò risulterà necessario, indicazioni cogenti alle quali i Comuni dovranno strettamente attenersi.
Ciò assolve al primo compito assunto, di strumento di tutela e gestione del bene archeologico di immediata utilità per chi opera sul territorio.
Inoltre, il tema archeologico, pur nelle sue particolarità, si unisce agli altri temi che partecipano alla costruzione del sistema territorio, arricchisce sia il processo di pianificazione, che quello di tutela, e comporta l’introduzione di un ulteriore livello, rispetto a quelli tradizionali, di lettura-interpretazione dei fenomeni territoriali.
Pertanto, il dato archeologico può fornire ulteriori elementi di valutazione sull’interpretazione del sistema insediativo storico più recente e del patrimonio storico architettonico, come pure interessanti nessi potranno allacciarsi tra la rete della viabilità storica e l’insieme delle permanenze storiche ed archeologiche. Significative considerazioni potranno ancora essere stimolate dall’incrocio dei dati archeologici con i vari usi del suolo, sia esso urbano che agricolo, per far emergere il livello di sensibilità del territorio ed il rischio che il patrimonio corre; e da queste considerazioni seguiranno ipotesi di assetto insediativo compatibili.
Se il modello di riferimento proviene naturalmente dalla fondamentale esperienza di Modena, la presente impostazione della problematica connessa al tema archeologico ha una sua peculiarità in quanto propone un raccordo immediato tra tutela e gestione, basato sul livello attuale di conoscenze che dovrà essere aggiornato anche in funzione di un processo di autoalimentazione, ma che, fin da subito, possiede un valore operativo e può rappresentare un modello di approccio praticabile anche per quelle realtà ove l’azione di tutela non si fonda su livelli avanzatissimi di indagine ed elaborazione.
Indirizzi normativi
Il PTCP ha individuato le seguenti tipologie di presenze archeologiche:
-aree archeologiche definite vincolate ai sensi del Dlgs.490/99 (rappresentazione definita graficamente alla scala 1:25.000 ma con dettaglio in termini fondiari)
-aree archeologiche definite perimetrate dal PTCP e non ancora soggette al vincolo di cui alla lettera m) art.146 Dlgs,490/99 (rappresentazione definita graficamente alla scala 1:25.000)
-presenza di elementi e indizi archeologici di varia natura e precisione che ancora non consentono di definire una perimetrazione.
Le aree definite vincolate costituiscono luoghi di concentrazione della qualità del territorio e come tali richiedono un atteggiamento che veda nella conservazione e manutenzione un momento essenziale e prioritario rispetto a qualsiasi altra possibilità d’uso. Esse sono le aree oggetto di tutela archeologica ai sensi degli articoli 2, 49 e 146 del Dlgs. 490/99
Di seguito sono riportate alcune regole per la pianificazione e gestione di tali beni:
Nelle aree sottoposte a tutela ai sensi degli artt.2 e 49 del Dlgs.490/99 (ex lege 1089/ 39) gli interventi sono soggetti a specifica autorizzazione della Soprintendenza Archeologica per l’Umbria.
In tali aree, le prescrizioni di carattere generale sono le seguenti:
1. Nelle aree dichiarate di interesse archeologico particolarmente importante (vincolo diretto) sono da prevedere solo opere di manutenzione del patrimonio edilizio esistente e opere finalizzate alla valorizzazione e fruizione delle presenze archeologiche sottoposte a tutela. I lavori per la conduzione agricola dei terreni non devono venire ad interessare le stratigrafie archeologiche ancora intatte. Non è consentito pertanto procedere ad arature profonde con mezzi meccanici o ad opere di movimento terra o terrazzamento dei suoli.
2. Nelle aree vincolate ai sensi dell’art. 49 del Dlgs.490/99- ex art.21 della legge 1089/1939 (vincolo indiretto)- le opere da prevedere devono rispondere alle prescrizioni specificate nel decreto di vincolo e più in generale devono essere indirizzate all’obiettivo di salvaguardare la prospettiva, la luce e le condizioni di ambiente e di decoro del bene archeologico oggetto di tutela, nonché la possibilità di fruirlo nel suo inscindibile rapporto con la morfologia del territorio.
B. Nelle aree di interesse archeologico sottoposte a tutela ai sensi della lett. m) art. 146 del Dlgs.490/99, le opere da prevedere devono essere indirizzate all’obiettivo di salvaguardare e valorizzare il patrimonio archeologico sottoposto a tutela mirando ad inserirlo, quando lo stato di conservazione dei luoghi lo consenta, in una pianificazione di valorizzazione ambientale che vede proprio nel valore culturale del bene tutelato l’occasione e il mezzo di una comprensione del valore oggettivo del territorio espresso attraverso il suo uso diacronico; il tutto in coerenza con le indicazioni specifiche contenute nelle schede relative ai siti tutelati ed allegate.
La compatibilità con il bene oggetto di tutela dei progetti di trasformazione che interessino il sottosuolo e/o che modifichino lo stato dei luoghi, sarà valutata dalla Soprintendenza Archeologica per l’Umbria sulla base degli esiti di indagini preliminari di tipo archeologico che devono costituire parte integrante dei progetti stessi.
Per quanto riguarda le are sottoposte a tutela ai sensi della lettera m), art.146 del Dlgs.490/99, si riportano di seguito le indicazioni relative agli interventi consentiti ed agli usi compatibili:
• GUBBIO, loc. Vittorina (D.G.R. 5 maggio 1987, n. 2897)
L’area sottoposta a tutela corrisponde al sito di una delle principali necropoli dell’antica Gubbio, sviluppatasi in relazione ad un importante asse viario antico. Tenuto conto che l’area di interesse archeologico si raccorda e in parte si sovrappone con un’area di notevole interesse ambientale tutelata con D.M. 6 aprile 1956, si evidenzia come gli interventi nell’area devono essere mirati alla rigorosa salvaguardia dello stato dei luoghi, pianificando la valorizzazione degli aspetti ambientali e archeologici attraverso la qualificazione dell’asse viario antico e la conservazione della sua connotazione extraurbana esplicitata dalla necropoli che si sviluppa in rapporto ad esso. Gli interventi di pianificazione devono quindi prevedere la manutenzione e il recupero della vegetazione d’alto fusto esistente, specialmente in quanto elemento che sottolinea il tracciato antico, mantenere la percezione della continuità del tracciato, limitare gli interventi edilizi alla sola manutenzione del patrimonio esistente con disposizioni atte ad armonizzare, attraverso l’impiego di materiali naturali, l’aspetto esterno degli edifici ai valori di pregio dell’ambiente circostante. Dovrà essere valutata la possibilità di operazioni di ripristino e restauro ambientale attraverso l’abbattimento di manufatti recenti o degradati o di superfetazioni e la trasposizione in condotta a terra dei servizi aerei.
La destinazione dell’area, considerati i caratteri di pregio sottoposti a tutela, deve necessariamente essere indirizzata verso un uso pubblico di parco culturale, valutando la possibilità di integrare con aree a verde pubblico la fascia di 20 ml ai lati della strada che rappresenta attualmente il limite della zona sottoposta a tutela.
Considerata la presenza della necropoli antica deve essere evitata la realizzazione di infrastrutture che intervengano nel sottosuolo archeologico.
Dal momento che la necropoli rappresenta un elemento determinante per l’esplicitazione del valore culturale dell’area, sulla base dei dati archeologici disponibili deve essere valutata la possibilità di mantenere in vista settori della necropoli esplorata, o in alternativa, di prevedere almeno allestimenti di tipo didattico e illustrativo che consentano comunque di percepirne la presenza.
• PANICALE, loc. Monte Solare ( D.G.R. 8634 del 5 novembre 1992)
Il Monte Solare è stato riconosciuto sede di un insediamento databile alla tarda età del bronzo, esteso su tutti i pendii della montagna anche a quote molto basse. L’importanza del sito è data principalmente dall’ampiezza dell’area interessata dai resti antichi e dal fatto che l’insediamento è fortunosamente arrivato sino a noi pressoché integro nei suoi elementi essenziali, protetto probabilmente dalla forte coltre vegetale, dovuta alle vicende geologiche e pedologiche del Monte Solare che hanno garantito una notevole stabilità dei pendii. Inoltre, il sito archeologico, per tipologia, cronologia e caratteristiche di conservazione, ha caratteri di unicità nel bacino del Trasimeno e assume quindi un valore culturale di assoluto interesse.
Recenti lavori di rimboschimento hanno evidenziato che tali interventi non sono compatibili con le presenze archeologiche ivi presenti. La pianificazione dell’area deve quindi porsi l’obiettivo di rigorosa salvaguardia del rapporto di inscindibile simbiosi tra le caratteristiche di valore panoramico- ambientale del monte e le testimonianze archeologiche che proprio la struttura geopedologica e morfologica del monte ha contribuito a conservare.
L’obiettivo di conservazione deve ovviamente unirsi a quello di valorizzazione dell’eccezionale contesto archeologico, mentre la necessità di manutenzione dell’equilibrio ambientale esistente consente solo la destinazione a pascolo dei terreni, con adeguata rotazione nello sfruttamento, onde permettere la giusta ricrescita di quella coltre vegetativa che ha rappresentato nel tempo la migliore protezione delle strutture archeologiche.
Gli interventi di pianificazione devono quindi prevedere da un lato la destinazione a parco archeologico dell’intera montagna, vista come insieme unico ed inscindibile, e la costruzione intorno ad essa di una fascia “propedeutica” all’area tutelata vera e propria che evidenzi attraverso una accorta valorizzazione ambientale i percorsi storici che collegano la montagna con le realtà territoriali circostanti, consentendo al visitatore di comprendere e di percepire fisicamente la determinante funzione territoriale dell’insediamento.
• PIEGARO, loc. Monte Città di Fallera ( D.G.R. 5807 del 10 settembre 1993)
L’altura di Monte Città di Fallera, insieme alla adiacente altura a quota 640 m s.l.m., è interessata da due insediamenti umbri di età preromana, la cui importanza è stata evidenziata dagli scavi condotti nel sito da Umberto Calzoni nel 1925.
Come specificato nel documento istruttorio, l’atto di tutela mira a garantire la conservazione della morfologia del suolo, essenziale per una corretta interpretazione storico-archeologica delle strutture accertate ancora “in situ” e di quelle che potrebbero ragionevolmente emergere nell’ambito della zona di presumibile urbanizzazione e della quale i due recinti d’altura sarebbero emergenze con funzioni specialistiche.
La destinazione dell’area sottoposta a tutela deve quindi essere quella del parco culturale a valenza archeologica territoriale, mirando a costruire intorno ad esso una fascia che armonizzi l’area tutelata con le destinazioni territoriali circostanti e attraverso una accorta valorizzazione ambientale consenta al visitatore di comprendere e di percepire fisicamente la determinante funzione territoriale dell’insediamento.
• CITTÀ’ DI CASTELLO, loc. Castelvecchio ( D.G.R. 8708 del 6 dicembre 1996)
La collina di Castelvecchio nel comune di Città di Castello è occupata da un insediamento di altura fortificato di età preromana. La qualità ambientale del sito, insieme alla vicina altura di Ghironzo, è inoltre stata acclarata e sottoposta a tutela con D.G.R. 8 aprile 1998, n. 1816, ai sensi dell’art. 2 della legge 1497 del 29 giugno 1939. Come evidenziato dal documento istruttorio al D.G.R. 8708 del 6 dicembre 1996, la tutela ai sensi della lettera m) art. 1 della legge 431/1985 è motivata dall’indiscutibile interesse archeologico-paesistico
dell’altura di Castelvecchio, determinato dall’inscindibile rapporto di consonanza e simbiosi tra morfologia dei luoghi e tipologia dell’insediamento e delle presenze storico - archeologiche, oltre che dall’eccezionale panoramicità del sito insita nella natura tipologica degli insediamenti storici e protostoricid’altura.
La destinazione dell’area deve quindi essere indirizzata alla rigorosa manutenzione delle qualità ambientali dell’area, che rappresentano i presupposti per la piena fruibilità delle testimonianze archeologiche. Tale manutenzione deve peraltro comprendere il controllo della crescita della vegetazione in maniera tale da consentire il perdurare di quelle condizioni di leggibilità delle presenze archeologiche realizzate in positivo (doppio aggere) e in negativo (vallo) molto evidenti nelle riprese aerofotografiche.
Gli interventi di pianificazione devono quindi prevedere da un lato la destinazione a parco culturaleterritoriale del complesso delle due alture, viste come insieme unico ed inscindibile di uso diacronico del territorio, e dell’altro la costruzione intorno ad essa di una fascia “propedeutica” al parco vero e proprio che evidenzi attraverso una accorta valorizzazione ambientale i percorsi storici che ricollegano l’area alle realtà territoriali circostanti, consentendo al visitatore di comprendere e di percepire fisicamente la funzione di controllo territoriale che le due alture hanno espletato in maniera determinante nel corso del tempo.
• PERUGIA, capoluogo e dintorni ( D.G.R. 5107 del 4 agosto 1993 e D.G.R. 5847 del 6 agosto 1996)
La dichiarazione della specificità archeologica di aree del territorio comunale di Perugia, avvenuta sulla base di una ricognizione dei dati archeologici disponibili e dello stato dei luoghi effettuata dalla Soprintendenza Archeologica per l’Umbria, si propone di rendere possibile una attenta tutela e vigilanza nelle zone individuate, ed azioni tese alla conservazione di quei beni già in evidenza per i quali è altresì necessario prevedere anche un intorno di rispetto e d’ambientazione nello spirito della legge 431/85.
Tenuto conto della frammentazione delle aree individuate, della diversità delle situazioni ambientali in cui esse si inseriscono e del diverso grado di definizione di conoscenza delle realtà archeologiche che si è inteso tutelare, è indispensabile che i progetti di pianificazione urbanistica delle aree sottoposte a tutela siano preceduti da un approfondimento di indagine territoriale.
Occorre infatti stabilire e distinguere, tenuto conto delle indicazioni espresse dalla Soprintendenza Archeologica con la nota 5 maggio 1995 prot. n. 4291, in quali aree sono presenti strutture archeologiche o sono raccolti o reimpiegati materiali antichi e per quali aree invece, l’interesse derivi solo da notizie di rinvenimenti, senza conferma per ora della presenza posto.
Infatti, come previsto dagli atti di tutela, nel primo caso occorre individuare quali destinazioni rispondano all’obiettivo della conservazione dei beni già in evidenza, prevedendone altresì anche un intorno di rispetto e d’ambientazione nello spirito della legge 431/85, nel secondo caso le destinazioni devono comunque rispondere alla necessità di una attenta tutela e vigilanza preliminare, per evitare interventi incompatibili con eventuali presenze archeologiche non ancora pienamente definite nella loro collocazione. A questo fine i progetti attuativi dovranno essere corredati da indagine archeologica sistematica di dettaglio, atta a definire l’esatta distribuzione e natura delle presenze archeologiche nel sottosuolo.
• MONTELEONE DI SPOLETO, POGGIODOMO E CASCIA, località Monte Pizzoro, Colle del Capitano, Monte Femasino, Casale Femaso e Forchetta di Usigni ( D.G.R. 4825 del 22 luglio 1997)
L’area comprendente le località Monte Pizzoro, Colle del Capitano, Monte Femasino, Casale Femaso e Forchetta di Usigni costituisce un sistema insediativo antico, in sé compiuto ed omogeneo, che comprende in sequenza logica e funzionale l’insediamento preromano di Monte Pizzoro, con la necropoli di Colle del Capitano, proiettato, attraverso una serie di quattro castellieri e di altre presenze insediative, allo sfruttamento delle più immediate risorse silvopastorali e soprattutto al controllo di una serie di importanti assi di percorso naturali.
Come esplicitato nel documento istruttorio dell’atto di tutela, al fine di garantire la salvaguardia delle presenze archeologiche e della valenza archeologica della morfologia dei luoghi, nonché garantire per il futuro la possibilità di adeguata percezione visiva, sono stati posti i seguenti criteri e norme cautelari:
- divieto di interventi di movimento terra, sbancamenti e terrazzamenti anche di entità limitata;
- divieto di apertura di cave e di prosecuzione dell’attività estrattiva nelle cave in atto esistenti;
- divieto di trasformazioni agrarie con impianto di colture diverse da quelle tradizionali;
- divieto di esecuzione di arature profonde che possano raggiungere la stratigrafia archeologica non disturbata;
- divieto di opere di forestazione e di colture a carattere non stagionale che alterino la possibilità di percezione visiva dell’andamento plano-altimetrico del terreno;
- divieto di attraversamento di servizi su linea aerea e tralicci; i servizi in condotta possono essere realizzati, purché secondo progetto e tracciato autorizzato secondo le indicazioni di carattere generale sopra riportate per le aree tutelate ai sensi della lettera m) art. 1 L.431/85;
- i lavori edilizi devono essere limitati alla manutenzione e restauro degli immobili esistenti, con divieto di aumenti di volumetria e di costruzione di nuovi edifici o strutture anche a destinazione non abitativa;
- divieto di installazione di ripetitori di segnali radio o di attrezzature similari;
- divieto di realizzare recinzioni continue che impediscano la percezione visiva della conformazione del terreno e dell’articolazione dei campi;
- divieto di rimuovere ed asportare, anche parzialmente, gli accumuli di pietrame che marginano gli appezzamenti di terreno;
- divieto di realizzare nuove strade, anche di carattere privato, e di realizzare pavimentazioni bituminose tradizionali sulle strade esistenti;
- le eventuali opere di regimazione delle acque che si debbano rendere necessarie per garantire la stabilità dei versanti montani devono essere autorizzate secondo le indicazioni di carattere generale sopra riportate per le aree tutelate ai sensi della lettera m) art. 1 L. 431/85;
- i lavori di manutenzione del patrimonio boschivo esistente non devono prevedere la sostituzione degli alberi eventualmente seccati e non devono aumentare o infittire la copertura esistente.
La destinazione dell’area tutelata può essere quella del mantenimento dell’attuale uso agrario e di pascolo del suolo, ferme restando le norme cautelari sopraelencate, specificate dall’atto di tutela integrata con usi compatibili rivolti soprattutto all’escursionismo ed al turismo culturale in grado di valorizzare le potenzialità ambientali. Attraverso la promozione di tali usi saranno possibili interventi di riqualificazione e restauro ambientale, necessari per la presenza di detrattori risalenti al periodo precedente all’apposizione della tutela ed, in particolare, l’eliminazione di alcune recenti costruzioni che disturbano gravemente lo stato dei luoghi, o almeno all’attenuazione del loro impatto visivo.
Al fine di consentire la percezione del valore culturale della porzione di territorio tutelata dovranno essere accortamente ripristinati i percorsi che collegavano le diverse emergenze monumentali in modo da recuperare il rapporto funzionale che le legava e che rappresenta la testimonianza più evidente del significato strutturale dell’insieme degli insediamenti.
Analogamente dovranno essere dismesse le aree di cava attualmente esistenti e sarà necessario progettare il ripristino ambientale delle aree interessate. Parimenti occorrerà recedere da interventi di forestazione (impianto di pini) realizzati al di sopra di emergenze monumentali provvedendo progressivamente a ridurre la presenza del bosco per contemperarla con l’esigenza di tutela del castelliere ivi esistente.
• Terni, Acquasparta (TR), MASSA MARTANA (PG), via Flaminia antica (D.G.R. 4826 del 22 luglio 1997)
La tutela dell’asse di percorso storico rappresentato dalla via Flaminia rappresenta, insieme all’asse fluviale del Tevere, il mantenimento del principale asse strutturale del territorio umbro.
Il documento istruttorio dell’atto di tutela specifica che dovranno ritenersi applicabili anche le forme di 1992, n. 9 ed in particolare dall’art. 10 nella parte che dispone il divieto di qualsiasi intervento sulla viabilità “riconosciuta di interesse storico- ambientale dalle vigenti leggi in materia” fatta salva la manutenzione dello stato attuale.
Precisa quindi che dovranno essere conservate e, se mai, reintegrate le siepi e le alberature esistenti e le opere tradizionali, murarie e non, delimitanti e caratterizzanti i margini viari. Obiettivo dell’atto di tutela è quindi da un lato la salvaguardia del significato culturale degli elementi territoriali ancora esistenti, dall’altro il loro specifico restauro inteso come restauro ambientale.
Inoltre, accanto alla valorizzazione, qualificazione e restauro ambientale del tratto attualmente sottoposto a tutela e delle aree archeologiche monumentali ad esso collegate, occorre necessariamente rafforzare la salvaguardia del significato culturale del percorso attraverso, in primo luogo, il collegamento con i tratti ancora non tutelati e il raccordo, in termini di possibilità di percezione fisica e culturale, con i percorsi che sulla via Flaminia si innestano e, quindi, con gli insediamenti di più immediato riferimento. Anche tale obiettivo recepisce peraltro, dilatandole nel territorio, le disposizioni della già richiamata legge regionale 2 giugno 1992 n. 9 per quanto attiene le disposizioni in tema di tutela della viabilità minore d’interesse storico-ambientale.
La destinazione dell’area sottoposta a tutela deve pertanto essere fortemente connotata in senso culturale, individuando nel percorso l’asse portante per strutturale. Intorno ad essa occorre articolare una fascia territoriale di armonizzazione al parco vero e proprio che evidenzi, attraverso una accorta valorizzazione ambientale, le realtà territoriali a valenza culturale ad esso collegate, consentendo al visitatore di comprendere e di percepire fisicamente la determinante funzione strutturale dell’asse territoriale.
Tutte le aree definite vincolate sono disciplinate nel comma 10, art. 39 dei “Criteri, indirizzi e direttive generali del PTCP”.
Aree definite e non vincolate. Sono le aree che pur adeguatamente conosciute e studiate non sono ancora sottoposte a vincolo, ma che il PTCP ritiene costituiscano luoghi di particolare interesse ai fini della tutela del patrimonio archeologico.
Per queste aree il PRG dovrà considerare la loro condizione nel prevedere il proprio assetto territoriale ed in caso di previsioni insediative o di infrastrutture su dette aree garantirà la tutela del bene verificando, anche preventivamente, la sua valorizzazione all’interno dell’intervento.
In particolare la Normativa del PRG potrà prevedere, ai fini di un permanente controllo in senso archeologico delle trasformazioni del territorio e per tutti gli interventi che comportano scavi o sbancamenti, che venga data tempestiva comunicazione alla soprintendenza Archeologica dell’Umbria per eventuali sopralluoghi e per l’aggiornamento del quadro conoscitivo del territorio.
Per particolari situazioni inoltre, il PRG potrà prevedere la necessità che il progetto esecutivo di interventi edilizi o di opere pubbliche sia accompagnato da studi e da indagini archeologiche dirette, a cura del soggetto attuatore dell’intervento, svolte con la supervisione scientifica della Soprintendenza.
Presenza di elementi e indizi architettonici, per la sua natura e per la variegata provenienza delle informazioni, fornisce al tempo stesso il quadro dei possibili e necessari programmi di studio ed approfondimento disciplinare ed evidenzia le aree potenzialmente a rischio in caso di trasformazione urbanistica e territoriale.
Su questi ambiti è necessario, fin dalla fase di elaborazione dello strumento urbanistico previsionale, assumere l’obiettivo di individuare i limiti dei siti indiziati orientando di conseguenza anche la scelta delle aree da destinare alla trasformazione o all’edificazione. Parimenti, la validità di tali scelte dovrà essere sottoposta ed oggetto della verifica di compatibilità con la pianificazione d’area vasta, che si avvarrà anche del parere della Soprintendenza competente.
In questo ambito si verificherà parimenti il raggiungimento dell’obiettivo di individuare i limiti dei siti indiziati, ovvero la necessità di rinviare al momento dell’organizzazione del processo di trasformazione con il piano attuativo e preliminarmente ad esso, la definizione del perimetro delle zone con presenza di resti archeologici da tutelare.
Una volta definite le aree di interesse archeologico qualsiasi intervento significativo in tale ambito sarà subordinato, come sopra detto, ad un piano attuativo, costruito anche sulla base di indagini archeologiche dirette preliminari, da eseguirsi sotto la direzione scientifica della Soprintendenza Archeologica.
Tali indagini sono finalizzate ad orientare la progettazione planivolumetrica e soprattutto a valutare in anticipo la presenza di elementi ostativi di natura archeologica all’edificabilità dell’area e quindi hanno scopo, attraverso una verifica puntuale che preveda prospezioni archeologiche geofisiche e/o meccaniche, saggi di accertamento stratigrafico ed altro, di identificare e distinguere, nell’ambito dell’area oggetto di Piano Attuativo, il sedime degli edifici da costruire e le aree in cui deve invece essere esclusa l’edificazione. Le indagini, eseguite da personale specializzato, fanno parte del progetto planivolumetrico.
Il PTCP ha rivolto una particolare attenzione al tema della viabilità storica nella sua duplice valenza di risorsa fisica del territorio, con la sua dotazione di opere d’arte sui punti eccezionali del suo percorso, ed insieme di strumento di connessione fra i centri del territorio e chiave di lettura dello spazio da questi costruito.
Nella dimensione di piano d’area vasta, il secondo aspetto, quale chiave per una lettura della struttura del paesaggio e della organizzazione spaziale del territorio, necessariamente prevale sul primo.
Sulla base di importanti e noti studi sulla viabilità storica del territorio umbro, è oggi possibile tracciare alcune linee fondamentali che hanno condizionato, nei vari momenti storici, la sua organizzazione spaziale: la grande viabilità preromana e romana, come la Via Amerina prima (sull’asse Veio, Amelia, Todi, Bettona, Perugia, Chiusi) e la Flaminia poi, con le sue varianti tra Narni e Foligno, prima lungo la Valle del Torrente Naia con Carsulae, Massa Martana (Vicus Martis) ed il versante occidentale dei Monti Martani e dopo sul versante opposto, passando per Spoleto ed il Clitunno, ove si sono sviluppati i grandi percorsi di attraversamento nord-sud lungo le valli principali.
Il sistema stellare delle reti locali che si sono sviluppate nel periodo seguente, con l’affermarsi delle autonomie comunali dei secoli XIII e XIV, è l’altra tappa della costruzione della struttura viaria provinciale: una rete fortemente gerarchizzata che vede un fuoco principale nella città che governa il contado, una serie di fuochi secondari nei centri di difesa, controllo e presidio del territorio, punti terminali diffusi che rappresentano gli agganci alla proprietà ed all’uso del suolo; una rete totalmente rivolta all’interno di un ambito locale oggetto di riconquista all’uso produttivo, in concomitanza dell’espansione demografica delle città e dell’affermazione delle prime forme di rapporto gerarchico-funzionale tra città e campagna che presto assumerà le forme storiche della mezzadria: una rete che segna il possesso capillare del territorio ed una trasformazione in senso antropico dell’ambiente naturale.
Ancora un elemento di novità nel disegno delle direttrici territoriali viene in epoca moderna con lo sviluppo dei collegamenti all’interno dello Stato Pontificio tra i porti dell’Adriatico e quelli del Tirreno: il collegamento tra Ancona ed il nuovo porto di Talamone passa appunto per Foligno, Perugia ed il Lago Trasimeno costeggiando a sud il territorio del granducato e quindi dal XVII secolo l’asse est-ovest diviene un altro, se non il più importante, percorso di collegamento del territorio umbro con l’esterno.
A fronte di questi dati, il PTCP ha voluto avviare, e compiere per la fase iniziale, un lavoro di ricognizione esteso all’intero territorio; un lavoro che, si ritiene, possa avere diversi sviluppi, ma che anche nell’ambito specifico della programmazione e pianificazione territoriale potrà avere importanti ricadute.
Il lavoro si è basato sullo studio della cartografia IGM in scala 1:50.000 e 1:25.000 prodotta nell’ultimo decennio dell’800 ed è consistito nella ripresa della quasi totalità della rete viaria lì rappresentata; l’ipotesi di partenza era che tale viabilità fosse il prodotto storico delle relazioni tra i vari centri esterni ed interni al territorio esaminato ed un esito per successive addizioni, essendo ancora lontana dall’affermarsi la rivoluzione delle modalità di trasporto rappresentata dall’avvento dell’automobile e quindi la conseguente trasformazione della rete stradale.
Da questa ipotesi derivava la assunzione di tutta la viabilità riportata in cartografia, in quanto la sua classificazione funzionale (strade a fondo artificiale con diversi gradi di manutenzione, carrozzabili, mulattiere, sentieri, ecc.) era legata alla situazione del particolare periodo di costruzione della cartografia, ma non diceva nulla sul ruolo che quei percorsi, in altre condizioni e periodi, avevano potuto svolgere.
La carta ottenuta è quindi il repertorio dei tracciati viari esistenti alla fine dell’’800, e confermati dalla attuale cartografia 1:25.000 (IGM) a seguito delle successive verifiche effettuate dall’Ufficio di Piano.
In tale sede questo repertorio ha subito una prima classificazione in rapporto allo stato attuale: sono stati individuati i tratti di viabilità oggi ricompresi nella viabilità statale e provinciale e, sovrapponendo la rete storica agli insediamenti urbani così come rappresentati dalla pianificazione urbanistica comunale, è stata individuata quella parte della viabilità storica che oggi risulterebbe inglobata negli ambiti urbani; è stata così individuata, per differenza, quella parte della viabilità storica, di dimensioni consistenti, che attualmente riveste un ruolo assolutamente locale o addirittura risulta abbandonata, pur essendo una viabilità strettamente correlata alle origini della formazione del disegno territoriale, come appare con evidenza mettendo in relazione questa rete con le emergenze storico-architettoniche.
Ricadute territoriali
Attraverso successivi approfondimenti, che non potranno non essere legati a momenti di collaborazione o copianificazione con Enti ed istituzioni che agiscono nella gestione delle trasformazioni sia territoriali che urbanistiche, sarà possibile approfondire questa analisi aggiornando il repertorio con la reale consistenza di questa rete stradale e sviluppando politiche di riuso e valorizzazione.
Al momento attuale sono in corso programmi comuni con alcune Comunità Montane coinvolte nel Patto Territoriale dell’Appennino Centrale per la verifica di questo stato di consistenza ed i programmi comunitari SETAP, interni all’obbiettivo comunitario 5b, costituiscono l’occasione per sperimentare la copianificazione tra la Provincia e l’insieme delle Comunità Montane che agiscono sul territorio provinciale.
Ma il campo della pianificazione urbanistica comunale sarà la sede in cui maggiormente potranno svilupparsi queste forme di collaborazione e raccordo, poiché la conoscenza ed il reimpiego della viabilità storica riconosciuta ed accertata sono fattori attivi per la valorizzazione della dimensione complessa di un territorio, “punti di vista” privilegiati per comprendere le valenze di uno spazio costruito anche in funzione di essa e per afferrare l’ordine e le linee di forza di una organizzazione territoriale e, quindi, strumenti primari per definire i criteri di una riorganizzazione formale che sia coerente con le permanenze stratificate.
Ciò si potrà esplicare in forma diretta, fornendo esempi e soluzioni, allorché verrà prevista la necessità di nuovi tracciati in ambito extraurbano di servizio o a sostegno di attività per il tempo libero, ovvero in forma indiretta fornendo linee di riferimento, limiti, direzioni di allineamento per qualsiasi intervento a carattere insediativo.
Indirizzi normativi
La viabilità storica minore, vale a dire quella non ricompresa o interessata dalla viabilità strutturale o urbana attuale, costituisce il patrimonio fondamentale per un uso compatibile del territorio in ambito di escursionismo, o attività connesse al tempo libero ed alla fruizione ecologico-ambientale del territorio.
Questa viabilità va tutelata e valorizzata attraverso il suo recupero funzionale a fini ambientali.
Il suo utilizzo, per quanto polivalente, deve garantire il mantenimento delle caratteristiche geometriche e costruttive originali ovvero deve indirizzarsi al ripristino di quelle caratteristiche, se perdute, ma comunque definite.
L’orditura della viabilità storica ha carattere determinante rispetto alla definizione degli allineamenti dei nuovi interventi di trasformazione territoriale, laddove ciò sia consentito; altrove, la sua orditura va tutelata e correttamente valorizzata per la lettura del paesaggio attuale, come indicazione di una persistenza nel paesaggio trasformato.
Nel corso del processo di adeguamento al PUT approvato con lr.27/00 ed, in particolare, nel rispondere alla attribuzione al PTCP della competenza per la localizzazione e la disciplina dei coni visuali da preservare in quanto veicolo di primaria importanza per la formazione e la conservazione dell’“Immagine dell’Umbria”, che è fondata su un particolare rapporto tra naturalità e storia e di per sé risorsa fondamentale della regione stessa, è stato costruito un repertorio di vedute ricavate da fonti che facevano riferimento a diversi generi: alla letteratura (manualistica di viaggio, guide), alla immagine pittorica (pittura e stampe), alla documentazione fotografica ed infine alla stessa normativa vincolistica specifica .
La ricerca ha assunto da subito un prevalente valore esemplificativo e metodologico e, nonostante il significativo numero di vedute indagate (complessivamente 229, di cui 109 descrizioni letterarie) e la rappresentatività delle stesse soprattutto per l’incrocio dei generi di appartenenza e per la varietà delle situazioni rappresentate, non può essere considerata esaustiva per l’intero territorio della provincia.
La scelta è stata quella di procedere, in questa prima esperienza, con la ricerca delle vedute che hanno contribuito alla concettualizzazione dell’Immagine dell’Umbria diffusa e consolidata, nel tentativo di ricostruire il processo di formazione ed il suo sviluppo a oggi introducendo il tempo come soggetto attivo del processo e coautore del paesaggio. In tal modo il tema della “visione di paesaggio” può essere inserito in un ambito più specificamente di pianificazione.
Il primo gruppo di fonti (letteratura di viaggio, guide, ecc.) ha fornito un quadro cospicuo della presenza di viaggiatori in Umbria fin dalle origine dell’età moderna, ma ha anche messo in evidenza come tale frequentazione sia stata limitata, almeno fino alla nostra contemporaneità, a percorsi canonici, marginalizzando di fatto gran parte del territorio della Provincia. Queste descrizioni, che pur nella impossibilità di essere ricondotte ad un punto di vista univoco risultano indubbiamente riferibili ad un ambito territoriale definito, hanno fornito un repertorio di immagini letterarie, d’insieme o puntuali, che ha consentito di rafforzare, specificare o correggere la lettura delle immagini indagate seguendo gli altri generi e pertanto sono state raffrontate alle immagini che descrivono quegli ambiti conseguendo la possibilità di una doppia lettura di quelle. Tra gli altri generi, il secondo ed il terzo, per la loro peculiare natura (stampe, pitture, foto), hanno consentito una ricostruzione del proprio ambito sul territorio, in modo quasi generalizzato (con qualche eccezione per quanto riguarda il materiale derivante da Cipriano Piccolpasso, incisore del XVI sec. Il quarto genere invece, anch’esso come il primo basato sulla parola scritta, ha portato a leggere la motivazione ufficiale della dichiarazione di vincolo alla stregua di un testo letterario, consentendo, alla pari dei generi iconografici, la precisa individuazione della veduta ed ha offerto l’occasione di una importante verifica sulla capacità del vincolo di sostenere la tutela.
Ricadute territoriali ed operative.
Il metodo seguito nell’analisi è basato sulla verifica della permanenza all’oggi dei caratteri paesaggistici riscontrati nella visione originaria e del grado di trasformazione avvenuta; il confronto è anche riscontro del collegamento diretto tra elementi del paesaggio e scelte insediative corrispondenti all’organizzazione della società intesa in senso complessivo. Pertanto risulta facilmente distinguibile la trasformazione coerente o funzionale ad un processo in qualche modo previsto e sostenuto, da quella a questo estraneo.
Nell’affrontare le vedute indagate, è sempre stato tenuto presente l’assunto della veduta mediata dall’immagine rappresentata: ciò ha significato che l’oggetto del riscontro è stato quella “veduta”, con il suo taglio e con gli elementi costitutivi messi in evidenza in varia misura a seconda dei generi trattati. E’ chiaro che, a seconda che si tratti di pittura o ancor più di stampe (con una sintesi a monte fatta dall’artista) ovvero di fotografie (ove la sintesi è rappresentata prevalentemente dal taglio e dall’inquadratura), la valutazione sul grado di trasformazione ad oggi potrà risultare non del tutto omogenea.
Dal punto di vista metodologico uno degli esiti del lavoro è l’individuazione, per ogni visuale rintracciata del grado di modificazione oggi riscontrabile.
Sulla discriminante fondamentale conservazione-trasformazione, sono stati individuate quattro diverse situazioni che caratterizzano la corrispondenza tra l’immagine originale ed il riscontro all’oggi: conservazione, conservazione parziale, trasformazione parziale, trasformazione. Su queste situazioni tipo, i PRG sono chiamati ad organizzare la specifica disciplina.
Un secondo esito del lavoro è dato dalle indicazioni ed indirizzi, di carattere più generale, che possono scaturire dalla analisi ed elaborazione dei caratteri territoriali su gruppi di vedute formati per ambiti o per temi. Questo lavoro di riaggregazione delle vedute esaminate ha consentito infatti di rintracciare alcuni caratteri comuni, espressamente evidenziati dalle singole immagini, spesso in maniera problematica per la loro attuale instabilità conseguente alle modificazioni subite, che segnano in modo particolare quei paesaggi e, quindi, ha portato ad individuare temi e materiali per ulteriori e più specifici indirizzi paesaggistici nei confronti della pianificazione comunale. Anche in questo caso si tratta dell’approfondimento della lettura già fatta dal PTCP per unità di paesaggio, con annotazioni particolari specifiche, anche se riferite ad ambiti di maggiore estensione rispetto alle singole vedute, che implementano la strumentazione a disposizione dei PRG e di chi si occupa di pianificazione e progettazione paesaggistica.
Indirizzi normativi
Sulla preservazione dei coni visuali la discriminante fondamentale conservazione-trasformazione fornisce un riferimento metodologico per la definizione degli indirizzi alla scala territoriale:
1. L’immagine conservata (veduta di cui viene riscontrata la conservazione dei caratteri originali). Segnala la sussistenza di elementi significativi del paesaggio storico (o antico) che, in quanto tali, acquistano un’importanza primaria nella definizione di qualsiasi processo di trasformazione. Il loro valore è strettamente collegato alla visuale individuata che va tutelata anche tramite le previsioni di PRG in rapporto al riconosciuto grado di conservazione. Il PRG riporta l’area oggetto della veduta nella propria cartografia in scala 1:10.000 e ne disciplina la tutela anche in rapporto al punto di osservazione.
2. L’immagine trasformata (veduta di cui viene riscontrata la trasformazione dei caratteri originali). Segnala la permanenza di parti minoritarie, per peso territoriale e quantità, del paesaggio storico o antico (o la loro totale assenza) ed un avanzato processo di sostituzione dei suoi elementi costitutivi. Rispetto a tale processo, il PRG dovrà prioritariamente verificare se esso è interno alle proprie linee strategiche, ovvero è il prodotto di altre dinamiche non strategicamente considerate e, di conseguenza, il PRG definirà il tipo di azione da praticare al fine di arrestare o invertire la tendenza dei processi anomali, ovvero di introdurre correttivi e mitigazioni, per quanto possibile ed in modo da recuperarne gli elementi di qualità, nel caso di processi coerenti con le scelte di pianificazione. Dell’individuazione di queste vedute oggetto di attenzione e recupero, il PRG dà conto nella propria cartografia in scala 1:10.000.
Le permanenze individuate costituiscono comunque elementi di riferimento per la pianificazione urbanistica e la progettazione paesaggistica, in quanto esemplificazione dei caratteri distintivi, nonché motivazione degli indirizzi paesaggistici del PTCP.
Ulteriori indirizzi per la pianificazione paesaggistica derivano dall’analisi comparata e per aggregazioni insediative delle dinamiche di trasformazione del territorio che evidenzia alcune situazioni-tipo critiche che la pianificazione comunale dovrà affrontare e disciplinare nei suoi contenuti paesaggistici:
Ambiti della concentrazione. Il rapporto visivo città murata - territorio esterno, che caratterizza fortemente l’immagine storica, specialmente nelle situazioni vallive è quasi sempre perduto, negato dallo sviluppo edilizio che si intensifica ancora di più lungo le principali infrastrutturazioni d’accesso. Le poche permanenze assumono pertanto un valore eccezionale e vanno quindi conservate. La tendenza alla saldatura degli insediamenti lungo le principali infrastrutturazioni va contrastata anche in quanto comporta la negazione del controllo formale del limite della città o degli altri ambiti ecotonali; ciò comporta una particolare cura nella riqualificazione di queste aree. Risultano invece più salvaguardate le situazioni collinari in cui i sistemi insediativi tuttora presentano ampie fasce omogenee e caratterizzate da elementi del paesaggio agrario storico (fasce della coltivazione dell’olivo).
Centri storici del policentrismo e della rarefazione. Il rapporto distintivo tra città murata e campagna circostante risulta quasi sempre ancora apprezzabile ed in particolare nei sistemi collinari con i centri arroccati; le situazioni di trasformazione risultano concentrate nelle aree periferiche e lungo gli assi infrastrutturali. Qui appaiono forti fattori di disturbo e limitazione per la percezione delle permanenze, pur esistenti: scelte localizzative, anche relativamente recenti, che privatizzano la visione dei coni ottici più interessanti, soprattutto in contesti morfologici di altipiano; le alberature ed il verde (privato, ma anche pubblico) che rappresentano in molti casi elementi incontrollati ed imprevisti che ostacolano la visione di immagini panoramiche celebrate; la caotica segnaletica pubblicitaria in prossimità degli ingressi ai centri o alle aree a servizi. Si tratta di ostacoli apparentemente più leggeri rispetto alla crescita urbana rilevata altrove, ma la cui rimozione comunque richiede, da parte dei PRG, una specifica normativa e adeguate azioni programmatiche. Va segnalato inoltre, sempre in merito alla necessità di una gestione in termini progettuali della politica del verde, la possibilità di un rapporto coerente ed equilibrato tra la valenza naturalistica e quella paesaggistica. L’ambito del Trasimeno, oggetto privilegiato dell’indagine fotografica dell’inizio del secolo scorso oltre che della letteratura di viaggio, offre la possibilità di verificare, al di là della sostanziale permanenza dei caratteri paesaggistici alla scala territoriale, il forte processo di omologazione che ha portato alla progressiva sostituzione dei materiali che connotavano la sua particolare condizione di luogo d’acqua, nei punti di contatto con l’insediamento urbano (ambiti dei servizi in prossimità del lago): qui sono presenti situazioni di stridente contrasto tra la ricchezza naturalistica d’origine, in certi casi al momento cancellata, e la banalizzazione delle soluzioni realizzate. La ricostruzione di una coerente linea di contatto tra l’ambito dei servizi degli insediamenti urbani e l’ambito dominante prettamente naturalistico dell’area umida e lacustre, rappresenta un obbiettivo primario della pianificazione urbanistica comunale, oltre che di quella di settore della Provincia che su quell’area mantiene molteplici competenze.
Ambiti extraurbani. La situazione è analoga, sia pure con caratterizzazioni diverse a seconda dei sistemi paesaggistici, per le aree del policentrismo che per quelle della rarefazione; notevole è la riconoscibilità delle vedute derivata dalla sostanziale permanenza dei caratteri strutturali del paesaggio. Il rapporto tra sistema agricolo, aree boscate ed insediamenti presenta una forte continuità rispetto a quello delle immagini storiche ed i cambiamenti si notano soprattutto nella fascia altocollinare con la riduzione del livello di antropizzazione ed all’allargamento del bosco e nella fascia inferiore pedecollinare o planiziale che tende tuttora a semplificare la propria struttura e a rinnovarsi adattandosi alle proposte di politica agraria comunitaria. In tutti questi ambiti e soprattutto nelle fasce in cui sono più evidenti le trasformazioni, i PRG disciplinano gli interventi di trasformazione allo scopo di conservare i caratteri paesaggistici storici e possono prevedere programmi ed azioni per il loro recupero e valorizzazione. Il PTCP sviluppa azioni di approfondimento conoscitivo e programmatorio per la tutela del paesaggio storico provinciale alla scala d’area vasta e collabora, su richiesta ed in basi a programmi comuni (protocolli d’intesa, accordi di programma o altre forme di programmazione negoziata), alle iniziative dei Comuni.
I grandi panorami. L’analisi delle vedute panoramiche oggetto di tutela ai sensi del Dls 490/99 art.1, comma 1, l.d) ha messo in evidenza, oltre alla attesa permanenza dei fattori che definiscono la eccezionalità delle vedute, alcuni aspetti problematici che richiedono un particolare approfondimento della pianificazione urbanistica e paesaggistica comunale. Si tratta per lo più di panorami molto vasti che interessano porzioni ragguardevoli dell’intero territorio provinciale e che hanno origine da punti posti a quota molto elevata; la tutela sovraordinata (come bene di interesse pubblico) di questi panorami interessa però gli ambiti più prossimi al punto di vista: quelli direttamente in rapporto con l’osservatore, sui quali si è ritenuto di apporre un vincolo diretto al fine di controllare che l’attività edilizia non impedisca la possibilità di veduta. Non viene invece prevista, né fa parte della prassi urbanistica comune, considerare l’ambito complessivo dell’area-campo della veduta e valutare come le trasformazioni addotte al territorio sui secondi o terzi piani della veduta possano interferire con l’immagine di insieme (tutelata), tenendo anche presente che in alcuni casi questi piani interessano territori estranei al Comune in cui è apposto il vincolo diretto. Inoltre è del tutto assente dalla prassi di tutela panoramica, la gestione mirata delle aree verdi, sia pubbliche che private e tale assenza è evidente nei risultati più volte rilevati da questa analisi che presentano spesso la crescita non controllata delle alberature come uno dei fattori più comuni di impedimento alle visuali indagate. Su questi aspetti è necessario che la pianificazione urbanistica e territoriale, ai vari livelli, intervenga. I PRG, il cui territorio è interessato dagli ambiti panoramici tutelati ai sensi del Dls 490/99, recepiscono nella propria cartografia in scala 1:10.000 le aree suddette, verificano, mediante uno studio a prevalente carattere paesaggistico, le possibili interferenze con la visuale interessata ed il loro grado di incidenza e definiscono, nella normativa, le eventuali mitigazioni qualora siano ritenute necessarie; dette interferenze. I PRG inoltre, nel disciplinare la pianificazione paesaggistica (ed in particolare riferimento agli artt. 29-30 della Normativa (Criteri, Indirizzi, Direttive, Prescrizioni) del PTCP, introducono nelle proprie NTA direttive per la manutenzione della vegetazione d’alto fusto o arbustiva finalizzate alla tutela dei valori panoramici presenti ed al realizzarsi di situazioni armoniche e coerenti fra la valenza naturalistica e quella paesaggistica del patrimonio. Il PTCP, in quanto piano paesistico ambientale, sviluppa autonomamente o in collaborazione con i Comuni, programmi ed azioni per il recupero ambientale e paesaggistico del patrimonio arboreo e boschivo.
Per quanto riguarda la viabilità panoramica, Il PTCP ha già individuato la “viabilità panoramica principale” e ne ha disciplinato la tutela con il 3° comma dell’art.36 dei suoi Criteri, Indirizzi, Direttive, Prescrizioni. Dallo studio sui coni visuali è emersa l’opportunità di integrare quella disciplina con la previsione, da parte dei PRG, di adeguate fasce di rispetto dei crinali per le quali vengano definiti gli interventi possibili ed impedite la nuova edificazione o la trasformazione del patrimonio edilizio esistente che possono costituire ostacolo o limitazione alle vedute panoramiche (2° comma art.34).
Gli studi e le analisi sviluppate nel PTCP, relativamente all’assetto paesaggistico del territorio, seguono una impostazione che supera l’approccio della eccezionalità e della singolarità a favore di una metodologia che, pur considerando i casi emergenti, li colloca e li contestualizza con riferimento a tutto il territorio provinciale.
In altri termini, si persegue una finalità volta alla definizione e messa in valore dei tratti distintivi del paesaggio provinciale, come anche delle situazioni specifiche e tipiche, ma in un quadro di coerenza contestualizzato e definito.
Si ritiene opportuno sotto il profilo metodologico definire i significati dei termini ambiente e paesaggio, utilizzati in tale approfondimento, con particolare riferimento alla definizione di paesaggio che viene assunta quale elemento fondante su cui è stato sviluppato l’approccio del PTCP ai temi paesaggistici.
Ambiente
“Del concetto di “ambiente” dovremmo dire che esso ha due significati: uno biologico, che si riferisce alle condizioni di vita fisiche (longitudine, altezza sul livello del mare, esposizione, precipitazioni, temperature stagionali, conformazione geologica del suolo e del sottosuolo, idrografia) e uno storico-culturale; secondo che in certe località prevalga la città o la campagna, l’agricoltura o l’industria o il commercio o la pastorizia; nonché secondo i costumi, le tradizioni, la morale corrente, e l’unità o la molteplicità delle confessioni e dei culti, ... E non ci vuole molto ad accorgersi che il concetto di “ambiente”, nella sua unità diversa di ambiente biologico e di ambiente storico-culturale, include in sé quello di “territorio” (non vi può essere ambiente senza territorio).
Nell’ambiente c’è il territorio, con in più la vita, la storia, la cultura: e pertanto “ambiente” e “territorio” non sono concetti ... intercambiabili; rispetto all’ambiente il territorio è la materia grezza, mentre l’ambiente è il territorio come la natura e l’uomo lo hanno organizzato in funzione della vita. ...” (Assunto, 1973).
Paesaggio
“Abbastanza facile risulterà, a questo punto, una definizione del concetto di “paesaggio” come “forma” che l’ambiente (“funzione” o “contenuto”, possiamo chiamarlo, adoperando per analogia i termini della critica letteraria e artistica) conferisce al territorio come “materia” della quale esso si serve, o meglio, se vogliamo essere più precisi: “paesaggio” è la “forma” in cui si esprime l’unità sintetica a priori (nel senso kantiano: non “unificazione” di dati recepiti separatamente, ma “unità” necessaria condizionante il loro presentarsi nella coscienza) della materia (territorio) e del “contenuto o funzione (ambiente)”. (Assunto, 1973).
In definitiva, nella chiave di lettura proposta da Assunto e utilizzata nella impostazione del PTCP, risulta che il paesaggio è il “mosaico”, ovvero il disegno complessivo che varie tessere compongono in ragione della loro natura; ne deriva pertanto che la struttura geologica, i beni storico-culturali e la città stessa, sono alcune delle tessere in cui esso può essere scomposto.
Tale lettura può anche non essere condivisa nella sua totalità, ma ciò che convince è il fatto che il paesaggio si configura come dato insieme generale e sintetico; è ossia il luogo dove le azioni antropiche ed i dati naturali trovano una loro “forma”.
Risulta infine che il paesaggio, riconosciuto come sistema di sistemi, è il luogo dove ogni trasformazione produce una modificazione della sua struttura formale preesistente.
Muove da queste premesse anche la conseguente definizione di pianificazione paesaggistica assunta ed utilizzata per l’impostazione del PTCP.
“La pianificazione del paesaggio è un processo continuo che si batte per il miglior uso da parte del genere umano del limitato spazio della superficie terrestre, conservando allo stesso tempo la sua produttività e bellezza.
Il suo scopo è di riconciliare usi del suolo competitivi e di inserirli entro un ambiente nel quale la civilizzazione umana possa prosperare, senza distruggere le risorse naturali e culturali su cui le società si sono fondate.
Basata sulla comprensione della natura e sulle potenzialità del territorio, si propone di conservare e di creare la più ampia diversità, che implica un paesaggio capace di usi multipli; in altre parole è conservazione attiva, dal momento che può comportare la modificazione responsabile dei paesaggi esistenti”. (Ferrara, 1976).
Le precisazioni di cui sopra, rendono comprensibili i passaggi logici operati nel PTCP per lo studio e la pianificazione dell’assetto paesaggistico provinciale, di cui il presente tematismo costituisce il punto di partenza su cui viene rappresentata la struttura territoriale-ambientale del paesaggio provinciale, secondo la definizione di territorio e di ambiente sopra esplicitata.
Struttura che è impostata sulle Unità Ambientali (insieme delle caratteristiche fisiche, di estensione, di altitudine, di conformazione geologica etc. del territorio), che viene relazionata con gli usi del suolo e con le attività antropiche che sottendono tali usi.
Un primo passaggio verso l’individuazione delle Unità di Paesaggio è dato dalla sovrapposizione delle Unità Ambientali con gli usi del suolo; vengono in tale maniera messi in relazione i due significati: biologico e storico - culturale, precedentemente indicati da Assunto.
Dall’individuazione delle Unità Ambientali si è proceduto allo svolgimento dell’indagine sulla evoluzione del paesaggio nel contesto provinciale, che è stata valutata sulla base delle trasformazioni degli usi del suolo ricadenti nelle Unità di Paesaggio.
Sulla definizione delle Unità di Paesaggio si tornerà in seguito, mentre è necessario premettere che esse si distinguono dalle Unità Ambientali per la considerazione degli usi del suolo che vengono ad aggiungersi alle caratteristiche ambientali già esplicitate.
Pertanto Unità Ambientali ed Unità di Paesaggio possiedono, alla scala considerata, gli stessi perimetri e le stesse denominazioni.
Il lavoro sviluppato ha ricercato le trasformazioni intervenute nel paesaggio a partire dalle situazioni di minor trasformabilità date dalle Unità Ambientali in ragione della loro stessa natura.
La metodologia di lavoro ha infatti ritenuto tali suddivisioni del territorio stabili rispetto al ristretto intervallo temporale in cui invece si è considerata la trasformazione delle Unità di Paesaggio.
Il procedimento seguito per la preliminare determinazione delle Unità Ambientali è consistito nella costruzione di una carta che ha sintetizzato componenti ambientali quali: geologia, morfologia, idrografia e altitudine.
Per la individuazione delle Unità Ambientali è stata utilizzata la carta geolitologica, mentre sono stati utilizzati i seguenti tematismi:
idrografia superficiale, con i relativi bacini idrografici sottesi nonché i rispettivi crinali; fasce altimetriche, che sono state associate alle seguenti condizioni morfologiche caratteristiche:
1. valli: da 0 a 250 m. s.l.m.;
2. bassa collina da 250 a 500 m. s.l.m.;
3. alta collina da 500 a 800 m. s.l.m.;
4. montagna oltre 800 m. s.l.m..
La sintesi dei dati sopra richiamati ha fornito una prima individuazione delle “Unità Ambientali della provincia di Perugia”. Il successivo passaggio è consistito nella clasterizzazione delle situazioni già definite, attraverso l’associazione di aree aventi caratteri ambientali ricorrenti e costituendo Unità Ambientali i cui confini sono stati definiti con riferimento a:
a) diversa geologia;
b) diversa altitudine;
c) appartenenza a diversi sistemi orografici (valli e crinali);
d) appartenenza a diversi bacini idrografici (fiumi e spartiacque).
Da tale operazione è derivata la conclusiva individuazione delle Unità di Paesaggio avendo operato la sovrapposizione e unione con la Carta di Uso del suolo.
L’uso del suolo è relativo a due diverse epoche storiche: quella antecedente alla industrializzazione agricola e quella odierna.
In specifico, l’assetto descritto nella carta dell’uso del suolo storico proviene dalla cartografia del Touring Club Italiano alla scala 1:200.000 che riporta la situazione esistente nella prima metà del secolo, mentre la cartografia dell’uso del suolo attuale è riferita al 1994 ed è stata ottenuta mediante la sovrapposizione di informazioni aventi diversa natura e attraverso un apposito lavoro di fotointerpretazione.
Tali elaborazioni hanno altresì permesso di confrontare le dinamiche che, nel tempo, hanno interessato le 112 Unità di Paesaggio, lavoro che si è poi concluso con la definizione degli ambiti di trasformazione, evoluzione e conservazione e con le conseguenti indicazioni riportate nell’elaborato A.7.1.
Occorre infine precisare che la possibilità del confronto tra i diversi usi del suolo presenti all’interno delle medesime Unità di Paesaggio è stato reso possibile attraverso un lavoro di selezione e accorpamento dei singoli tematismi che le cartografie di base proponevano.
Emerge infatti dal confronto delle due cartografie la discordanza data dalla voce “Sterili”, che non compare nell’uso del suolo storico.
Ciò è dovuto alla diversa scala e alla diversa costruzione dei due elaborati.
Tale differenza ed anche gli ulteriori aggiustamenti cui si è proceduto al fine di ottenere la confrontabilità delle due cartografie, nulla toglie alla attendibilità ed alla qualità delle informazioni trattate.
Si ricorda, infatti, che le elaborazioni successivamente eseguite avevano quale scopo quello della comprensione quali-quantitativa delle trasformazioni intervenute nel paesaggio provinciale.
Le non perfette coincidenze e le approssimazioni compiute non inficiano i risultati raggiunti, rappresentando quantità marginali e trascurabili come la stessa considerazione della voce dei terreni sterili può dimostrare.
Ricadute territoriali
Il presente tematismo, costituisce uno strumento per il raffronto delle situazioni di assetto paesaggistico esistenti nel passato, rispetto a quella attuale.
Non vi sono quindi particolari ricadute nelle politiche territoriali che possono emergere direttamente da questo elaborato, trattandosi fondamentalmente della rappresentazione di dati analitici.
Viceversa si sottolinea l’utilità, per gli Enti e le Istituzioni che utilizzeranno tali dati, di poter eseguire delle elaborazioni in cui potrà essere considerata la dinamica delle trasformazioni.
Tale considerazione è possibile, oltreché per la presenza di dati storici nell’uso del suolo, anche in ragione del formato numerico in cui tali tematismi sono stati prodotti, che consente confronti e quantificazioni.
Le valenze conoscitive che offre tale tematismo potranno essere successivamente utilizzate dalle Amministrazioni comunali negli approfondimenti che verranno condotti a livello di PRG.
In particolare potranno essere utili i confronti operati sulle 112 Unità di Paesaggio tra gli usi del suolo attuali e quelli storici; tali confronti sono riportati in specifiche tabelle (vedi Tabelle confronto uso del suolo negli Apparati) in cui vengono poste in evidenza le variazioni complessive e relative dei diversi usi del suolo fornendone anche una graficizzazione.
Si sottolinea, infine, che la struttura paesaggistica data dalle Unità di Paesaggio è il livello minimo di disaggregazione analitica del territorio provinciale compiuto dal PTCP.
Tale livello si configura, quindi, quale elemento di passaggio tra la scala provinciale e quella comunale.
Per questa ragione viene proposto che gli studi paesaggistici condotti a livello comunale dovranno avere quale elemento di riferimento situazioni paesaggistiche definite dalle Unità di Paesaggio.
Tale passaggio di scala comporterà una precisazione o modifiche nella definizione delle Unità di Paesaggio, nei limiti di una sostanziale coerenza con l’impianto generale proposto.
L’identificazione delle Unità Ambientali e delle Unità di Paesaggio ha evidenziato una forte articolazione della struttura del paesaggio provinciale.
Se si escludono le unità localizzate per lo più nella parte Est della provincia, caratterizzate da un’ampia superficie, la situazione dominante è quella che vede una notevole differenziazione nelle caratteristiche paesaggistiche presenti nelle varie zone del territorio provinciale.
Differenziazione che è determinata dalle caratteristiche geomorfologiche e da una notevole articolazione delle forme assunte dal paesaggio in ragione della presenza di usi antropici del territorio che, storicamente, si sono inseriti nella trama ambientale in modo capillare e puntuale.
La varietà e la conseguente complessità che ne deriva, è stata la ragione in base alla quale si è ravvisata la necessità di procedere preliminarmente ad individuare gli assetti di base (strutturali) del livello provinciale.
Tale individuazione ha assicurato la possibilità del controllo, da parte del PTCP, di tale complessità ed inoltre ha consentito una visione complessiva capace di fornire l’insieme strutturale nel quale trovano luogo anche le emergenze puntuali e le specificità.
E’ inoltre da segnalare che, nello sviluppo del lavoro alla scala 1: 10.000, si potrà tornare al livello di definizione delle Unità di Paesaggio recuperando così tutte le differenze e le articolazioni riscontrate sul territorio, sia dal punto di vista ambientale che da quello delle formalizzazioni antropiche.
Quanto descritto può essere rappresentato nel diagramma che riassume i principali passaggi metodologici effettuati e chiarisce il livello strutturale dei Sistemi Paesaggistici cui appartengono le Unità di Paesaggio.
La definizione dei sistemi paesaggistici risulta funzionale ad una comprensione dei paesaggi significativi in cui è strutturato il territorio provinciale, intendendo con ciò quelle formalizzazioni aventi carattere di tipicità su aree vaste quali:
• paesaggio agricolo di pianura;
• paesaggio agricolo di valle;
• paesaggio agricolo collinare;
• paesaggio agricolo alto - collinare;
• paesaggio montano.
Da questa classificazione è assente il paesaggio urbano.
Tale assenza trova ragione sia nelle caratteristiche insediative del territorio provinciale che risultano fortemente contestualizzate negli scenari ambientali, che nel livello di lettura strutturale del paesaggio la quale privilegia le grandi matrici territoriali, ambientali e paesaggistiche.
Il fenomeno urbano potrà essere meglio analizzato e definito alla scala comunale.
Le elaborazioni che hanno condotto alla individuazione dei sistemi paesaggistici hanno avuto quali fasi significative quella della aggregazione delle Unità di Paesaggio secondo criteri di omogeneità, tali da consentire la messa in valore dei fattori strutturali e delle differenze ambientali riscontrate nelle 112 aree precedentemente definite.
Il confronto poi con alcuni significativi usi del suolo, utilizzati quali veri e propri indicatori, ha permesso la delimitazione spaziale dei sistemi paesaggistici individuati.
Per poter rendere esplicite alcune differenze si è identificata la Valle Umbra quale pianura, anche se tale definizione non sarebbe corretta da un punto di vista della disciplina geologica.
Si è voluto con ciò sottolineare il fatto che la Valle Umbra è la più vasta area pianeggiante presente nell’intera regione e che in virtù di questa sua dimensione, nonchè per le sistemazioni agrarie che vi si trovano e per l’utilizzo di alcuni elementi di paesaggio quali i pioppi, i sistemi infrastrutturali rurali, etc, possiede caratteri distintivi propri di una pianura.
Mentre per la valle del Tevere si è voluto sottolineare, oltre alla diversa situazione geomorfologica di valle rispetto quella di pianura, anche la situazione di regolarità della campitura e le forme della moderna agricoltura meccanizzata.
Tale situazione è stata unificata, limitatamente agli indirizzi normativi, con quelle di valle, sia in ragione dell’unicità della situazione della Valle Umbra, sia in forza della verifica di una sostanziale indifferenza delle diversità riscontrate rispetto alla disciplina di regolamentazione di queste aree.
Nella scheda vengono riportate le denominazioni delle Unità di Paesaggio, la loro numerazione di individuazione e ne viene attribuita l’appartenenza ai quattro sistemi paesaggistici, così come rappresentato in cartografia.
Ricadute territoriali
Le Unità di Paesaggio costituiscono il livello minimo di suddivisione del territorio provinciale a tale scala e realizzano le unità elementari della struttura paesaggistica, rappresentando la sintesi delle caratteristiche ambientali e delle trasformazioni antropiche del territorio.
La loro successiva aggregazione in sistemi paesaggistici è funzionale ad una loro descrizione in termini più generali, ma capace di indicare gli elementi caratterizzanti e le situazioni di tipicità presenti.
Stante tali caratteristiche, le Unità di Paesaggio si configurano quali suddivisioni territoriali capaci di consentire il passaggio tra la pianificazione d’area vasta e quella generale dei Comuni.
Si prevede, infatti, che attraverso la precisazione dei limiti e l’eventuale maggiore articolazione al loro interno, sia possibile effettuare il raccordo tra le previsioni paesaggistiche ed urbanistiche (limitatamente al territorio extraurbano) dei PRG con quanto previsto dal PTCP.
In altri termini, le Unità di Paesaggio costituiscono una prima suddivisione e una prima struttura che viene indicata agli strumenti urbanistici comunali, al fine di orientare le loro scelte all’interno di una logica sistemica che realizza una effettiva azione di coordinamento delle scelte paesaggistiche alla scala sovracomunale.
Indirizzi normativi
Le ricadute in termini di indirizzi normativi che provengono da questo elaborato A.4.2. sono fondamentalmente riscontrabili nei capi II e III del Titolo 4° dei “Criteri, indirizzi e direttive, prescrizioni” del PTCP e, in specifico negli articoli 26 e 32-34.
Nel processo di aggiornamento del PTCP, è stato raggiunto un nuovo risultato sul tema della conoscenza paesaggistica del territorio e della sua lettura tramite le Unità di Paesaggio: è stata completata infatti una analisi delle caratteristiche di qualità e/o di degrado ambientale delle singole U.d.P. facendo riferimento alle parti di queste costituite dai territori comunali. Pur confermando quindi la unitarietà delle Unità di paesaggio alla scala territoriale così come già indicate dal PTCP in vigore, con questa operazione è stato possibile costruire un maggior legame tra la dimensione fisica e concettuale dell’Unità di paesaggio e le politiche comunali che su queste si esplicano e con ciò indicare ai PRG un ulteriore punto di osservazione e controllo delle trasformazioni territoriali. Questo lavoro, oltre a sollecitare ulteriori indirizzi del PTCP sulle aree che risultano paesaggisticamente più critiche, fornisce ai Comuni un quadro del proprio territorio ricco di dati finora inediti.
L’elaborazione che ha condotto alla caratterizzazione delle U.d.P. per componenti comunali é stata sviluppata su di un metodo quali-quantitativo basato sulla considerazione di elementi di qualità e di criticità paesaggistico – ambientale. Per ogni ambito comunale sono state individuate le presenze di elementi di qualità quali centri storici, aree di interesse paesaggistico ecc., nonchè, per gli stessi ambiti, gli elementi di criticità dovuti a cave, centri di rottamazione, discariche ecc..
Gli elementi considerati per operare la caratterizzazione, suddivisi secondo le due classi di appartenenza, sono i seguenti:
Classi degli elementi di qualità paesaggisticaClassi degli elementi di criticità paesaggistica
Emergenze storico-architettoniche
Centri rottamazione
Viabilita’ storicaElettrodotti
Siti archeologiciZone industriali
Aree vincolate dalla ex-L.1497/31Discariche controllate
Aree proposte di studioDiscariche abusive
ParchiDiscariche 2^ categoria
BoschiImpianti di depurazione
Aree vincolate dalla L.431
Aree oltre 1.200 m. di quota vincolate dalla L.431
Aree d’interesse faunistico venatoria
Oasi di protezione faunistica
Zona ripopolamento e cattura (Z.R.C.)
Zone di protezione speciale (Z.P.S.)
Siti di interesse Comunitario (S.I.C.)
Siti d’interesse Regionale (SIR)
Usi civici
La carta delle caratterizzazioni delle Unità di Paesaggio suddivise per Comuni é stata quindi realizzata attribuendo un punteggio a tutti gli ambiti in funzione delle presenze e delle quantità di elementi di qualità o di criticità presenti.
Per ogni é stata quindi elaborata una “classifica” che vedeva attribuire un punteggio decrescente degli ambiti. Punteggio che e` stato poi inserito nel database attribuendo valori da 5 a 0 per le presenze di elementi positivi e valori da 0 a 5 per quelle negative. Si è poi proceduto ad operare le somme dei punteggi delle presenze degli elementi positivi e di quelli negativi. Questi valori sono stati poi normalizzati in quanto le classi di elementi di qualità sono 17 e quelle negative 7, si é pertanto proceduto a moltiplicare le somme delle indicazioni positive per 7 e di quelle negative per 17 ottenendo in tal modo la confrontabilità dei dati cartografati.
Un passaggio concettuale importante é stato quello di considerare la caratterizzazione quale preponderanza di elementi di qualità o di criticità, in considerazione del fatto che non vi sarà mai una U.d.P. in cui sono presenti solo elementi di qualità, o di criticità, ma vi é normalmente una loro compresenza e quindi il valore o la posizione ad essa attribuita è il risultato di un bilancio positivo o negativo.
Stante tale concetto, dopo la normalizzazione dei valori si é proceduto ad una loro somma algebrica al fine di comprendere quale tra le due classi fosse la prevalente. Ciò é stato realizzato calcolando le somme algebriche rispettivamente delle indicazioni positive e di quelle negative. Infine i risultati ottenuti sono stati sommati.
I risultati della somma algebrica totale sono stati in fine suddivisi in 5 range ad intervalli di valori uguali e che per quanto sopra, indicano per tutti gli ambiti considerati la loro appartenenza, rispettivamente, al massimo grado di qualità, alla qualità, ne’ alla qualità ne’ alla criticità (compensazione), alla criticità e al massimo grado di criticità.
Ricadute territoriali
Questa casistica è stata infine raffrontata con le precedenti articolazioni delle Unità di Paesaggio (i sistemi paesaggistici ed il grado di trasformazione rispetto ad una situazione storica identificata con il paesaggio agrario mezzadrile). Il risultato finale ha portato alla evidenziazione di alcune situazioni estreme che vengono definite “di attenzione comunale” in quanto discriminanti per l’applicazione degli indirizzi del Capo III - Struttura paesaggistica provinciale della Normativa del PTCP; nel dettaglio l’individuazione di tali situazione avviene mediante:
l’estrapolazione degli ambiti in cui risulta un bilancio delle presenze caratterizzanti corrispondente al livello della massima qualità e della qualità, dal tema delle caratterizzazioni delle U.d.P. che sono state intersecate con le aree di trasformazione. Questo tema indica quelle zone positive che dovranno essere maggiormente salvaguardate perché aree di alto valore paesaggistico ricadenti in zone potenzialmente a rischio di non conservazione.
l’estrapolazione degli ambiti in cui risulta un bilancio delle presenze caratterizzanti corrispondente al livello di degrado e di massimo degrado, dal tema delle caratterizzazioni delle U.d.P. e sono state intersecate con le aree di trasformazione.
Questo quadro è stato utilizzato per definire la proposta d’indirizzo normativo che, perseguendo l’impostazione generale del Piano paesaggistico, propone una maggiore attenzione sulle dinamiche evolutive delle aree che presentano situazioni di qualità (norme di tutela); sono invece stati proposti indirizzi d’intervento (norme di sviluppo) per i casi di ambiti di U.d.P. caratterizzati da elementi di degrado.
Indirizzi normativi
Le ricadute in termini di indirizzi normativi che provengono da questo elaborato A.4.3. sono fondamentalmente riscontrabili al Capo 2° del Titolo 4° “Direttive per la pianificazione paesaggistica” della Normativa del PTCP e, in particolare, agli articoli 32 e 33.
Per quanto infine concerne la caratterizzazione degli ambiti comunali delle Unità di Paesaggio, segue la tabella con le situazioni estrapolate su cui, in particolare, applicare l’“attenzione comunale”:
Quadro degli ambiti comunali “di massima qualità” e “di qualità” in aree di trasformazione
Codice unita' di paesaggioComuneSuperficie Kmq.Elementi di qualita'Elementi di criticita'Somma elementi positivi/negativiVariazione PaesaggisticaSistema Paesaggistico
102NORCIA102,4070424-96328TrasformazioneSistema montano
102PRECI28,6672344-64280TrasformazioneSistema montano
108CAMPELLO SUL CLITUNNO15,33692160216TrasformazioneSistema montano
81MASSA MARTANA19,5111256-80176TrasformazioneSistema montano
108CERRETO DI SPOLETO16,77481760176TrasformazioneSistema montano
95MASSA MARTANA0,4090216-64152TrasformazioneSistema montano
95MASSA MARTANA17,2905216-64152TrasformazioneSistema montano
50PERUGIA27,0060256-112144TrasformazioneSistema collinare
26GUBBIO5,19071280128TrasformazioneSistema di pianura e di valle
44CORCIANO13,4951192-64128TrasformazioneSistema montano
67TORGIANO6,7521176-48128TrasformazioneSistema di pianura e di valle
108SPOLETO7,73971200120TrasformazioneSistema montano
111CERRETO DI SPOLETO5,4460160-48112TrasformazioneSistema di pianura e di valle
23SIGILLO9,8442144-32112TrasformazioneSistema alto collinare
25GUALDO TADINO2,07591040104TrasformazioneSistema d pianura e di valle
108FOLIGNO3,8119112-1696TrasformazioneSistema montano
23FOSSATO DI VICO7,7776136-4888TrasformazioneSistema alto collinare
22COSTACCIARO1,8278120-3288TrasformazioneSistema montano
22SIGILLO3,1260152-6488TrasformazioneSistema montano
7CITTA" DI CASTELLO20,0619200-11288TrasformazioneSistema collinare
23COSTACCIARO11,0488184-9688TrasformazioneSistema alto collinare
25VAL FABBRICA1,756988088TrasformazioneSistema di pianura e di valle
67BEVAGNA17,1725192-11280TrasformazioneSistema di pianura e di valle
91COLLAZZONE6,0351112-3280TrasformazioneSistema collinare
108VALLO DI NERA1,642680080TrasformazioneSistema montano
Quadro degli ambiti comunali “di degrado” e “di massimo degrado” in aree di trasformazione
Codice unità di paesaggioComuneSuperficie Kmq.Elementi di qualitàElementi di criticitàSomma elementi positivi/negativiVariazione PaesaggisticaSistema Paesaggistico
53PERUGIA33,3313272-336-64TrasformazioneSistema di pianura e di valle
51PERUGIA24,3343176-240-64TrasformazioneSistema collinare
67SPELLO33,2293192-256-64TrasformazioneSistema di pianura e di valle
67CANNARA15,5646144-224-80TrasformazioneSistema di pianura e di valle
93GUALDO CATTANEO6,069396-192-96TrasformazioneSistema di pianura e di valle
70FRATTA TODINA9,282196-208-112TrasformazioneSistema di pianura e di valle
1SAN GIUSTINO22,6463176-304-128TrasformazioneSistema di pianura e di valle
67TREVI28,7272192-320-128TrasformazioneSistema di pianura e di valle
70DERUTA20,1400168-304-136TrasformazioneSistema di pianura e di valle
70MARSCIANO39,2687176-336-160TrasformazioneSistema di pianura e di valle
67SPOLETO59,5061248-464-216TrasformazioneSistema di pianura e di valle
67FOLIGNO55,1903176-496-320TrasformazioneSistema di pianura e di valle
La raccolta dei dati relativi a questo tematismo è stata effettuata direttamente con gli Enti che hanno la competenza specifica della gestione dei vari vincoli. Anche se il livello di definizione adottato dal PTCP è la scala 1:25.000, le varie tipologie di vincolo derivano da ricognizioni originarie non omogeneamente redatte e pertanto, in alcuni casi il livello di dettaglio è assai maggiore in quanto si riferisce ad una dimensione catastale (livello fondiario), oppure, in altri casi, la definizione è piuttosto sommaria e necessiterà di una verifica puntuale.
Nel primo caso rientrano senz’altro le aree tutelate in quanto boscate, le aree archeologiche di cui alla lettera m) dell’art.1 L.431/85, le fasce di rispetto del sistema idrografico di interesse provinciale, le aree tutelate con decreto ministeriale ovvero con delibera GR. ai sensi dell’art.1 della L.1497/39; nel secondo caso sono compresi gli usi civici, la cui digitalizzazione è stata eseguita facendo riferimento alla individuazione della Regione Umbria effettuata per l’elaborazione dei PUC e che richiederà, per la sua particolare natura e per le possibilità operative che da questa possono scaturire, una più precisa definizione a livello fondiario.
Il quadro complessivo degli ambiti di tutela o di controllo sovraordinati al livello comunale, siano essi
di carattere ambientale e panoramico o di altro tipo, rappresenta un primo livello di informazione che viene proposto ai comuni, affinché le particolari situazioni presenti nel loro territorio siano opportunamente valutate e considerate dai PRG, senza creare situazioni conflittuali tra le previsioni del Piano Comunale e l’azione di tutela sovraordinata.
Il PTCP articola e sviluppa in maniera differenziata i singoli vincoli a seconda delle loro caratteristiche e forme ed aggiunge la proposta di indirizzi di merito, sviluppando il ruolo normativo di Piano Paesaggistico, nel caso dei vincoli ex lege 1497/39.
Tutte le aree soggette a tutela ambientale e panoramica sono state digitalizzate da carte tematiche prodotte dalla Regione Umbria, ad eccezione delle aree archeologiche lettera- m) art.1 L.431/85- che derivano dal censimento della Sovrintendenza Archeologica per l’Umbria che ha sviluppato una azione di raccolta ed aggiornamento in concomitanza dell’esperienza di copianificazione con la Provincia di Perugia per la costruzione del PTCP (§ A.3.2.).
Per quanto riguarda i vincoli non paesaggistici, le fonti sono stati gli enti titolari delle competenze: il Corpo Forestale dello Stato per il vincolo idrogeologico, il Distretto Minerario per il vincolo minerario, la Regione Militare per le relative servitù.
Per quanto riguarda i tipi di vincoli e le loro qualità, il seguente elenco fornisce alcuni dati:
Vincolo ambientale e panoramico (leggi 1497/39 e 431/85).
E’ finalizzato all’esercizio di un particolare controllo, di tipo estetico-ambientale e separato da quello urbanistico, sulle trasformazioni del territorio in ambiti di particolare e riconosciuto valore e da parte di strutture pubbliche (Stato, Regioni, Comuni).
L’amministrazione della disciplina trattata, sia per quanto riguarda l’autorizzazione o l’inibizione delle
trasformazioni del territorio che per il perseguimento dei trasgressori, avviene in modo univoco e separato.
Prevede un livello di pianificazione specifico, il Piano Territoriale Paesistico, autonomo e sovraordinato rispetto alla pianificazione urbanistica, ma autonomo anche rispetto ad altri momenti di controllo e tutela per esempio la salvaguardia archeologica).
Il vincolo agisce sul bene tutelato in quanto vi riconosce la sussistenza di un interesse pubblico e pertanto la sua apposizione e l’esercizio della tutela anche in forma limitativa non comportano indennizzi alla proprietà, né prevede alcun intervento pubblico a sostegno degli oneri derivanti dalla tutela dei beni tutelati.
Ente competente: Regione, Comune (autorizzazioni); Provincia (pianificazione paesistica).
Vincolo storico architettonico e artistico (legge 1089/39 art. 21, ora Dlgs. 490/99 art. 49).
Il vincolo individua aree di rispetto, quale estensione del bene immobile direttamente tutelato, sulle quali si può inibire qualsiasi trasformazione. Oltre ad impedire l’edificazione si possono inibire alcuni usi considerati non pertinenti con le qualità del bene direttamente tutelato. Anche se la legge prevede la possibilità che lo Stato si assuma in tutto o in parte l’onere derivante dalla conservazione dei beni tutelati per impedirne il deterioramento, l’applicazione dell’art. 21 non contempla forme di risarcimento.
Il PTCP non ha registrato queste aree di rispetto, tranne che nel caso di alcune aree archeologiche che, per la loro dimensione assumono un valore significativo.
Ente competente: Ministero per i Beni e le Attività Culturali (Sovrintendenze BAAAS ed Archeologica).
Vincolo idrogeologico (RD 3267/23).
Il vincolo si rivolge ad aree delicate dal punto di vista della morfologia e della natura del terreno ed è finalizzato essenzialmente ad assicurare che le trasformazioni operate su tali aree non producano dissesti, o distruggano gli equilibri raggiunti e consolidati, modificando le pendenze o con l’uso e la non oculata regimazione delle acque meteoriche o di falda.
La presenza del vincolo comporta la necessità di una specifica autorizzazione per tutte le opere edilizie che presuppongono movimenti di terra. La necessità di tale autorizzazione riguarda anche gli interventi di trasformazione colturale agraria che comportano modifiche nell’assetto morfologico dell’area, o intervengono in profondità su quei terreni. Il vincolo consente l’inibizione di particolari coltivazioni sul terreno agricolo tutelato, previa corresponsione di un indennizzo.
Ente competente per il rilascio dell’autorizzazione: Comunità Montana.
Vincolo sismico (legge 64/74).
Si riferisce alle aree soggette a rischio sismico e a quelle soggette a movimenti franosi (art. 2).
La sua finalità è quella di sottoporre a controllo tutti gli interventi edilizi sulle aree vincolate (all’interno del perimetro di vigilanza) con la creazione di un archivio deposito dei progetti e la loro attestazione su uno standard tecnico predefinito.
La particolare natura del vincolo non consente implicazioni di tipo territoriale, tranne che nei casi dell’art. 2 (abitati da consolidare), per i quali viene prevista la possibilità di una zonizzazione e con essa di una regolamentazione articolata degli interventi di trasformazione.
A seguito del terremoto del settembre 1997 che ha colpito numerosi centri dell’Umbria e delle Marche, la classificazione uniforme con cui sono stati descritti i comuni della Regione è risultata assai poco soddisfacente e pertanto sono state sviluppate ulteriori modalità di lettura del rischio sismico (§ I.5.1.); l’introduzione dell’indice di rischio medio come elemento di confronto, seppure non porti novità dal punto di vista della estensione del vincolo, ma comunque rileva l’inadeguatezza della tutela attuale, costituisce di per se’ elemento di indirizzo per i PRG.
Ente competente per il rilascio dell’autorizzazione: Provincia.
Vincolo minerario (RD 1443/27 e DPR 620/55).
Il vincolo interessa le aree sottoposte a concessione per la coltivazione di giacimenti minerari di interesse locale, tra i quali rientra la marna per la produzione del cemento. La concessione viene rilasciata dall’ingegnere Capo del Distretto Minerario competente, dopo aver dato comunicazione di essa alla Provincia, ai Comuni interessati ed alla Camera di Commercio Industria ed Artigianato i quali possono presentare osservazioni; la concessione ha valore sovraordinato rispetto alla pianificazione locale (urbanistica e territoriale), nonostante la sua forte incidenza sull’assetto delle aree interessate, sia per l’attività estrattiva di per se stessa e sia per l’insieme delle infrastrutture che tale attività presuppone.
Il vincolo interessa anche lo sfruttamento dei giacimenti di acque minerali e termali. In questo caso è il Prefetto che rilascia la concessione, sentito l’ingegnere Capo del distretto minerario ed il medico provinciale.
Ente competente per il rilascio della concessione: Ministero Industria e Commercio (interesse nazionale); Ingegnere Capo Distretto Minerario (interesse locale).
Servitù e vincoli militari (legge 898/76 e 104/90).
La legge è finalizzata a garantire la sicurezza di opere ed installazioni permanenti e semipermanenti di difesa, aree di addestramento, zone o attività comunque legate alla sicurezza. Il fine è garantito dalla limitazione del diritto di proprietà e di uso delle aree poste in prossimità delle zone tutelate, limitazione che può inibire sia l’intervento edificatorio che particolari usi agricoli
dei terreni.
Il vincolo è imposto dal Ministero della Difesa, previa consultazione di un Comitato paritetico formato da rappresentanti del Governo e da rappresentanti della Regione interessata, ha durata quinquennale e può essere rinnovato. La legge prevede un indennizzo per la limitazione del diritto di proprietà ed un contributo per il Comune in cui ricade l’area oggetto della servitù.
La particolare natura delle finalità del vincolo non comporta necessariamente una tutela delle caratteristiche ambientali dell’area, ma anzi può interessare una condizione di degrado progressivo, solo in parte potenzialmente mitigata dalla possibilità di deroga alle limitazioni
che può essere autorizzata dal Comandante territoriale.
Ente competente per l’imposizione del vincolo: Ministero della Difesa (Comandante Militare Territoriale).
Ricadute operative
Nell’elaborato sono stati localizzati i perimetri dei vincoli che hanno un peso significativo nella caratterizzazione del territorio e ricadute forti nella gestione delle sue trasformazioni. Non è stato descritto l’ambito del vincolo sismico in quanto, in pratica è uniformemente distribuito sull’intero territorio della Provincia (solo il Comune di Città della Pieve, ed in parte quello di Todi, non sono interessati), anche se (§ I.5.1.) recenti atti del Servizio Sismico Nazionale hanno proposto spunti per elaborare una maggiore articolazione del problema. Non sono state riportate le aree interessate dal vincolo ai sensi dell’art. 21 della legge 1089/39 per la loro dimensione esigua e spesso interna ad ambiti urbani storici; il loro ruolo infatti è per lo più quello di creare zone di tutela e protezione attorno ad ambiti soprattutto storico-artistici.
Sono state invece individuate le aree interessate da vincoli con una pur limitata, ma comunque sempre diretta, incidenza sulla trasformazione delle forme ambientali (vincolo idrogeologico, minerario e le servitù militari). Inoltre, vengono identificate le aree interessate dai vincoli ex lege 1497/39 (e 431/85) che sono di fondamentale significato dal punto di vista ambientale e delle qualità del territorio, in quanto rappresentano situazioni di grande ricchezza e complessità ambientale.
Queste comprendono aree riconosciute da specifici atti amministrativi (quali i decreti di vincolo come bellezze di insieme, ai sensi dell’art.7 della legge 1497/39, o le aree parco regionali e nazionali o i siti archeologici) ed aree di rispetto dei fiumi e degli specchi lacustri, o appartenenti a particolare ecosistemi (quote superiori ai 1200m.slm e boschi), o, infine, caratterizzate da particolari forme d’uso storiche (usi civici).
Il PTCP, nella sua funzione di Piano Paesistico Ambientale, ha effettuato una ricognizione degli ambiti di tutela del sistema idrografico di interesse provinciale (zone di salvaguardia paesaggistica dei corsi d’acqua di rilevanza territoriale), in funzione della lettura delle caratteristiche morfologiche puntuali del territorio e dell’interazione tra queste ed altri ambiti di tutela (aree boscate, aree archeologiche, biotopi, ecc.), contribuendo così al passaggio dalla fascia di rispetto indifferenziata, ad una perimetrazione che, pur non riducendo le fasce indicate dalla L. 431/85 (secondo un principio affermato da una recente sentenza del Consiglio di Stato), le recupera ad un senso territoriale e colloca il sistema idrografico (corridoi ecologici) in un rapporto attivo con la morfologia del suolo ed i caratteri peculiari dell’azione antropica e del sistema ambientale in cui è inserito.
Questa territorializzazione è stata operata solo sul sistema idrografico di rilevanza territoriale provinciale, mentre, per quello di rilevanza locale, l’ambito di tutela rimane quello dei 150 metri per sponda; su questo i Comuni, con i propri PRG, potranno effettuare una analoga operazione di territorializzazione.
Indirizzi normativi
Le “Direttive e prescrizioni per la pianificazione paesaggistica” contenute nei “Criteri, Indirizzi, Direttive, Prescrizioni” del PTCP (Atlante della struttura del PTCP), Titolo IV, Capi I - V, costituiscono l’articolato normativo del Piano, quale Piano Paesistico Ambientale e definiscono la disciplina cogente per la pianificazione comunale generale ed attuativa e per gli interventi di trasformazione urbanistico-ambientale ed edilizia.
• Per gli ambiti fluviali di cui al punto b), comma 4, dell’art.39 degli Indirizzi per la Pianificazione Paesaggistica, “Zone di salvaguardia paesaggistica dei corsi d’acqua di rilevanza territoriale”, in sede di formazione dei PRG potranno essere effettuate territorializzazioni ulteriori del vincolo relativo alle fasce di rispetto dei corsi d’acqua, sia per i sistemi idrici di interesse territoriale, che per quelli di interesse locale.
Qualora la nuova individuazione risulti interna alla fascia geometrica definita dalla L.431/85, i contenuti di cui all’art. 39 degli Indirizzi saranno applicati all’ambito così ridefinito, pur restando ferme le procedure per gli interventi interni alla fascia geometrica, ma esterni a quella territorializzata.
Per le aree interessate dagli altri vincoli non ambientali, sia subordinata a forme di controllo preventivo che garantiscano la conservazione o, se possibile, il miglioramento dell’equilibrio idrogeologico. In particolare, a questo fine, dovrà essere prevista nelle aree extraurbane la manutenzione delle fasce di rispetto dalla viabilità statale e provinciale da parte dei proprietari
e, in caso di trasformazioni edilizie o d’uso del suolo agricolo, la preventiva autorizzazione della
Comunità Montana competente.
• Per le aree soggette a vincolo minerario, i PRG dovranno prevedere forme cautelari di mimetizzazione delle aree di sfruttamento, nel caso di cave a cielo aperto, ovvero di compensazione per gli eventuali depositi o strutture esterne fisse.
Il PTCP ha evidenziato, nel proprio schema strutturale, il tema dei servizi tecnologici e delle reti ritenendolo essenziale per la gestione ed il controllo dei sistemi insediativo ed ecologico-ambientale. Tra le reti, quelle degli acquedotti civili, hanno un ruolo primario.
La novità di questo assunto è assoluta nel campo della pianificazione urbanistica e lo si può verificare anche sperimentando le difficoltà che si incontrano nella ricerca dei dati per la formazione del quadro della situazione attuale: difficoltà conseguenti alla quasi generalizzata povertà di informazioni sulla qualità e sulla stessa consistenza delle reti e degli impianti a livello comunale, nonostante che la gestione degli stessi sia molto spesso ancora effettuata dai Comuni in forma diretta.
Il quadro presentato dal PTCP, per i motivi sopra richiamati, è ancora incompleto, ma illustra fin da subito questo primo dato evidente: l’assenza o la marginalità di un’azione programmatica a livello territoriale; in molti Comuni non è stato possibile disporre dei tracciati delle reti o del sistema dei pozzi di captazione e delle sorgenti utilizzate, o, ancora, di ambedue.
E’ possibile comunque, da questa prima ricognizione individuare alcune condizioni problematiche di carattere generale e locale su cui svolgere riflessioni di qualche interesse.
La ricognizione consiste nella localizzazione delle principali risorse idropotabili esistenti ed in progetto, dei tracciati planimetrici delle principali reti idriche esistenti ed in progetto, e dei principali fattori di rischio di inquinamento delle acque, soprattutto del sistema superficiale di queste, tramite la pratica della fertirrigazione . Mediante una valutazione sintetica sono state inoltre segnalate le situazioni di carenza conoscitiva, ovvero di capacità delle reti.
Sono state assunte come linee di adduzione costituenti la struttura provinciale (adduttori principali) quelle con portate maggiori o uguali a 300 litri/sec. e, come linee di adduzione locali (reti minori), quelle di portata inferiore.
Le fonti di alimentazione idropotabile e gli adduttori principali esistenti con portate maggiori o uguali a 300 litri al secondo sono:
l’acquedotto di Nocera che, attingendo alle sorgenti di Bagnara, di San Giovenale ed ai pozzi di Cese ubicati nel Comune di Nocera Umbra, distribuiscono acqua nei Comuni di Nocera Umbra, Assisi, Bastia Umbra, Perugia, Corciano, Magione e Passignano sul Trasimeno;
il sistema costituito dal campo pozzi di Petrignano, in parte nel Comune di Assisi e in parte nel Comune di Bastia Umbra, che attinge in acquifero alluvionale sino alla profondità di 120 m e rifornisce i Comuni di Perugia, Assisi, Bastia Umbra, Torgiano e Bettona e dal campo pozzi di Cannara, con pozzi ubicati nei comuni di Assisi, Cannara e Bettona, che attinge in acquifero alluvionale sino alla profondità di 150 m. e, oltre a servire Perugia, rifornisce i Comuni di Cannara, Corciano, Magione e Passignano sul Trasimeno;
la sorgente Scirca nel Comune di Costacciaro che serve, tramite l’omonimo acquedotto, i Comuni di Perugia, Sigillo e in piccola parte il territorio comunale di Gubbio;
il campo pozzi di S. Orfeto nel Comune di Perugia che serve le frazioni a nord di Perugia tramite una linea che si mette poi in rete a Ponte Pattoli ed a Cenerente;
la sorgente di Rasiglia nel Comune di Foligno che tramite l’acquedotto Valle Umbra serve, oltre al Comune di Foligno, quelli di Trevi e Montefalco, per poi diramarsi nei Comuni di Bevagna, Gualdo Cattaneo, Giano dell’Umbria e Castel Ritaldi;
la sorgente di Capodacqua nel Comune di Foligno che serve Foligno e Spello con una breve linea che alimenta la rete intercomunale;
la sorgente di Capo d’Acqua (Postignano) nel Comune di Sellano che serve i Comuni di Spoleto e di Campello sul Clitunno tramite l’acquedotto dell’Argentina.
E’ stata inoltre censita l’ubicazione di pozzi e sorgenti di captazione idropotabile e le reti idriche di adduzione di interesse locale che in alcuni casi assolvono a funzione intercomunale.
Dall’analisi risulta che l’approvvigionamento idrico per scopi idropotabili è un problema rilevante per quanto riguarda alcuni Comuni della Provincia che accusano carenze idriche e un graduale peggioramento qualitativo delle risorse idriche disponibili.
L’analisi, che conferma, pur aggiornandone i dati, le linee riscontrate anche da altri precedenti studi a scala regionale (Libro Verde per l’Ambiente dell’Umbria –I.R.R.E.S. 1993), evidenzia come il sistema acquedottistico umbro sia ancora caratterizzato da una forte frammentarietà: a fronte di pochi acquedotti, di tipo consortile, che servono più comuni e fanno capo alle principali risorse idriche regionali, vi è un altissimo numero di acquedotti, medio piccoli o piccolissimi, che captano le acque di un numero ancora più elevato di fonti idriche, a volte non adeguate: la popolazione servita è circa il 93% del totale della popolazione residente.
Le principali fonti di approvvigionamento sono di due tipi: le sorgenti carbonatiche, diffuse nell’ambito montuoso della fascia orientale della regione, e i campi pozzi dei principali acquiferi alluvionali di pianura. Da queste vengono serviti tutti i comuni della fascia orientale e un certo numero di comuni della parte centrale e meridionale raggiunti dagli acquedotti consortili.
I comuni della fascia occidentale e della parte settentrionale della regione provvedono al loro approvvigionamento idrico da fonti locali, costituite da un gran numero di pozzi e sorgenti con portate limitate, variamente distribuite nelle fasce collinari. Fanno riferimento prevalentemente a risorse idriche superficiali solo due comuni, Castiglione del Lago e Passignano sul Trasimeno, che derivano tutto o parte del loro fabbisogno idropotabile dal Lago Trasimeno e nelle cui aree è forte la pratica della fertirrigazione per lo smaltimento dei liquami di provenienza zootecnica. Il volume del prelievo idrico destinato al consumo civile è fortemente variabile da comune a comune; la punta massima si ha nel Capoluogo di Provincia, ove il prelievo idrico ad uso civile è compreso tra 10 e 15 milioni di metri cubi all’anno.
Il consumo netto giornaliero per abitante a livello regionale è 226 l/g (dati I.R.R.E.S., 1993), con oscillazioni tra punte minime inferiori ai 100 l/g per abitante e massime superiori ai 1000 l/g, cui si dovrebbero addizionare oscillazioni stagionali piuttosto sensibili. La fascia sud-occidentale della provincia presenta valori medi inferiori all’intervallo guida con punte minime, in alcuni comuni dell’Umbria settentrionale, dove il consumo medio per abitante scende sotto i 100 litri al giorno. Fanno eccezione alcuni comuni che vengono serviti da acquedotti consortili.
Nei comuni della fascia orientale, più ricchi di risorsa, si hanno consumi superiori alla media regionale con valori massimi per i comuni della Valnerina dove si registrano punte che superano i 100 l/g. La percentuale di perdite in rete media regionale è circa il 30%, quando il valore delle perdite di un sistema acquedottistico efficiente si dovrebbe contenere attorno al 10%.
Circa 2/3 dei comuni della regione dichiarano perdite in rete più elevate dell’intervallo guida 15-25%. Nella maggior parte dei casi il valore viene superato di poco (rimanendo contenuto al di sotto del 35%), ma in alcuni casi si raggiungono punte superiori al 50%. Il dato interessante è che le perdite maggiori si verificano per lo più proprio in alcuni comuni più poveri di risorsa e che soffrono di maggiori carenze.
A livello regionale, circa 2/3 dei comuni umbri presentano problemi di carenza idrica estiva più o meno gravi. Per 37 di questi comuni i problemi si presentano ogni anno per periodi superiori ad un mese.
Le cause della carenza idrica sono di varia natura, alcune legate all’effettiva insufficienza del volume idrico immesso in rete, altre conseguenti alle eccessive perdite o alla mancata efficienza della rete di distribuzione (serbatoi con capacità insufficiente, guasti, ecc.), ma la frammentarietà delle reti comunali e la pratica di acquedotti realizzati per soddisfare in modo esclusivo le esigenze di frazioni o piccoli aggregati, costituisce, inoltre, una causa non secondaria delle situazioni di carenza idrica per l’impossibilità di azioni compensative proprie dei sistemi a rete.
Le situazioni più gravi sono ancora una volta dei comuni della fascia sud-occidentale della provincia dove, in diversi casi, la carenza idrica tocca nel periodo estivo, percentuali di utenza comprese tra il 60 e il 100%. Interessante è il dato relativo ai comuni più ricchi di risorsa, in molti dei quali viene denunciata carenza idrica estiva da una percentuale di utenti variabile tra il 10 e il 50%: questo è probabilmente l’effetto di una non adeguata gestione della risorsa. Alcuni progetti in corso rappresentano positivi passi in avanti verso un sistema di reti che potrebbe fornire risposte adeguate alle problematiche sopra elencate; in particolare il progetto di due campi pozzi nei Monti Martani e nei Monti d’Amelia (in Provincia di Terni), da parte del Consorzio Acquedotti di Perugia, che consentirà l’adduzione da tali risorse idriche ai Comuni della Media Valle del Tevere e la sua messa in rete con l’acquedotto di Cannara. Altre opere in previsione riguardano l’adduzione dal sistema del perugino verso alcuni comuni del Trasimeno (Castiglione del Lago, Città della Pieve, Piegaro, Paciano Panicale e Tuoro sul Trasimeno). Sono inoltre indicate altre opere in previsione di interesse locale da parte dei Comuni di Città della Pieve e Trevi.
Pur nella imprecisione che deriva dall’aver assemblato cartografie e dati provenienti da varie fonti e non del tutto omogenee, è possibile rilevare la carenza di informazioni su vaste aree del territorio provinciale (Gubbio, Gualdo Tadino, Nocera Umbra, Montefalco, Castel Ritaldi, Giano dell’Umbria, Gualdo Cattaneo, Bevagna, Bettona, alcuni comuni della Valnerina,). Altro limite dell’attuale quadro è la non coerenza fra le scale di rappresentazione originaria dei sistemi delle reti comunali; fattore di incompletezza sono la scala di dettaglio, la schematicità di alcune parti (comune di Sellano, Massa Martana, Valfabbrica) la non distinzione tra pozzi e sorgenti. Nel comune di Cascia è stato possibile inserire le sorgenti in quanto rappresentate nella base cartografica (sono comunque da verificare con il Comune). Per alcuni comuni le informazioni, provenienti da più fonti, si sono sovrapposte (Passignano sul Trasimeno, Torgiano, Monte Castello di Vibio) tanto da indurre a semplificare operando delle scelte, per quanto riguarda le incongruenze tra i diversi tracciati indicati dalle varie aziende di gestione, solo in parte direttamente verificate, e che comunque dovranno essere meglio controllate nel dettaglio alla scala comunale.
Per quanto riguarda le forme di gestione, è stato inoltre fatto un confronto tra la situazione attuale e quella ipotizzata dalla L.36/94 così come recepita dalla legge regionale umbra. I due ambiti territoriali ottimali (ATO), in cui è stato diviso il territorio della Provincia di Perugia, corrispondono solo parzialmente all’assetto tendenziale rappresentato dall’affermazione di due aziende di dimensioni significative e creano anche situazioni di grossa incongruenza con una suddivisione in Ambiti che non rispetta il rapporto tra distribuzione della risorsa e territorio di origine (per es. l’appartenenza del Comune di Nocera Umbra ad un ambito diverso da quello cui è fornitore principale di acqua).
Ricadute territoriali
Il tema si rapporta al contesto territoriale su due livelli operativi, ambedue essenziali:
1) il regolare soddisfacimento del fabbisogno idrico come condizione base per un livello qualitativo degli ambiti insediativi soddisfacente;
2) la necessità di un uso razionale della risorsa che veda nella gestione del ciclo integrato della risorsa idrica la premessa di ogni progetto di sviluppo sostenibile.
Ambedue gli obbiettivi hanno come passaggio obbligato il superamento dell’eccessiva ed inefficiente frammentazione gestionale.
Il PTCP anche in questa materia ha la possibilità di svolgere un ruolo significativo ed essenziale in quanto rappresenta di fatto l’azione di coordinamento tra i Comuni in una dimensione, quella provinciale, che è adeguata alla gestione del problema ed al tempo stesso ha la possibilità di sviluppare, assieme al coordinamento, l’azione di tutela ambientale che gli compete.
Un’azione che il PTCP dovrà sostenere e promuovere è la creazione di reti acquedottistiche sovracomunali; ciò potrà essere perseguito mediante varie iniziative, sia rivolte ai singoli Comuni che dispongono di impianti e reti antiquati e maltenuti, sia copianificando azioni di messa in rete degli impianti in modo di chiudere una maglia a livello provinciale o di Ambito Territoriale Ottimale. Si tratta di un lavoro in cui il rapporto di copianificazione con i Comuni, in campo urbanistico e territoriale, pur importante qualitativamente e strategicamente, non può che essere marginale, a differenza degli ambiti più specificamente settoriali, ove la Provincia- specie in tema di monitoraggio delle qualità delle acque e dei suoli e quindi di tutela ambientale- ha un ruolo preciso, oltre che una specifica capacità di connessione con la gestione integrata della risorsa idrica.
Indirizzi normativi
La tutela quantitativa della risorsa idrica concorre al raggiungimento degli obbiettivi di qualità previsti dal DLS 152/99. Il PTCP, oltre ad affermare l’importanza del tema delle reti idriche nella pianificazione urbanistica, segnala alcune esigenze che, in sede di formazione dei PRG, ritiene debbano essere considerate:
la conoscenza delle reti e la valutazione della loro capacità di sopperire al fabbisogno insediativo deve essere un elemento non secondario nella definizione delle scelte di PRG in merito al sistema insediativo comunale. Pertanto i Comuni, in quella sede e sulla base di censimenti delle linee ed impianti, costruiranno un bilancio della risorsa in ambito comunale e per i singoli ambiti insediativi.
La regolamentazione ed il controllo dei prelievi dai corpi idrici, per gli usi irrigui, costituisce una esigenza primaria per il bilancio idrico provinciale. Lo sviluppo delle reti irrigue e degli invasi che le alimentano, può rappresentare un’azione di razionalizzazione dell’uso della risorsa, come può esserlo il recupero delle acque reflue depurate.
Il tematismo rappresenta i principali collettori fognari civili e zootecnici, gli impianti di depurazione con la loro capacità di servizio espressa in Abitanti Equivalenti (Ab Eq), il quadro sintetico per Comune e la qualità biologica dei corsi d’acqua principali su cui sono disponibili i risultati del monitoraggio effettuato per la Regione; il quadro della struttura del collettamento fognario e dei depuratori è stato realizzato con dati del 1998, la condizione di inquinamento delle acque dei fiumi è stata definita con dati del 1995.
Le informazioni relative ai depuratori sono state desunte incrociando i dati del censimento effettuato presso i Comuni in occasione della formazione dei bilanci urbanistici e quelli di origine regionale (Area Ambiente ed Infrastrutture); la ricostruzione delle reti dei collettori fognari è basata sui dati comunali. Anche in questo caso, come per le reti idropotabili, la ricostruzione dei tracciati delle reti è stata assai difficile per la carenza diffusa delle informazioni che non ha consentito la predisposizione di un quadro completo ed esaustivo.
Al di là di questa carenza ricorrente, soprattutto per quanto riguarda la conoscenza delle reti, va immediatamente rilevata la particolare situazione in cui si trova il territorio provinciale caratterizzato da una fase di grande vivacità nella produzione o adeguamento degli impianti.
Nella provincia vi sono in totale 111 depuratori civili (di cui 11 in fase di ampliamento e 13 in costruzione) per una potenzialità, in abitanti equivalenti, maggiore della popolazione totale stimata al 31/12/1996 e per l’88,10% di popolazione servita. Per descrivere le caratteristiche dei depuratori è stato fatto un confronto e un aggiornamento tra i dati raccolti nei Comuni e nelle aziende municipalizzate con i dati forniti dalla Regione dell’Umbria.
Dagli elaborati è evidenziata la disomogeneità nella distribuzione e nella dimensione dei depuratori che, in alcuni casi, rispondono ad esigenze strettamente locali con disseminazione di impianti in ogni frazione (Comuni di Todi e Gualdo Cattaneo) mentre, in altri casi, hanno funzione intercomunale con consorzi di più Comuni. Questa seconda situazione, che senza dubbio rappresenta una forma più avanzata di gestione per l’economia di scala e le maggiori garanzie di efficienza che essa comporta, è riscontrabile con maggiore frequenza nelle aree interessate dai fenomeni concentrativi ed a più alta densità insediativa, ma è ancora lontano dal presentarsi in maniera sistematica in tutte le aree che richiederebbero una attenzione particolare al problema.
Attualmente (dato 1998) sono 12 i Comuni privi di depuratori o di collegamento agli impianti di depurazione contermini.
Tutti e 12 hanno una popolazione inferiore a 4.000 ab.:
8 di questi (Monte Santa Maria Tiberina, Valtopina, Cerreto di Spoleto, Vallo di Nera, Poggiodomo e Monteleone di Spoleto), sono del tutto privi di impianti per la depurazione e lo smaltimento, ma sono comuni con popolazione inferiore a 1.500 abitanti, ad eccezione dei Comuni di Piegaro e Campello sul Clitunno (con popolazione superiore a 1.500 ab. Gli altri quattro (Collazzone, Fossato di Vico, Massa Martana e Preci) hanno i depuratori in fase di costruzione.
Alcuni Comuni appaiono invece con carenze significative per quanto concerne la depurazione dei reflui e per essi la capacità residua di depurazione è inferiore al 30% rispetto alla capacità totale; in questi casi è evidente che eventuali scelte di rafforzamento insediativo dovranno inevitabilmente considerare i riflessi che esse avranno sul sistema del trattamento dei reflui.
Si evidenzia ancora la carenza di informazioni relativa alla rete dei principali collettori fognari in due vaste zone del territorio (Gubbio - Gualdo Tadino - Nocera Umbra e Bevagna - Gualdo Cattaneo - Montefalco -Castel Ritaldi - Giano dell’Umbria).
Alla luce dei dati disponibili (“Libro verde per l’ambiente dell’Umbria”, I.R.R.E.S., 1994 e campagna ricognitiva copianificata con i Comuni), in Umbria più del 70% della popolazione residente risulta servita da impianti di depurazione, alcuni dei quali trattano anche reflui industriali o comunque provenienti da altre funzioni. Il tipo di trattamento di depurazione effettuato varia da impianto ad impianto, in funzione delle caratteristiche e dell’entità dei reflui trattati, passando dal semplice trattamento in vasche Imhoff ( che però non sono state considerate nel censimento) ad altri trattamenti più spinti che comprendono la digestione, la denitrificazione, fino alla defosfatazione.
E’ stata già ricordata la presenza di decine di piccoli e piccolissimi impianti che, se forse motivati dalle peculiarità morfologiche ed amministrative del territorio, rappresentano situazioni probabilmente superate soprattutto per i dubbi che sorgono sulla loro affidabilità gestionale.
Ricadute territoriali
Il Parlamento, con la legge 36/94, ha impostato una nuova modalità di gestione del ciclo delle acque attraverso l’introduzione del concetto di gestione integrata per ambiti ottimali, l’introduzione di criteri industriali con un sistema tariffario in grado di remunerare gli investimenti, la qualificazione della funzione pubblica come azione di indirizzo e controllo, separata definitivamente dalla gestione, la proposta di prime forme di federalismo cooperativo, la partecipazione e la trasparenza come elementi di sviluppo.
Malgrado il ritardo nell’applicazione di questa legge, essa ha un significato estremamente rilevante e ben al di là degli effetti settoriali:
essa infatti avvia un processo di industrializzazione in un settore strategico, fin qui occupato da una infinità di gestori di sistemi separati, per lo più comunali in economia, aprendovi un mercato cui potranno accedere investitori e società, pone le basi per piani di investimento necessari e consistenti per superare il gap manutentivo ed infrastrutturale, sia relativamente al sistema fogna-rio che a quello idropotabile, che potranno avere significative ripercussioni sulla politica del lavoro;
introduce il criterio dello sviluppo sostenibile, essenziale per una risorsa quantitativamente scarsa e qualitativamente da salvaguardare; ciò potrà avvenire con l’avvio di forme di contabilità ambientale anche ai fini della determinazione della tariffa, iniziando così ad inserire nei costi di produzione i costi ambientali, come deve essere in un processo industriale moderno.
La programmazione della risorsa, il bilancio idrico e la risoluzione dei conflitti d’uso della risorsa stessa, non può che avvenire alla scala di bacino idrografico: si tratta di una affermazione che segnala, da una parte, la difficoltà oggettiva di governare il problema allo stato attuale delle cose, per la mancanza di un Ente rappresentativo a quella scala, dall’altra, le ulteriori potenzialità operative che possono derivare da quanto mosso dalla L.36/94 raccordato alle possibilità della L.183/89.
In tale materia la funzione del PTCP è quella di operare su due obiettivi: da una parte promuovere, con un’azione di coordinamento orizzontale, l’ammodernamento degli impianti e delle reti sia in senso tecnologico che gestionale ( passaggio da gestioni comunali a gestioni intercomunali, o meglio ancora di ambito), dall’altra, con un’azione di coordinamento verticale, sviluppare la copianificazione tra i soggetti che possono dare concreti apporti ad una gestione integrata della risorsa idrica avendo su essa specifiche competenze ed, in particolare, tra l’Autorità di Bacino, titolare della legge 183/89, la Provincia, per le significative competenze in materia, ed i Comuni singolarmente o, meglio, strutturati negli ambiti territoriali ottimali.
Il D. Lgs.152/99, artt. 27-31, Capo III, “Tutela qualitativa della risorsa: disciplina degli scarichi” introduce il principio del controllo in funzione di obbiettivi di qualità da raggiungere:
a) tutti gli agglomerati devono essere provvisti di rete fognaria, nei tempi e nei modi stabiliti all'art. 27;
b) tutti gli scarichi sono disciplinati in funzione del rispetto degli obiettivi di qualità dei corpi idrici e devono comunque essere rispettati i valori limite di emissione previsti nell'allegato 5 del decreto (art.28);
c) è vietato lo scarico sul suolo o negli strati superficiali del sottosuolo (art. 29) fatta eccezione per i casi previsti all'art. 27, comma 4, e dall'art. 29, comma 1;
d) è vietato lo scarico diretto nelle acque sotterranee e nel sottosuolo (art.30);
e) gli scarichi in acque superficiali di acque reflue industriali e di acque reflue urbane devono seguire la disciplina indicata all' art.31 del decreto;
f) È vietato l’utilizzo a fini agronomici degli effluenti di allevamento e delle acque di vegetazione dei frantoi oleari;
g) Nell’area del Trasimeno possono essere utilizzati i seguenti sistemi di smaltimento delle acque reflue:
Per agglomerati con numero di abitanti equivalente compreso fra 50 e 2000, lagunaggio, fitodepurazione, filtri percolanti o impianti ad ossidazione totale;
Per agglomerati con numero abitanti equivalente inferiore a 50: fosse settiche tipo Imhoff collegati ad impianti di sub-irrigazione.
Il PTCP, per i motivi di cui sopra, segnala l’esigenza che, in sede di formazione dei PRG, debba essere considerata con la dovuta attenzione la conoscenza delle reti e degli impianti di depurazione, nonché la valutazione della loro capacità di sopperire al fabbisogno abitativo. Questo deve essere un elemento non secondario nella definizione delle scelte di PRG in merito al sistema insediativo e, pertanto, i Comuni, in questa sede e sulla base di censimenti delle linee ed impianti, costruiranno un bilancio della risorsa in ambito comunale e per i singoli ambiti insediativi.
Nell’analisi delle componenti paesaggistiche e degli elementi puntuali di definizione del paesaggio, una attenzione particolare è stata posta, oltre che alla ricognizione di tutto ciò che fornisce, in quanto singolarità,
valore aggiunto alla caratterizzazione complessiva dell’ambito paesaggistico, anche alla presenza di elementi di disturbo o di fattori negativi che, con la loro visibilità, riducono il pregio e l’attrattività dei luoghi.
Questa attenzione è stata posta al fine di individuare gli elementi di una matrice che potrà consentire, al momento ed alla scala opportuna, la formazione di un bilancio paesaggistico ambientale nelle singole unità di riferimento territoriale (Unità di Paesaggio) e di programmare azioni di valorizzazione del patrimonio paesaggistico-ambientale al loro interno, avendo definito con chiarezza gli elementi, strutturali, a livello d’area vasta e quindi per un ambito di copianificazione, su cui sarà necessario agire.
Il momento e la scala opportuni non potranno che essere quelli comunali, vale a dire quelli in cui si viene a formare il PRG e, con esso, la previsione effettiva delle scelte urbanistiche; la dimensione della matrice è sovracomunale e pertanto le problematiche dovranno essere affrontate con un processo di copianificazione in cui il PTCP dovrà essere soggetto attivo.
L’individuazione degli elementi di detrazione di valore paesaggistico-ambientale è stata fatta sulla base dei tematismi affrontati dal PTCP; su elementi strutturali, quindi, del Piano Provinciale e per i quali è presumibile una ricaduta negativa sul paesaggio.
Si tratta in primo luogo delle attività produttive in generale che, con la visibilità delle aree industriali sulle quali insistono, costituiscono segni non sempre coerenti con l’ambiente che li ospita, ed in particolare, delle attività estrattive che, per loro stessa natura, aggrediscono in maniera violenta aree spesso di notevole importanza naturalistica, o delle attività connesse al recupero dei rifiuti e dei rottami, dei grossi insediamenti di produzione energetica, degli impianti di depurazione dei reflui, ecc.
E’ chiaro che gli elementi sopra indicati agiscono nella riduzione del pregio ambientale in maniera assai diversificata per gli effetti e che gli stessi atti compensativi possono essere di caso in caso diversi per peso ed impegno.
In ogni modo, comunque, il rapporto tra il nuovo processo produttivo-funzionale introdotto e l’equilibrio ambientale e paesaggistico scosso deve essere preventivamente considerato al fine di ricostruire un nuovo equilibrio, quale condizione per la attuabilità della scelta.
In questi casi, il PTCP è il luogo della riduzione a coerenza del problema, rappresentato dalla essenzialità di alcune funzioni e di alcuni servizi (a volte azioni necessarie anche per perseguire la stessa sostenibilità dello sviluppo) ed insieme, dalla caduta di valore ambientale che i luoghi o gli insediamenti, su cui si svolgono quelle attività, necessariamente subiscono.
L’elaborato descrive ancora una serie di informazioni specifiche e minute che derivano da segnalazioni pervenute all’Ufficio di Piano a seguito dell’azione di monitoraggio istituzionalmente svolta dalla Provincia di Perugia; queste segnalano situazioni di degrado ambientale e di inquinamento paesaggistico e/o ecologico, che dovrebbero essere rimosse, una volta verificata la loro permanenza. Si tratta per lo più di abbandoni o discariche abusive di dimensioni o visibilità particolarmente significativa.
L’elaborato inoltre segnala gli ambiti territoriali in cui forte è la pratica della fertirrigazione, la quale può comportare significative limitazioni all’uso produttivo, in senso turistico o di valorizzazione ambientale, del territorio, se non più pesanti alterazioni di tipo ecologico, sul ciclo delle acque.
Ricadute territoriali
Per questo tema, l’obbiettivo del PTCP è, nella attuale fase, quello di rappresentare ai Comuni un quadro il più completo possibile per la scala d’area vasta (ma anche per la scala comunale stessa in prima analisi) degli elementi puntuali che agiscono negativamente sul paesaggio del loro territorio, proponendo che, in sede di formazione dei PRG, vengano valutate le conseguenze dello svolgimento di tali azioni e quindi siano individuate le forme di controllo, di compensazione e quanto altro risulti adeguato e pertinente alla minimizzazione dell’azione di degrado ovvero al suo azzeramento.
Il PTCP inoltre fornisce gli elementi valutativi per evidenziare, tramite il confronto della situazione qui descritta con il quadro delle aree oggetto di tutela ambientale e panoramica (§ A.5.1.), delle aree di interesse naturalistico-vegetazionale e faunistico (§ A.2.1.), o delle risorse storico-architettoniche (§ A.3.1.- A.3.3.), le situazioni di maggiore incoerenza e quelle in cui la necessità di un intervento correttivo deve essere posta con urgenza.
I Comuni pertanto, oltre a disporre di uno strumento conoscitivo per verificare le potenzialità insite nel proprio territorio e introdurle nel processo di pianificazione come fattori di sviluppo, potranno verificare la reale consistenza delle situazioni problematiche evidenziate nella maniera sopra descritta, e definire di conseguenza le proprie determinazioni.
Le stesse direttive per la Pianificazione Paesaggistica, contenute nei “Criteri, Indirizzi, direttive, prescrizioni” del PTCP (all’interno dell’Atlante della Struttura del PTCP), definiscono la disciplina specifica per alcune delle situazioni di maggiore gravità e rilevanza paesaggistica.
Il tema dei rifiuti solidi urbani interessa ogni livello della gestione del territorio e costituisce un momento di verifica importante della sua coerenza e correttezza.
Alla dimensione dell’area vasta, il tema può essere centrato sul rapporto tra la gestione dei rifiuti e l’uso compatibile delle risorse in un quadro di sostenibilità complessiva; le quantità dei rifiuti oggi prodotte, infatti, con difficoltà riescono oggi a rientrare, in modo naturale e non assistito, nel ciclo vitale di rinnovamento delle risorse e richiedono pertanto una organizzazione dei trattamenti basata su tecniche e sistemi che possono riattivare ed a volte anche potenziare, il ciclo naturale.
Il tema ha incisive correlazioni con il territorio: la raccolta1 che coinvolge pesantemente l’immagine urbana, lo smaltimento che può rappresentare un elemento di grande conflittualità tra le comunità locali ed Enti competenti e che ha costituito, con le discariche, una problematica di grande impatto per i rischi ambientali ed ecologici, la trasformazione2 e l’insieme delle attività ad essa collegate, che, per i grandi interessi economici che muove, ha profonde ricadute sulla gestione degli assetti territoriali.
Il tema riveste anche una specificità legata al territorio ed alle sue forme insediative e l’obbiettivo del PTCP della Provincia di Perugia è quello di individuare tale specificità per coglierne gli aspetti più problematici dal punto di vista territoriale.
L’elaborato grafico è stato costruito sulla base dei dati forniti dal 2° Piano Regionale per la gestione integrata e razionale dei residui e dei rifiuti, ancora non approvato e facendo riferimento all’attuale assetto del sistema,
formatosi sulla base del 1° Piano Regionale, approvato nel 1987, e dei suoi successivi adeguamenti e modifiche. I dati presi in considerazione sono, oltre alla rete degli impianti di trasferenza, di selezione, trasformazione e discarica, la produzione annua di rifiuti per comune, le quote di raccolta differenziata, le quote di rifiuti solidi che vengono trattati con operazioni di selezione e riciclaggio, la produzione annua di rifiuti pericolosi, sempre per Comuni.
L’elaborato segnala anche le localizzazioni delle recenti ed innovative iniziative, quali le riciclerie o isole ecologiche, che sulla base di un progetto a finanziamento europeo, denominato SUWmira, la Provincia di Perugia sta realizzando nell’area del Trasimeno; un’area pilota per sperimentare la raccolta differenziata in zone a bassa concentrazione urbana.
Su questo quadro di dati è stato costruito lo scenario delle operazioni inerenti la movimentazione dei rifiuti solidi urbani sul territorio provinciale, appoggiandolo sulla rete infrastrutturale viaria per consentire una prima valutazione della coerenza e sostenibilità del sistema.
Il Piano del 1987 (Piano Regionale per l’organizzazione dei servizi di smaltimento dei rifiuti, approvato con LR.44/78) prevedeva sette bacini nel territorio provinciale ove reperire i siti per le discariche intercomunali e gli impianti per il recupero dei rifiuti:
Bacino 1 (Perugia) con impianto di selezione e riciclaggio a Ponte Rio, con produzione di RDF, ed impianto di compostaggio e discarica a Pietramelina.
Bacino 2 (Alto Tevere Umbro) con discarica a Belladanza (Città di Castello).
Bacino 3 (Alto Chiascio) con discarica a Colognola (Gubbio).
Bacino 4 (Valle Umbra) con impianto di selezione, riciclaggio e compostaggio a Foligno (Casone) e discarica a S.Orsola (Spoleto).
Bacino 5 (Media Valle del Tevere) con discarica a Lorgnano (Todi):
Bacino 6 (Trasimeno) con discarica a Borgo Giglione (Magione).
Bacino 7 (Valnerina) con stazione di trasferenza a Sellano.
Questo Piano ha avuto una attuazione parziale che ha richiesto significative modifiche alle previsioni iniziali, apportate con DPGR 653/95, soprattutto per quanto riguarda il bacino n°1 a cui sono stati annessi i bacini 5 e 6 (Perugino, Media Valle del Tevere e Trasimeno) riducendo a cinque i sette bacini iniziali.
In questo nuovo assetto l’impianto di Ponte Rio è divenuto il principale impianto di selezione per il riciclaggio, con una potenzialità teorica di 200.000 t/a (6.000t/d) calcolata su 8.000 h/anno di esercizio; il carico effettivo così definito veniva ad impegnare, con le 149.000 t/a per 313 giornate lavorative, il 75% della potenzialità totale. All’interno di questo nuovo bacino era prevista l’attivazione di due stazioni di trasferenza, Bacanella (Magione), per l’area del Trasimeno, il Cerro (Marsciano) per la Media Valle del Tevere, delle quali solo la prima è stata effettivamente realizzata.
Analogamente non è mai stata realizzata la discarica controllata di Lorgnano (Todi).
Nel Bacino 1 il quadro che emerge da questa situazione è pertanto il seguente: tutti i comuni ricadenti in questo bacino d’utenza conferiscono i rifiuti urbani all’impianto di selezione e riciclaggio sito in loc. Ponte Rio del Comune di Perugia; i sovvalli prodotti da tale impianto sono conferiti sia presso la discarica sita in Borgo Giglione (per la parte dei rifiuti prodotti dai Comuni del Lago Trasimeno, ex bacino n. 6) sia presso la discarica sita in Pietramelina (per la parte dei rifiuti prodotti dai Comuni appartenenti agli ex bacini n. 1 e 5).
La frazione organica, prodotta dalla preselezione dei rifiuti urbani di Ponte Rio, è conferita all’impianto di compostaggio ubicato all’interno dell’area di discarica di Pietramelina, per la produzione di compost maturo.
La potenzialità di detto impianto è di 150 t/d di materia organica grezza che, dopo un calo di fermentazione ed una perdita di umidità del 50%, si trasforma in 16 t/d di compost a granulometria media (umidità 30-33%), 24 t/d di compost a granulometria fine (umidità 30-33%), 34 t/d di rigetti inerti da collocare in discarica.
Presso l’impianto di Ponte Rio viene anche effettuata la separazione dei materiali dei contenitori per la raccolta Differenziata Multimateriale (vetro, plastiche, alluminio, ferrosi).
I Comuni del Lago Trasimeno, ex bacino n. 6, ad eccezione del Comune di Tuoro sul Trasimeno, utilizzano la stazione di trasferenza sita nel Comune di Magione, Loc. Bacanella. Tale stazione è realizzata in posizione baricentrica rispetto alle percorrenze degli autocompattatori adibiti alla raccolta dei rifiuti urbani e in vicinanza di infrastrutture viarie di grande comunicazione (E45).
La sua realizzazione ha minimizzato i costi del trasporto, in quanto, sono utilizzati autoarticolati con grosse portate in sostituzione dei normali automezzi di piccola e media portata e ha ridotto l’inquinamento prodotto dagli autoveicoli il cui numero è drasticamente diminuito.
Anche il Comune di S. Venanzo, che appartiene alla Provincia di Terni, conferisce i propri rifiuti urbani
all’impianto di selezione per il riciclaggio di Ponte Rio, mentre essendo chilometricamente molto più vicino, potrebbe conferirli all’impianto sito in Loc. Le Crete del Comune di Orvieto.
La mancata realizzazione in località “Il Cerro” del Comune di Marsciano della stazione di trasferenza, prevista dal Piano Regionale per la organizzazione dei servizi di smaltimento dei rifiuti, non ha permesso l’ottimizzazio- ne del trasporto dei rifiuti urbani dell’ex bacino n. 5 e pertanto non ha inciso sui costi di gestione e sull’inquina- mento atmosferico prodotto dai veicoli.
Il Piano Regionale per lo smaltimento dei rifiuti, prevedeva inoltre la costruzione in località Lorgnano di una discarica posta al servizio del bacino n.5 che non è stata realizzata.
Nel Bacino 2, i Comuni smaltiscono i rifiuti solidi urbani nella discarica in loc. Belladanza, talquali, senza alcun trattamento. In discarica è in funzione un impianto di captazione del biogas prodotto per la produzione di energia elettrica.
Nel Bacino 3, i Comuni smaltiscono i rifiuti solidi urbani prodotti nella discarica di Colognola, talquali senza trattamenti.
Nel Bacino 4, i Comuni conferiscono i rifiuti solidi urbani prodotti all’impianto di selezione e riciclaggio in loc. Casone, in cui è attivo un impianto di compostaggio per la produzione di compost maturo con una potenzialità di 130 t/d per 250 giorni all’anno, con h/d.8.
La frazione secca ed i sovvalli della produzione dell’impianto sono smaltiti nella discarica di S.Orsola.
All’interno del bacino, il Comune di Spoleto si è dotato di una stazione di trasferenza per ottimizzare il trasporto dei rifiuti urbani all’impianto di Casone.
Nel Bacino 7, i Comuni della Valnerina conferiscono direttamente i rifiuti presso l’impianto di selezione e riciclaggio di Casone per la mancata attivazione della prevista stazione di trasferenza di Sellano.
La situazione nella provincia di Perugia presenta i seguenti caratteri:
- Rifiuti Solidi Urbani (RSU) raccolti: t/anno 276888
- Discariche di 1° categoria esistenti n. 5
- Centri di trasferenza: esistenti n. 2, in progetto n. 2
- Impianti di riciclaggio n. 2
- Impianti di compostaggio n. 2
Il peso dei bacini 1 (168.932 ton/a.) e 4 (57.002 ton/ a.) risulta preponderante rispetto a quello degli altri bacini, sia per la estensione che, soprattutto, per la presenza delle principali città della provincia; i due bacini producono infatti oltre l’80% del totale provinciale ed i soli comuni di Perugia, Foligno e Spoleto producono rispettivamente il 31%, il 9% ed il 6%.
Assolutamente trascurabile è la produzione del bacino 7 (Valnerina) con il 2% della produzione provinciale.
Il quadro evidenzia inoltre una estesa diffusione del trattamento dei rifiuti solidi urbani, che avviene nei
centri di Ponte Rio e Casone e che coinvolge mediamente il 54,5% della produzione complessiva, ma che nella maggior parte dei comuni oscilla tra il 60 ed il 70%, mentre indica una non altrettanto diffusa
ed affermata esperienza di raccolta differenziata, che presenta situazioni forti in alcuni piccoli centri, ma non una sistematica organizzazione.
Il valore medio provinciale è pari all’ 8,56% dei RSU e le punte più significative interessano comuni diversi sia per collocazione che per dimensione: se il piccolo comune di Sigillo segnala un 29,68%, Perugia rappresenta la punta più forte anche in assoluto con il 16,96% rispetto al totale della sua produzione di rifiuti, Umbertide segna il 10,94%, Marsciano il 9,01%, Todi l’8,89%, Città di Castello il 7,73%.
Ricadute territoriali
Il Decreto Ronchi (1997) ha per la prima volta regolamentato in Italia la materia dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani ed ha responsabilizzato le comunità locali affidando ad esse il compito dello smaltimento, inteso come ciclo complessivo, ed indicando la linea della valorizzazione.
Il decreto prevede il rafforzamento della raccolta differenziata, come prima essenziale riduzione della produzione di rifiuti solidi urbani, che mediamente nella provincia di Perugia è oggi dell’8,56% (con punte del 29,18%), il riciclaggio della frazione secca, il compostaggio della frazione umida (residui alimentari ed organici), la termovalorizzazione del sovvallo ed infine il conferimento in discarica delle scorie e delle ceneri opportunamente trattate.
Viene così a cambiare sostanzialmente il ruolo delle discariche che non potranno più (dal 2003) accogliere il talquale o i rifiuti non trattati.
A fronte dello schema definito dal Decreto, il sistema regionale sopra descritto presenta delle carenze e degli elementi di contrasto, focalizzati soprattutto sul permanere, in alcuni bacini, di discariche (Colognola e Belladanza) prive di impianti di selezione e riciclaggio e sul non affrontare il problema delle discariche di Pietramelina e di Borgo Giglione, cui conferiscono i comuni del bacino n°1, in quanto il confinamento all’interno delle stesse della frazione secca, accelera il loro esaurimento.
Oltre al problema delle discariche e della conflittualità sociale che si origina ad ogni proposta di realizzazione di discariche controllate di tipo tradizionale, la mancata realizzazione dell’intero sistema delle stazioni di trasferenza, ed in particolare di quella di Cerro, ha inoltre creato una situazione non propriamente razionale dei trasferimenti, costringendo i comuni ad effettuare costosi trasporti che incidono in maniera pesante sui costi di gestione oltre che agire negativamente sul problema dell’inquinamento da emissioni gassose.
E’ infine aperta un’altra fondamentale questione che riguarda l’effettiva chiusura del ciclo prevista dal Decreto Ronchi e che corrisponde alla termovalorizzazione dei prodotti di selezione e riciclaggio.
Attualmente le capacità degli impianti di Casone e soprattutto di Ponte Rio garantiscono il trattamento per la quasi totalità della massa di RSU provinciale e producono sia compost che frazione secca, ma gran parte di questo materiale, e tutta la frazione secca, viene poi conferito in discarica per mancanza di utilizzatori, vanificando l’intero processo.
La presenza di due centrali termoelettriche dell’Enel nella provincia di Perugia, nonché l’affermata e cospicua attività di alcune industrie del cemento di livello nazionale, forniscono validi spunti per organizzare una ipotesi di gestione integrata del trattamento RSU; le verifiche fatte con i soggetti interessati confermano la ragionevolezza e la fattibilità di questa ipotesi che prevede l’utilizzo di impianti produttivi come soggetti attuatori della termovalorizzazione.
Un ruolo importante in questo quadro è quello della centrale termoelettrica di Ponte di Ferro (Gualdo Cattaneo) con due sezioni da 70MW, la quale risulta essere nella condizione migliore per poter utilizzare anche sui tempi lunghi il combustibile derivato da rifiuti.
La Centrale di Pietrafitta (due sezioni da 35MW), invece, attualmente alimentata con la lignite proveniente dalle miniere di Bastardo, è in fase di conversione per la messa in funzione di un impianto a metano, alla cui entrata in esercizio gli attuali impianti devono essere dismessi.
La Centrale di Ponte di Ferro è invece destinata a continuare la sua produzione (regime minimo previsto 7000 ore/anno): il suo fabbisogno di combustibile è di circa 300.000 ton/anno e l’apporto di frazione secca e/ o CDR potrà essere di oltre 3000 ton/anno.
La frazione secca, se di basso potere calorifico potrà essere assunto dall’Enel a costo zero, mentre, se di buona qualità, potrà fornire anche un utile diretto.
Le possibilità di utilizzo del CDR sono presenti anche in rapporto alle cementerie, per cui nel sistema provinciale la quasi totalità dei sovvalli da riciclaggio potrà essere smaltita senza andare in discarica.
Lo scenario che viene pertanto proposto è quello della conversione delle due discariche di Belladanza e di Colognola in stazioni di trasferenza per il conferimento dei rifiuti agli impianti di Ponte Rio e di Casone ed all’utilizzo delle discariche solo per le scorie e le ceneri, riducendo notevolmente il loro impatto finale.
L’attivazione della stazione di trasferenza di Cerro (Marsciano) risulta essenziale per razionalizzare il trasporto del materiale che dalla Media Valle del Tevere, ed in particolare dal Tuderte, risale fino a Ponte Rio riducendone i costi e l’impatto inquinante; il collegamento della Valnerina con il centro di trattamento di Casone, potrebbe avvenire in forme diverse senza la attivazione della stazione di Sellano potendo la Bassa Valnerina ed il Casciano conferire alla stazione di trasferenza di Spoleto (Camposalese) e il Nursino ed il Sellanese direttamente a Casone.
L’estensione dell’esperienza delle riciclerie o isole ecologiche al bacino della Valnerina potrebbe infine sviluppare la raccolta differenziata anche in questo ambito di bassa concentrazione residenziale.
Indirizzi normativi
Il tema del trattamento dei rifiuti solidi urbani muove, come sopra descritto, numerose questioni che hanno significative ricadute territoriali ed il cui sviluppo attiene principalmente alle politiche settoriali della gestione piuttosto che alla identificazione dei caratteri strutturali del territorio, se non per una verifica, a priori e preliminare, delle compatibilità delle funzioni che si intendono insediare con quei caratteri identificativi.
Ciononostante, il modello sopra proposto pone alcune condizioni di carattere localizzativo all’interno del sistema, che coinvolgono la pianificazione urbanistica strutturale dei Comuni assegnando ad alcune aree delle funzioni essenziali per il funzionamento del sistema provinciale e chiedendo ai Comuni stessi di far anche proprie le problematiche connesse alla conferma o alle previsione di tali funzioni sul proprio territorio.
In particolare, le indicazioni sono le seguenti:
• Viene confermata l’opportunità di attivare una stazione di trasferenza nella Media Valle del Tevere (e la proposta della località Cerro, in Comune di Marsciano, risulta non presentare controindicazioni) per la concentrazione del prodotto prima del suo conferimento all’impianto di selezione e riciclaggio di Ponte Rio (Perugia).
• La centrale termoelettrica di Ponte di Ferro in Comune di Gualdo Cattaneo, in questo sistema assume un ruolo di grande importanza avendo la capacità di costituire, assieme alle tre cementerie della provincia, il momento finale del ciclo di smaltimento con la termovalorizzazione dei rifiuti; tale nuova funzione coinvolge, oltre il Comune di Gualdo Cattaneo, anche il Comune di Giano dell’Umbria e, per esso, la sua frazione di Bastardo, adiacente all’impianto e luogo principale di accesso e servizio.
• Il sistema delle discariche e dei centri di trattamento per i rifiuti sopra proposto, comporta una verifica delle attuali previsioni di PRG e della compatibilità di tali localizzazioni con i luoghi interessati o, comunque, delle condizioni necessarie per garantire tale compatibilità.
Pur considerando che la trasformazione di discariche controllate in centri di trattamento (selezione, riciclaggio e compostaggio) può anche costituire una diminuzione dell’azione di impatto ambientale, è opportuno che in sede di redazione dei PRG, parte strutturale, e all’interno della concertazione nelle “Unità di copianificazione”, venga verificata tale compatibilità ed eventualmente individuate localizzazioni alternative.
• La necessità di uno sviluppo diffuso della raccolta differenziata, altro elemento fondamentale per la gestione
compatibile dei rifiuti solidi urbani, in aree a medio bassa densità insediativa quali la provincia di Perugia, richiede il passaggio del problema da una dimensione settoriale a quella dell’organizzazione territoriale delle politiche insediative soprattutto negli ambiti territoriali del policentrismo e della rarefazione che necessitano di forme innovative di raccolta differenziata.
1 I Rifiuti Solidi Urbani (RSU) si distinguono in:
Talquali: sono quelli prelevati direttamente dai cassonetti e conferiti agli impianti di selezione per il riciclaggio o smaltimento finale.
Raccolta differenziata (RD) (compresi i RUP – Rifiuti Urbani Pericolosi): sono tutti i rifiuti che vengono collocati in vari contenitori specializzati e/o ritirati o conferiti separatamente.
Recupero da selezione per riciclaggio: si tratta del materiale recuperato nell’impianto di selezione e destinato ad impianti produttivi.
Spazzatura meccanica stradale: sono i rifiuti abbandonati o ricadenti (foglie secche) sulle vie, piazze, strade e raccolte dalle speciali macchine.
Recupero totale: costituisce la somma de tutti i materiali comunque recuperati dai rifiuti, e cioè:
- raccolta differenziata degli urbani
- raccolta differenziata dei RUP
- materiali da impianti di selezione destinati al riciclaggio.
Prodotti da impianti di riciclaggio: sono tutti i recuperi merceologici ed energetici che si ottengono negli impianti di riciclaggio presenti ed attivi nella provincia ( compost, plastica, vetro, ecc.)
2 Definiamo i vari tipi di impianto:
Discarica di 1° categoria: è un impianto di stoccaggio finale nel quale possono essere smaltiti:
- rifiuti solidi urbani;
- rifiuti speciali assimilabili agli urbani;
- fanghi non tossici e nocivi, stabilizzati e palabili, derivati dagli impianti di depurazione delle acque di scarico.
Trasferenza: trasbordo dei RSU da un mezzo ad un altro.
Selezione per riciclaggio: è l’impianto che tratta i rifiuti talquali, ricavandone materiali destinati al riutilizzo
e sovvalli da conferire alla discarica.
Compostaggio: è l’impianto che produce compost utilizzando FORSU (Frazione Organica dei Rifiuti Urbani) proveniente da impianti di selezione per riciclaggio e/o frazioni organiche provenienti da Raccolta Differenziata.
Termovalorizzazione: è l’impianto che utilizza frazione secca e/o CDR (combustibile Derivato da Rifiuti) o materiali provenienti da Raccolta Differenziata, per produrre energia elettrica e/o termica.
L’elaborato A.7.1 “Ambiti della tutela paesaggistica” rappresenta la sintesi degli studi e delle elaborazioni attinenti alle indicazioni e agli ambiti interessati dalla disciplina paesaggistica.
Il tema è descritto da due cartografie: nella prima viene portata a conclusione la ricerca e la definizione della struttura paesaggistica provinciale (Schema degli indirizzi normativi per i sistemi paesaggistici); nella seconda vengono individuati e definiti gli ambiti e gli elementi di pregio o di possibile degrado paesaggistico.
In specifico questa seconda carta seleziona e mette in relazione alcuni tematismi già trattati nell’Atlante del sistema ambientale, compiendo una sintesi volta fondamentalmente alla individuazione delle aree in cui agiscono i vincoli normativi previsti dalle leggi in materia di paesaggio: L. 1497/39 e L. 431/85 (ora Dlgs 490/99). Tali ambiti e beni sono anche oggetto di una ulteriore definizione alla scala 1:25.000 denominata Repertorio delle componenti paesaggistiche, ambientali, infrastrutturali ed insediative di definizione comunale con cui si è proceduto ad una loro precisazione territoriale e che costituisce uno dei principali riferimenti per l’avvio del processo di copianificazione con i Comuni.
Va notato che il rapporto che lega l’elaborato in oggetto con il Repertorio in scala 1:25.000, non è di tipo gerarchico, ma anche in questo caso, così come per gli Atlanti, è di tipo relazionale. Si vuole con ciò sottolineare la situazione di reciproca sinergia e di complementarità, che collega il quadro di riferimento territoriale, rappresentato dall’elaborato in oggetto, rispetto alla situazione di maggiore dettaglio definita nel Repertorio.
La ragione di tale molteplicità di relazioni è da attribuire non tanto alla pur rilevante dimensione territoriale della Provincia di Perugia, quanto alla varietà e alla complessità del suo paesaggio e degli elementi che lo determinano.
Il lavoro, condotto a sintesi nel presente elaborato, si è sviluppato attraverso un percorso metodologico che, partendo dalla individuazione delle Unità Ambientali, ha portato alla determinazione delle Unità di Paesaggio ed è infine pervenuto alla individuazione, attraverso una lettura delle trasformazioni che nel tempo sono intervenute, delle Unità di Paesaggio appartenenti alle categorie della evoluzione, trasformazione e conservazione.
Tali situazioni, ricondotte al livello strutturale determinato dai sistemi paesaggistici, hanno indicatole aree per le quali sono stati predisposti indirizzi per la disciplina delle trasformazioni definiti dalle categorie normative della qualificazione, controllo e valorizzazione che sono stati predisposti per ciascuno dei quattro sistemi paesaggistici considerati.
Il seguente diagramma a blocchi illustra il percorso concettuale seguito e che ha condotto alla individuazione delle tre categorie ricercate.
Le “Unità di Paesaggio” possono essere definite quali ambiti territoriali ove, per conformazione geomorfologica, associazioni vegetali, tipi di uso del suolo si determinano situazioni che creano un “paesaggio” riconoscibile e definito in modo univoco dagli elementi che lo compongono.
In riferimento allo schema metodologico complessivo precedentemente illustrato, si ricorda che la fase conclusiva del lavoro ha compiuto l’integrazione prima e poi il confronto delle unità ambientali con gli usi del suolo storico e attuale. Confronto avvenuto secondo chiavi di lettura quantitative e qualitative che hanno reso palesi le trasformazioni subite dal paesaggio nel passaggio dalle sue forme tradizionali a quelle attuali.
Utilizzando le potenzialità offerte dai sistemi informativi territoriali è stato possibile misurare in termini assoluti e relativi, per ciascuna Unità di Paesaggio, quali usi del suolo storico vi insistevano e quali invece oggi sono presenti, determinando al contempo la quantità di superficie di ciascun uso in termini percentuali rendendo così evidente la portata della trasformazione di cui è oggetto.
Ulteriori elaborazioni sia matematiche (percentuali di incidenza degli usi del suolo) che cartografiche (permanenza di aree aventi lo stesso uso del suolo nei due periodi esaminati) hanno consentito di pervenire alla definizione degli ambiti di invarianza del paesaggio, di quelli della trasformazione e di quelli che presentano caratteri intermedi. Queste tre situazioni sono state
definite come segue:
• le aree della trasformazione paesaggistica;
L’elaborato che sintetizza la matrice paesistico-ambientale del territorio provinciale fornisce un quadro di riferimento strutturale specifico per la pianificazione urbanistica comunale individuando quegli elementi che sono stati fissati nella analisi del territorio sotto il profilo ecologico-naturalistico-ambientale come elementi di rilevanza provinciale e tali pertanto da avere un riscontro effettivo alla scala dell’area vasta. Questa selezione dei contenuti del PTCP inerenti le tematiche ambientali ed illustrati nell’Atlante n°2, individua pertanto i caratteri forti del sistema regionale: le sue invarianti naturalistiche, gli strumenti su cui agire per gestire le trasformazioni e produrre i risultati di conservazione-valorizzazione prefissati, i fattori di rischio che debbono essere tenuti presenti e sotto controllo, i punti di contatto più delicati con il sistema infrastrutturale ed insediativo che spesso agiscono come catalizzatori di situazioni a rischio consistente.
In questa maniera il primo rapporto di copianificazione Provincia- Comuni- Comunità Montane è stabilito: il passaggio per la procedura di verifica di compatibilità dei PRG con gli atti idi pianificazione territoriale, avviene attraverso questi punti notevoli su cui ha da realizzarsi un vero confronto. La copianificazione naturalmente si dovrà sviluppare anche in fasi successive ed in base alla definizione di programmi di elaborazione ed approfondimento comuni, che potranno essere formulati sulla convinzione dell’opportunità e della efficacia di questi rapporti interistituzionali e quindi le prime esperienze avranno dato i risultati attesi.
In primo luogo la matrice mette in evidenza la natura di sistema di un insieme di tematismi che già singolarmente affermano la loro natura di invarianti: gli ambiti di interesse naturalistico nelle sue articolazioni (biotopi, aree di pregio naturalistico- faunistico, visto lo stretto nesso tra i due elementi, aree di tutela, zone ad elevata diversità floristico-vegetazionale, aree boscate) rappresentano di fatto i grandi serbatoi di naturalità in ambito provinciale, vale a dire quelle aree in cui in maniera più forte si esprimono la capacità di riproduzione del ricco patrimonio faunistico-vegetazionale della provincia ed, insieme ad essi, la rete idrografica provinciale costituisce il sistema dei corridoi ecologici che lega e relaziona le aree sopra dette.
E’ sembrato opportuno già in questa fase, recepire in maniera non marginale la problematica connessa alla gestione faunistica in quanto questa rappresenta un importante versante dell’azione istituzionale della Provincia, che solitamente viene posta in una dimensione strettamente settoriale, ma che invece ha significative ricadute sulla gestione complessiva del territorio e specificamente in campo urbanistico fornendo dirette indicazioni sulla compatibilità delle destinazioni d’uso di queste aree pregiate.
Il secondo elemento di questa matrice è concettualmente separato dal primo ma con esso si intreccia e arricchendosi reciprocamente. Si tratta di una componente assai meno naturalistica e fondamentalmente antropica, costituita dalle aree archeologiche e dai centri urbani storici e dal sistema della viabilità storica che interconnette quelle aree, ma percorre anche le aree del sistema naturalistico e costituisce per esse il principale sistema di accesso, di uso, di controllo e quindi di manutenzione.
In un territorio come quello umbro, a larghissima diffusione della “seminaturalità” dovuta soprattutto ad una colonizzazione che si è riprodotta per millenni, è evidente che la connessione tra il sistema naturalistico dato dalla continuità funzionale dei corsi d’acqua che legano i serbatoi ecologici, ed il sistema storico-archeologico è un fattore centrale per la definizione delle potenzialità del territorio stesso: la ricchezza del patrimonio porta a considerare questo nesso una delle linee di forza più importanti del sistema provinciale in generale e delle aree della rarefazione in particolare. E’ questo sistema complessivo della polarità storica che fornisce i caratteri essenziali del paesaggio umbro (§ elaborato A.7.1.), ma è anche quello che consente la sua autoriproduzione e la sua valorizzazione.
Il terzo elemento selezionato è costituito dal repertorio delle situazioni critiche per il rischio geologico ed idrogeologico ed in particolare riferite agli ambiti insediativi:
Si tratta dei controlli che i PRG devono necessariamente fare rispetto agli ambiti urbani esistenti o di nuova previsione (siano essi residenziali, produttivi o altro) al fine di verificare la presenza di aree su cui la tutela della L.64/74 è stata attivata o sia necessario attivarla. Analogamente sul tema della vulnerabilità degli acquiferi e della sensibilità al rischio di inquinamento, vengono individuate le situazioni di maggiore sensibilità sia in funzione delle qualità intrinseche del sottosuolo e sia in funzione dell’attività antropica su esso esercitata o prevista. Qui l’atteggiamento è sostanzialmente quello della priorità della difesa del suolo rispetto ad ogni uso utilitaristico possibile e quindi della presa d’atto della prevalenza di questa tutela sullo sviluppo e l’attività edilizia.
Il PTCP propone (§ elaborati A.1.3. e A.1.4.) una serie di provvedimenti sia di carattere previsionale che di carattere gestionale, che i Comuni dovranno assumere nella fase di formazione dei PRG- parte strutturale, e che vengono assunti come elementi essenziali per una verifica positiva della compatibilità tra il PRG ed il PTCP.
L’elaborato ancora segnala i principali elementi puntuali del sistema ecologico-ambientale di interesse strutturale provinciale la cui localizzazione rappresenta anche una situazione critica da tenere sotto controllo e per i quali è necessario che i PRG definiscano sia azioni compensative da un punto di vista paesaggistico che azioni di tutela per l’aspetto ecologico, della tutela della salute, ecc.
Infine sono segnalati i Comuni che presentano, per quanto riguarda il trattamento dei reflui urbani o industriali, una situazione carente o dal punto di vista conoscitivo o sul piano dell’efficienza dei propri impianti e reti.
Anche in questo caso la segnalazione riferisce della necessità che il tema venga affrontato in maniera puntuale in sede di formazione dei PRG, indirizzando le risorse verso la realizzazione di sistemi di gestione integrati ed a dimensione sovracomunale al fine sia di riguadagnare i ritardi maturati, che di promuovere l’adeguamento complessivo della struttura provinciale.
indirizzi normativi:
All’interno degli ambiti individuati dal PTCP come “Serbatoi di naturalità provinciale” sono state individuate alcune aree in funzione del loro valore naturalistico e classificate, con relativa disciplina, quali aree di elevatissimo interesse naturalistico, di elevato interesse naturalistico ed aree del sistema reticolare di riferimento per la zoocenosi; la individuazione di queste aree è contenuta nella Tav. A.2.1.2., la relativa disciplina è riportata nell’art.36 della normativa (Criteri , Indirizzi, Direttive e Prescrizioni) del PTCP.
Qualsiasi scelta di trasformazione urbanistica del territorio non può prescindere dalla individuazione dei rischi geologici, geomorfologici ed idrogeologici; il PTCP segnala gli ambiti di massimo rischio a scala territoriale risultanti allo stato dell’arte.
In sede di formazione dei PRG, i Comuni dovranno procedere alla individuazione di quelle aree su cui per il valore delle specie, animali o vegetali, presenti o per la particolare tipologia di bosco o per programmi di qualificazione forestale assunti, si rende opportuna una protezione tale da escludere la possibilità di interventi non finalizzati direttamente alla tutela del bene o alla attuazione dei programmi. La Provincia collabora con i Comuni nelle operazioni di approfondimento conoscitivo e procede, copianificando con i Comuni stessi, alla articolazione a scala di dettaglio (1:10.000) delle aree e delle relative norme.
Nei PRG dovranno essere individuati tutti i dissesti significativi presenti nel territorio comunale, indicando per ognuno la tipologia, le caratteristiche geometriche e lo stato di attività. Nei Comuni soggetti a vincolo idrogeologico (R.D. 3267/23) ed in tutti i comuni nel cui territorio ricadono centri abitati da consolidare (L.64/74) e/o aree ad elevata e medio-alta propensione al dissesto ( così definite dal PTCP) deve essere previsto, durante la fase di formazione del PRG, uno studio geologico comprendente: una carta geologica e una carta geomorfologica realizzate ad una scala adeguata per il PRG affiancate da accertamenti di carattere generale tra cui la raccolta di notizie storiche riguardanti l'evoluzione del pendio ed eventuali danni sulle strutture esistenti, la raccolta di dati sulle precipitazioni meteoriche e sui caratteri idrologici della zona, su sismi e su precedenti interventi di consolidamento.
Lo studio dovrà verificare, ad una scala di maggior dettaglio, le indicazioni del PTCP ed individuare le aree instabili che dovranno essere perimetrate dettagliatamente sulla carta geomorfologica, individuando per ogni fenomeno franoso:
tipologia;
stato di attività;
nicchia di distacco;
direzione di movimento;
zona di accumulo.
Nelle aree instabili individuate dalla cartografia non sono possibili espansioni edilizie fintanto che non si è provveduto alla stabilizzazione dei versanti, alla bonifica ed al consolidamento dei dissesti.
Qualsiasi intervento di trasformazione edilizia e urbanistica in aree considerate instabili deve essere preceduto da uno studio di approfondimento idrogeologico e geotecnico al fine di stabilire la compatibilità geologica ed economica dell'intervento. A tale scopo lo studio di approfondimento dovrà tenere conto dello studio geologico di base, descritto nella scheda dell’elaborato A.1.3., ed inoltre:
ricostruire la superficie piezometrica della prima falda acquifera e misurare le caratteristiche idrogeologiche dell'acquifero e della zona insatura;
definire le caratteristiche fisico-meccaniche dei terreni;
riconoscere eventuali superfici di scorrimento e definirne la forma attraverso indagini dirette e indirette (indagini geofisiche);
valutare la velocità di scorrimento di eventuali movimenti franosi in atto;
verificare la stabilità dei versanti attraverso programmi di calcolo che tengano conto delle caratteristiche fisico-meccaniche del terreno, dell'assetto strutturale, della posizione e della forma delle superfici di scorrimento reali e/o potenziali. Per i pendii ricadenti in zona sismica, la verifica di stabilità deve essere eseguita tenendo conto delle possibili azioni sismiche;
individuare gli interventi di bonifica necessari per consentire le trasformazioni edilizie e/o urbanistiche e definirne i criteri di progetto.
Per quanto riguarda le trasformazioni edilizie ed urbanistiche nelle aree già vincolate ai sensi della legge 64/74 ci si atterrà alle disposizioni previste dalla normativa regionale. Il rilascio dell’atto autorizzativo dei lavori, qualora questi siano previsti in area interessata dall’art.2 della L.64/74, dovrà essere comunque preceduto dal rilascio della autorizzazione specifica prevista dalla stessa legge.
Le "carte della vulnerabilità degli acquiferi all'inquinamento", i cui elementi principali sono riportati anche nel P.T.C.P., rappresentano uno strumento di pianificazione territoriale: ogni strumento di piano deve dare conto di come ha valutato le proprie proposte di intervento rispetto alle diverse indicazioni fornite dalle carte.
La scelta delle aree da sottoporre a tutela e tutte le decisioni sul consentire, disincentivare e/o regolamentare determinate attività e insediamenti, devono tener conto delle indicazioni contenute nella scheda allegata all’elaborato A.1.4, ed associate ai diversi gradi di vulnerabilità degli acquiferi.
Ai fini del controllo degli interventi diretti, i PRG dovranno inoltre prevedere:
Nell’elaborazione dei progetti di nuove opere per la captazione di acqua per scopi idropotabili devono essere inserite barriere fisiche in corrispondenza della "zona di rispetto" di 200 m prevista all'art. 6 del DPR 236/88. Tali barriere potranno essere realizzate attraverso la piantumazione con alberi ad alto fusto o destinando le aree comprese nella "zona di rispetto" ad usi che comportano un basso rischio di inquinamento come agricoltura biologica, giardini botanici, parchi giochi.
Nell’elaborazione dei progetti di opere di emungimento dovrà essere accertata la compatibilità di queste con le caratteristiche dell'acquifero e quanto stabilito dal D.M. 11.03.1988. In fase di realizzazione devono inoltre essere rispettati i criteri costruttivi di cui al punto 4 degli indirizzi normativi dell’elaborato A.1.4.
La tutela delle acque superficiali e profonde deve essere effettuata nel rispetto del D. Lgs.152/99, artt. 27-31, Capo III, “Tutela qualitativa della risorsa: disciplina degli scarichi” (§ Scheda A.6.2).
- A.6.2 a - alta risoluzione.pdf
- A.6.2 a - bassa risoluzione.pdf
- A.6.2 b - alta risoluzione.pdf
- A.6.2 b - bassa risoluzione.pdf
- A.6.2 Fonti.pdf
- A.6.2 Impianti di depurazione dei reflui - quadro analitico della Provincia di Perugia.pdf
- A.6.2 Impianti di depurazione dei reflui - quadro sintetico comunale.pdf
- A.6.2 Legenda.pdf
- A.6.4 a - alta risoluzione.pdf
- A.6.4 a - bassa risoluzione.pdf
- A.6.4 b - alta risoluzione.pdf
- A.6.4 b - bassa risoluzione.pdf
- A.6.4 Incenerimento - alternative a confronto.pdf
- A.6.4 Legenda.pdf
- A.6.4 Produzione di rifiuti pericolosi.pdf
- A.6.4 Produzione di RSU.pdf
- A.6.4 Schema della raccolta differenziata e dei rifiuti pericolosi.pdf